13/12/09

Yōjirō Takita, OKURIBITO


[Natural ritual tree. Foto di Marzia Poerio]


Sceneggiatura di Kundo Koyama, tratta liberamente dall'autobiografia NŌKANFU NIKKI di Aoki Shinmon [1]. Fotografia di Takeshi Hamada. Musica di Joe Hisaishi. Con Ryoko Hirosue, Masahiro Motoki, Takashi Sasano, Tsutomu Yamazaki, Kimiko Yo, Kazuko Yoshiyuki

L'orchestra in cui Dajgo suona il violoncello a Tokio smobilita poco dopo che il musicista è stato ingaggiato. Reputando di non avere abbastanza talento per essere assunto in un'altra orchestra, il protagonista, assieme alla moglie Mika, sotto la spinta delle pressioni economiche, si trasferisce a Sakata, nella casa lasciatagli dalla madre deceduta. Trova lavoro presso una ditta di pompe funebri ove apprende le funzioni di cerimoniere, ovvero chi prepara i defunti in modo decoroso e pietoso prima della cremazione. Nasconde a Mika la vera natura della professione, pur redditizia, che svolge. Quando Mika scopre il nuovo mestiere del marito, gli chiede di cambiar lavoro, perché esperisce un disagio, provato anche da altri nella comunità in cui i due vivono, per la condivisione tattile con i cadaveri. Dopo una crisi che porta Mika ad allontanarsi, c'è un ritorno, una nuova comprensione tra i due coniugi e una riconciliazione di Dajgo col padre deceduto, che se n'era andato di casa anni prima, lasciando al protagonista un dolore irrisolto.

Nonostante la tematica così lugubre, il film è diretto con leggerezza, umanità, ironia ed equilibrio notevoli. Tali tratti vengono coadiuvati dalla colonna sonora malinconica e di spunto classico e da una fotografia di alta qualità, che mette in rilievo la natura, col ricorrere delle metafore luttuose della neve e della nebbia, mentre mostra momenti di rinnovamento col volo dei cigni, i campi che ricrescono, l'acqua che netta e rigenera.

I silenzi lunghi, le reticenze dei protagonisti, i dettagli ben scelti, i cerimoniali illustrati meticolosamente accrescono le caratteristiche di fuori tempo di questa pellicola che si svolge come se si vivesse prima della modernità, con l'eccezione dell'uso delle auto e di un video commerciale della ditta di pompe funebri. Anche le inquadrature della città sono per lo più confinate alle architetture e agli scorci meno recenti.

Diversi personaggi hanno però una storia di rotture familiari; ed è questo uno dei momenti di identificazione con la società attuale e le sue nevrosi.

Rappresentate le reazioni di fronte alla morte dei familiari: dal dolore lacerante, all'ira per la perdita, al congedo non problematico e sereno.

La quotidianità delle vicende personali dei personaggi contrasta con l'eccezionalità del momento della fine della vita. Il rituale delle spoglie tanto accuratamente e umanamente rivestite e disposte, mentre consente il riconoscimento del deceduto come se fosse ancora presente, assecondando il lutto, ha al contempo la funzione sacrale che Eliade assegna al simbolo: "trasformare un oggetto o un atto in qualcosa di diverso da quel che sono nella prospettiva dell'esperienza profana" [2].

La riconciliazione col padre comprende anche un riconoscimento fisico della sua immagine nella salma; immagine che era stata persa dalla memoria di Dajgo prima della morte. Uno dei legami è ancora una volta un simbolo. Il padre faceva un gioco col figlio in tenera età: scambiare sassi e indovinare dalla loro forma e consistenza lo stato d'animo di chi li aveva donati. Il protagonista regala un sasso a Mika quando le spiega questo ricordo e lei non rivela quanto ha indovinato delle sue sensazioni; è poi Mika la depositaria del sasso che Dajgo bambino aveva dato a suo padre e che questi ha stretto nella mano al momento del trapasso. Oltre a queste connotazioni di passaggio e trasmissione dei sentimenti e della memoria tramite un oggetto emblematico, il sasso si collega al rituale dei morti. Ancora ricorrendo a Eliade, nel capitolo sulle "cratofanie litiche" si legge che "il sasso proteggeva [...] contro la 'morte', poiché, come la pietra è incorruttibile, così l'anima del defunto doveva durare indefinitamente" [3].


NOTE

[1] Trad. ingl. COFFINMAN: THE JOURNAL OF A BUDDHIST MORTICIAN, Buddhist Education Centre, Anaheim, CA (USA), 2002.

[2] M. Eliade, TRATTATO DI STORIA DELLE RELIGIONI (1948), Torino, Boringhieri, 1976, p. 462.

[3] Ibidem, p. 223.


[Renato Persòli]