17/07/10

E.L. Doctorow, HOMER AND LANGLEY

Londra, Hachette UK, 2009

Il romanzo è basato sulla vita dei fratelli Collyer, realmente esistiti e deceduti nel 1947: Homer (nato nel 1881) e Langley (nato nel 1885). Ripete quindi, come altri libri di Doctorow, aspetti della storia americana e più specificamente newyorkese.

I due fratelli, dopo un'infanzia e prima gioventù agiata, vissero in modo eccentrico e isolato nella casa di famiglia a Manhattan di fronte a Central Park. Noti per il rifiuto di pagare le bollette e per la grande quantità di oggetti d'ogni tipo che accumulavano, furono trovati senza vita all'interno della casa, che fu abbattuta e sostituita da un piccolo parco.

In un'intervista rilasciata al "New York Times", l'autore nota: "Davano ancora fastidio 50 anni dopo la morte, e questo mi ha interessato; [...] si erano insediati con una sorta di identità mitica nella mentalità popolare. Ebbero due esistenze, una storica e una mitica" [1].

Dalla coincidenza tra il nome di uno dei fratelli e l'aedo greco privo dell'uso della vista, il "mito" si converte in voce narrativa in prima persona. Il narratore è chi dice nella prima riga (che Doctorow rivela essere stato il momento propulsore della sua narrazione): "I'm Homer, the blind brother" ("Sono Omero, il fratello non vedente"); ed evita subito ogni tentazione pomposa o appesantita da una retorica che sarebbe davvero inopportuna, ricollegandosi sì al mondo antico e all'epica classica con quel riferimento così impegnativo, archetipo delle narrazioni occidentali, ma con una concisione moderna e una coscienza della vita quotidiana della praticità degli eventi: "I didn't lose my sight all at once, it was like the movies, a slow fade-out" ("Non ho perso la vita di colpo, è stato come nei film, è svanita poco a poco"). Subito si accampano l'io del flusso di coscienza e la tragicità di quanto detto, mediati dalla leggerezza e spesso anche ironia con cui le vicende familiari vengono ricostruite.

Un Homer "suscettibile", come gli dice Langley in un dialogo, al fascino femminile, e la delineazione di alcune storie sentimentali raccontate con levità.

L'eccentricità dell'esistenza dei due fratelli, attribuita in parte, nel caso di Langley, all'esperienza traumatica della guerra, è delineata con naturalezza. Gli "strani" sono gli altri, quelli fuori della casa. Tenere un'auto in una stanza, o riempire ogni angolo di giornali e oggetti d'ogni sorta, è in collegamento con la logica genialoide a tratti e utopistica in altri modi di Langley.

La casa invasa dai topi viene resa di passaggio e sembra che il narratore e il suo compagno d'abitazione non se ne rendano conto. L'antipatia dei vicini e la simpatia di un gruppo di hyppie che i due fratelli ospitano negli anni Sessanta sono indici di una dinamica del perbenismo in contrapposizione alla spontaneità. La storia degli USA scorre sullo sfondo. L'irrazionalità pare appartenere alle autorità costituite che isolano i tenutari autoemarginatisi.

In qualche modo, forse per la scorrevolezza stilistica, o per la tecnica del fratello che parla dell'altro fratello, ci ha ricordato IL BARONE RAMPANTE.

Il romanzo, insomma, è sul narrare; sull'accumulo di oggetti in quanto catalogo della modernità; sullo sguardo utopico dell'eccentricità e al confine della sanità mentale; sul rapporto con l'altro visto dal "diverso", quest'ultimo incarnatosi nel non vedente e nell'inventore e collezionista di oggetti spesso inutili.

Alla fin fine, questo romanzo è un atto di denuncia delle regole che escludono in realtà l'"altro". È incline verso l'umanità, si priva di giudizi negativi e tende a comprendere la mente dal suo interno senza visceralità che sarebbero fuori luogo.


NOTA

[1] NYT Video Interview.


[Roberto Bertoni]