17/03/10

Michel Melot, BREVE STORIA DELL’IMMAGINE

Aprica (CH), Edizioni Pagine d’Arte, 2009

L’immagine: uno degli elaborati più complessi nella cultura e uno degli “oggetti “ più assiduamente frequenti nella nostra vita è, contemporaneamente, uno degli elementi fra i più mutevoli e metamorfici, fra i più flessibili e dittatoriali, fra i più ambigui e inesauribili. Farne la storia vuol dire necessariamente non trascurare alcuna delle interpretazioni e degli usi di cui è stata fatta oggetto. Un viaggio nella cultura che deve, dunque, partire dalla preistoria, dai segni astratti o figurati, ove, non solo l’uso (rituale, religioso, propiziatorio) si rivela problematico da individuare, ma problematico è anche lo studio della capacità umana di esprimersi attraverso segni astratti, oltreché attraverso figure, l’“agilità manuale e della preminenza che assume lo sguardo controllato dal gesto”. Michel Melot delinea con formule chiare e precise come la capacità di rappresentare le figure sia indissolubilmente legata allo sviluppo del linguaggio, presentando le modalità attraverso cui questo rapporto si è inscenato e come sia strettissimo e sempre foriero di frutti anche nella società contemporanea. Lo studioso non perde nessuna delle connotazioni che i differenti usi dell’immagine in relazione alla scrittura comportano e di come avvenga il passaggio dalla mimesi all’interiorità. Ciò fa tutt’uno con il mistero della capacità di significazione che l’immagine porta impressa in sé e che disvela. Se, infatti, è inspiegabile la sua capacità di significare, e questo vale sia per l’immagine astratta che figurativa, ciò nonostante essa non è priva di significato, anzi di plurimi sensi. Se è vero che non si riesce a ridurre l’immagine a un significato, poiché essa non è un linguaggio, allora, il suo rapporto con la scrittura resta un’operazione di irriducibilità dell’uno all’altro e, forse, proprio per questo è così efficace e soddisfacente. Melot sgombra il campo anche da usi non corretti, distorti, dell’immagine: credere nella totale realtà dell’immagine, vuol dire utilizzarla come strumento di persuasione e di potere, innescare la credenza di un suo magico potere. D’altronde, la ragione delle proibizioni e delle regole a cui è stata sottoposta l’immagine – si pensi alla guerra alle icone nelle religioni - nasce dall’esigenza di demistificarle, di contenere l’illusionismo delle apparenze. Nel notevole excursus che Melot ci consegna, in forma puntuale quanto accurata, vi è anche il rapporto con l’immagine delle civiltà non occidentali. Né poteva mancare anche l’accurata disamina dell’elemento della sua riproducibilità tecnica, indagine che non esclude alcun periodo storico, né alcuna sua forma (quadro, foto, disegno, schema, immagine digitale, in movimento, statica, ecc..) insieme all’indicazione di una corretta modalità di interpretarne gli usi e di una registrazione delle modalità filosofiche che nelle varie epoche sono intervenute nel dibattito sull’immagine. L’indagine viene estesa anche al passaggio di oggetti di uso religioso in contenitori museali, all’uso delle figure sulle monete, all’introduzione della stampa, alla funzione delle immagini nella scienza, e all’utilizzo delle nuove tecnologie.

Melot, nella sua pur BREVE STORIA DELL’IMMAGINE non tralascia alcunché e non perita mai di prendere posizione: non si limita solo al ruolo, seppure con risultati ineccepibili, di divulgatore di una materia fra le più articolate e complesse, ma pone sempre paletti definitori, i quali consentono di districarsi e di padroneggiare una materia che resterebbe altrimenti non facilmente esplorabile. In questo senso, sentiamo di doverne caldeggiarne la lettura, poiché essa consente di approntare gli strumenti che servono a orientarsi non solo in ulteriori studi di approfondimento, ma anche nell’esistenza, visto che le immagini sono, appunto, parte inscindibile della nostra vita. “Se l’identificazione dell’immagine col suo modello funziona come una trappola, bisogna disunire l’immagine dalla presenza”, essendo l’immagine non una realtà, eppure “nemmeno un’illusione”. Ecco, dunque, che questo libro funziona come una vaccinazione e un vademecum imprescindibile per tutti, ove la brevità acquista il senso non di un compendio che rimandi ad altro, ma di una modalità di analisi che può essere messa a punto solo da chi è completo padrone dei meandri più oscuri di una disciplina.

[Rosa Pierno]