Edoardo Sanguineti, nato nel 1930 e scomparso ieri, ha tracciato una fase della storia letteraria del Novecento e del ventunesimo secolo con una posizione caratterizzata da intreccio tra innovazione sperimentale e concezione del mondo, come si dimostra fin dalla raccolta di saggi IDEOLOGIA E LINGUAGGIO (1965) [1].
LABORINTUS (scritto tra il 1951 e il 1954, pubblicato nel 1956) ha rappresentato la scelta di un linguaggio arduo, antirealistico, con una vasta intertestualità che comprende tanto riferimenti a opere di autori del moderno e a registri altri da quelli più letterari, costituendo un percorso tortuoso e di ardua decifrazione, sulla scia di opere dell’informale quali FINNEGANS’ WAKE di James Joyce, non disponibile nei confronti del lettore meno cólto, presentato sotto forma di un “enigma” come l’autore stesso rivela.
In seguito, a partire da PURGATORIO DELL’INFERNO (scritto tra il 1960 e il 1963), la sua poesia si rende invece sempre più disponibile al registro colloquiale, tanto da farne anzi una maestria del dire in allusione, tra incidentali, divagazioni, aggiunte, come se il mondo fosse percorribile da un fraseggio che non trova mai il punto d’arrivo e parla come la maggioranza delle persone solo in apparenza perché c’è invece in quelle strofe di versi lunghi come interi periodi in prosa una costante allusività ad attese di situazioni che non si realizzano, al rovello mentale che non si acquieta, al linguaggio che parla con se stesso mentre si rivolge al lettore.
In LABORINTUS si esplorava la “Palus Putredinis”, a detta dell’autore, che è stato tra l’altro un dantista di riguardo. Le opere successive salgono a purgatori del quotidiano senza paradisi, in cui stilisticamente, dopo il tributo alle lingue alte di Eliot e Pound, si passa invece al minimalismo del báthos che sostituisce il sublime e il páthos e si sintetizzza nella dichiarazione a doppia lama "il mio stile oggi è non avere stile".
Ci pare resistano più i testi in poesia, tra quelli creativi, della prosa convoluta di romanzi quali CAPRICCIO ITALIANO (1963) o IL GIOCO DELL’OCA (1967).
Ancora negli ultimi dieci anni, oltre a proseguire l’opera poetica, raccolta periodicamente (si veda tra gli ultimi volumi di questo tipo MIKROKOSMOS. POESIE 1951-2004), Sanguineti era intervenuto criticamente, confermando le proprie interpretazioni moderniste e la visione marxiana con libri quali IL CHIERICO ORGANICO (2000), il cui titolo frammischia la formula dell’“intellettuale organico” gramsciano con la posizione di Benda del “tradimento dei chierici”.
Intenzionalmente è stata qui evitata l’espressione “Gruppo 63”, perché se a quella compagine neoavanguardistica Sanguineti ha certamente legato il proprio nome, non si potrà immobilizzare in una formula tanto fissa un autore che, dagli anni Settanta in poi, pur non smentendosi, è andato però di fatto oltre, tramite un idioletto di discorsività e ironia di provenienza in parte gozzaniana; e di autoriflessività psicologizzante, percorsa dall'ansia della società attuale con richiami a memorie, tecnologie, fibre di interazioni verbali.
In un’intervista del 2004, alla domanda “Cosa significa per Lei poesia?”, Sanguineti rispondeva:
“La mia idea di poesia è in breve che si tratti, almeno all'origine, di una mnemotecnica, cioè di una tecnica di memorizzazione. Ogni cultura, ogni civiltà ha i suoi modi, naturalmente; e quindi può essere un fatto ritmico, un fatto metrico, possono essere tecniche che riguardano la brevità e la lunghezza delle sillabe, la rima, l'allitterazione. Nel tempo e nei diversi gruppi sociali si trasmettono così cose che sono ritenute socialmente degne di ricordo.
Alle origini, certamente, si tratta di formule essenzialmente di tipo magico o magico-religioso. A mano a mano si raggiunge una progressiva secolarizzazione. Naturalmente quello che una società pensa debba essere ricordato muta nel tempo e secondo le varie situazioni concrete della società e della storia. Nei tempi moderni, quello che si trasmette come memorabile socialmente è una sorta di emozione soggettiva, che assume in qualche modo un valore allegorico.
Penso dunque che la poesia sia un'operazione realistica, con cui si cerca di trasmettere, memorizzandole, quelle che a me piace chiamare espressioni di un piccolo fatto vero, un elemento concreto di accadimento nella realtà che, per le sue risonanze eventuali, una collettività può giudicare appunto degne di attenzione e significative” [2].
NOTE
[1] Tutte le opere di Sanguineti citate sono pubblicate da Feltrinelli, Milano.
[2] SEI POETI LIGURI, a cura di R. Bertoni, Torino, Trauben e Dublino, Trinity College, 2004.
[Roberto Bertoni]