Leonardo Sciascia va ricordato e valutato come uno dei maggiori scrittori del Novecento italiano ed europeo. Qualche nota, oggi, sul GIORNO DELLA CIVETTA.
STORIA NARRATA E REALTÀ
Un primo aspetto del poliziesco di Sciascia è il rapporto tra storia narrata e realtà. I “gialli” di Sciascia sono storie intricate, avvincenti, romanzesche, ma partono dalla realtà e si fondano su fatti realmente accaduti.
Il GIORNO DELLA CIVETTA è un romanzo poliziesco, basato (lo abbiamo visto esaminando la rappresentazione della mafia) su fatti sociali veri. Sciascia conferma:
“Indubbiamente la mafia è un problema nostro. Io ne ho fatto un’esemplificazione narrativa: fino a quel momento sulla mafia esistevano degli studi, studi molto interessanti, classici addirittura: esisteva una commedia di un autore siciliano che era un’apologia della mafia e nessuno che avesse messo l’accento su questo problema in un’opera narrativa di largo consumo. Io l’ho fatto” [OPERE 1956-1971, p. IL].
In una NOTA di postfazione al GIORNO DELLA CIVETTA, Sciascia, lamentando di aver “cavato”, in seconda stesura, personaggi ed episodi dal libro per evitare “imputazioni di oltraggio e vilipendio”, e dichiarando di non avere perciò “scritto con quella piena libertà di cui uno scrittore (...) dovrebbe sempre godere, dichiara: “Inutile dire che non c’è nel racconto personaggio o fatto che abbia rispondenza, se non fortuita, con persone esistenti e fatti accaduti” [OPERE 1956-1971, p,. 483].
Una dichiarazione evidentemente ironica: ogni personaggio o fatto ha rispondenza con persone esistenti e fatti accaduti; o con persone e fatti che potrebbero essere esistenti o accadere.
Il GIORNO DELLA CIVETTA è infatti basato su un episodio vero: l’assassinio, per mano della mafia, del sindacalista comunista Miraglia, avvenuto nel gennaio 1947 [OPERE 1956-1971, p. IL].
Anche la figura del commissario Bellodi è basata su una persona reale: il generale dei carabinieri Renato Candida, che Sciascia conobbe nel 1956, stringendo un rapporto di amicizia destinato a durare. In un articolo del 1988, scritto in occasione della morte di Candida, Sciascia lo ricorda come “il primo funzionario dello Stato veramente antifascista che io avessi incontrato. La sua radice di avversione alla mafia era appunto questa: il suo antifascismo”. L’antifascismo di Bellodi, i suoi metodi trasparenti e la sua diversità dall’ambiente in cui si trova ad operare e dagli altri poliziotti sono ripetutamente messi in rilievo nel romanzo.La sconfitta di Bellodi da parte della mafia e la rimozione dal proprio posto di Ferlisi sono fatti riferibili alla biografia di Candida.
L’esistenza di una persona reale simile a Bellodi fuga l’impressione di scarsa credibilità che ha un funzionario di polizia onesto e antifascista in un ambiente prevalentemente corrotto e fascista.
Il poliziesco sciasciano, dunque, è una maniera impegnata di leggere la realtà; ma è anche un’ “un’opera narrativa di largo consumo”. I fatti, presentati in forma narrata secondo le convenzioni del giallo, facilitano la lettura e perciò la comunicazione del messaggio dell’autore più di quanto farebbe la nuda esposizione cronachistica dei fatti o un romanzo appartenente a generi letterari di èlite.
SICILIA
Il sistema di relazioni economiche, politiche, sociali del GIORNO DELLA CIVETTAè un sistema siciliano; ed una delle maniere in cui Sciascia si sottrae alla letteratura di consumo è l’inchiesta sociale su questa realtà (ne abbiamo visto alcuni aspetti parlando di come Sciascia rappresenta la mafia).
Il romanzo drammatizza la società siciliana, che di per sé è una realtà narrativa: “La Sicilia è tutta una fantastica dimensione. E come ci si può star dentro senza fantasia?” [p. 412].
La Sicilia “è molto complicata da spiegare [...], è incredibile, ecco” [p. 480]; una realtà di cui Sciascia, con Bellodi, dice: “[...] sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia [...]. - Mi ci romperò la testa ,- disse” [p. 481]. Rompercisi la testa per capirla, rappresentandone gli aspetti naturalistici (tra le descrizioni di paesaggio si segnala quella del chiarchiaro, p. 453), la cultura popolare e moderna, riferendosi a Verga e a Lampedusa, alla storia e alla politica; per dichiarare (con Bellodi, contro i pregiudizi antimeridionali):
La complessità della rappresentazione sciasciana della Sicilia nel GIORNO DELLA CIVETTA(che non è tema di questa lezione esemplificare in tutti i suoi molteplici aspetti) non ha niente della letteratura di consumo. Dice Sciascia in un’intervista:
“[...] direi il ‘troppo umano’ della Sicilia [...]. L’umano nella sua forma più esasperata, estrema, micidiale anche; l’umano al limite del vivibile. Per dirla con un’espressione di Américo Castro, l’umano che ha raggiunto il punto del ‘vivir desviviendo’, del vivere disvivendo: che è quel che accade ai personaggi di Pirandello. Il punto, insomma, più vicino alla morte, ma in cui si raccoglie tutto il senso, tragico, quanto si vuole della vita. Per me, Pirandello è la Sicilia come l’ho conosciuta, come la conosco. Tra le sue pagine e la realtà in cui sono nato e cresciuto non c’è scarto. L’opera di Pirandello è per me memoria: di fatti accaduti; di persone conosciute; di rivelazioni, sgomenti e terrori vissuti” [OPERE 1956-1971, p. X].
La Sicilia è d’altra parte, per Sciascia, un esempio di come vanno le cose in tutta Italia:
“Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’agop di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del cafè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già oltre Roma” [p. 479].
Brano anticipatore della realtà che si è verificata in Italia e di cui siamo oggi testimoni.
GIALLO D’AZIONE E GIALLO “A TAVOLINO”
Nondimeno, certi aspetti del poliziesco di consumo rimangono in Sciascia. Uno di questi aspetti è l’intreccio del giallo d’azione col giallo risolto a tavolino. Il secondo aspetto prevale, con Bellodi che gradualmente ricostruisce il puzzle dei delitti; ma momenti incisivi di azione ce ne sono: l’esempio più evidente è la pagina introduttiva del romanzo [pp. 391-396].
Altri aspetti di giallo d’azione sono i continui colpi di scena (tre delitti, varie versioni dei fatti, pista passionale e politica) e la rapidità e brevità con cui vengono narrati gli eventi.
La mancanza di suddivisione in capitoli, anche quando si passa da un ambiente ad un altro (dalla Sicilia a Roma), dà alla vicenda caratteristiche di velocità filmica articolata per scene e di susseguirsi incalzante di avvenimenti.
COOPERAZIONE TRA AUTORE E LETTORE
Nel GIORNO DELLA CIVETTA, l’autore si tiene accuratamente dietro le quinte, narrando in terza persona ed evitando commenti personali; ma la sua strategia nel seguire le piste della verità sul delitto coincide con la strategia di indagine del personaggio di Bellodi, per tanti versi simile a Sciascia.
Identificandosi con Bellodi, che è, sì, un antieroe, ma è anche un personaggio eticamente e professionalmente positivo, il lettore si indignerà per la sconfitta del personaggio più onesto, cioè per la sconfitta della giustizia.
Questa strategia di cooperazione tra autore e lettore è un altro tratto importante del romanzo poliziesco sciasciano. L’autore, seguendo i ragionamenti dell’investigatore, riassume e chiarisce continuamente la vicenda al lettore (un esempio è la ricostruzione dei fatti da parte di Bellodi, in un monologo interiore in discrso libero indiretto alle pp. 411-412). L’autore ricostruisce la complessità della realtà, mostrando le molte maniere in cui chi mente la contorce; il lettore, come in un labirinto, o in una partita a carte, segue questi contorcimenti, mentre, allo stesso tempo, è portato ad identificarsi con un investigatore-Teseo (col giocatore in cerca della carta vincente), che poco per volta scopre come stanno realmente le cose.
VERITÀ E MENZOGNA
La strategia di indagine dell’investigatore Bellodi e dell’autore Sciascia corrisponde a quella seguita dal lettore: orientarsi nel castello di mascheramenti e di menzogne costruito dei mafiosi e dai politici loro alleati, per pervenire alla verità. Perché “la verità è una sola, e non c’è niente da scegliere; semplice conoscenza” [p. 462]; e: “la verità è nel fondo di un pozzo: lei [questo lei potrebbe essere il lettore] guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità” [p. 469].
Le verità è unica, ma è difficile conseguirla perché, mentendo, chi vi si oppone la occulta. “La verità è nel fondo di un pozzo”, sia perché l’occultamento delle piste assume strade molteplici, o, come leggiamo nel romanzo, una “raggera di possibilità”: “Il Marchica non capiva più niente, il capitano lo guardava indovinando il travaglio della sua mente: su e giù come un cane sotto il solleone, la mente; una raggera di possibilità, di incertezze, di presentimenti che si apriva ad ogni pounto su cui, con animale sensibilità, si fermava” [p. 439].
La pista seguita da Bellodi e dal lettore, seguendo “ora la carta buona ora la falsa” [p. 461], si frammenta nei meandri del labirinto-partita. Abbiamo così otto diverse versioni dello stesso fatto: 1) Bellodi; 2) Dibella (Parrinieddu); 3) la moglie di Nicolosi; 4) la versione Pizzucco falsa dei carabinieri; 5) la versione semivera di Marchica durante l’interrogatorio; 6) la versione data da Pizzucco durante l’interrogatorio; 7) la versione data dalla stampa; 8) la versione falsa (che si impone come definitiva) alla fine.
Se la verità è “una sola”, la menzogna è dunque molteplice. Per imporre l’unicità della verità, l’investigatore sciasciano segue una logica razionale, districandosi tra le piste del labirinto e tra le combinazioni delle carte, ma è costretto a misurarsi con la caoticità, creata dalla logica altrettanto ferrea dei criminali. Sono le forze stesse della giustizia a rispondere al falso criminoso con il falso per smascherare la falsità. I verbali di false dichiarazioni di Pizzuco e Marchica, contraffatti dalla polizia, sono così definiti: “[...] un falso magistrale, di perfetta verosimiglianza relativamente ad uomini come il Pizzuci, ed al Pizzuco in particolare: ed era nato dalla collaborazione di tre marescialli” [p. 442].
Lo scopo della falsità criminosa è creare confusione e conferire alla realtà un’apparenza di irrazionalità perché è diffusa l’idea che l’irrazionale possa spiegare i fatti più strani. Ciò è evidente, ad esempio, nel fatto che i mafiosi cercano di far prevalere fin dall’inizio la pista falsa dell’omicidio passionale, che alla fine si imporrà come versione ufficiale dei fatti:
“Da quando, nell’improvviso silenzio del golfo dell’orchestra, il grido ‘hanno ammazzato cumpari Turiddu’ aveva per la prima volta abbrividito il filo della schiena agli appassionati del teatro d’opera, nelle statistiche criminali relative alla Sicilia e nelle combinazioni del giuoco del lotto, tra corna e morti ammazzati, si è istituito un più frequente rapporto. L’omicidio passionale si scopre subito: ed entra dunque nell’indice attivo della polizia; l’omicidio passionale si paga poco: ed entra perciò nell’indice attivo della mafia” [p. 413].
La passione, forza irrazionale, giustifica l’uccisione agli occhi di un’opinione pubblica disposta ad ammetterne la possibilità (l’omicidio passionale era un fatto peraltro non incongruo alla società italiana degli anni ‘50).
NECESSITÀ E CASO
Abbiamo accennato a vari riferimenti di Sciascia al gioco delle carte. E’ interessante notare che Sciascia associa l’idea di omicidio passionale con quella del lotto. Il lotto, come le carte, è un gioco d’azzardo basato sulla casualità: la logica ferrea, il carattere di necessità, del mondo della verità (la logica dell’investigatore e dei mestatori mafiosi) si contrappone alla casualità, alla caoticità del mondo delle apparenze costruito sulla menzogna.
Nel GIORNO DELLA CIVETTA, ci sono altri riferimenti al gioco d’azzardo.
Il soprannome di Marchica è Zecchinetta. Sciascia, alludendo al giuoco d’azzardo giocato dalla mafia, spiega che la zecchinetta è un “giuoco d’azzardo: si fa con carte siciliane...” [p. 418].
Di un mafioso divenuto rispettabile, Sciascia scrive: “La fredda astuta violenza per cui in gioventù era stato famoso, il calcolato azzardo, la prontezza di mente e di mano, tutte le qualità, insomma che lo avevano portato al rispetto e alla paura di cui era circondato [...]” [p. 425].
Il gioco d’azzardo presuppone astuzia (“fredda astuta violenza”) e capacità di calcolo (aspetto della necessità) nel gestire la casualità (“calcolato azzardo”).
La necessità (il calcolo) si converte di nuovo in azzardo quando i giocatori maldestri restano vittime del gioco, morendo (come Parrinieddu).
MORTE
Il risvolto esistenziale del doppio gioco, dell’azzardo, della partita con la casualità è dunque la morte: “E mentre a B. arrestavano Diego, a S. Parrinieddu diventava il numero due che la cabala del lotto assegna al morto ammazzato: unica forma di sopravvivenza, anima immortale a parte, cui era destinato” [p. 427].
“[I confidenti] la sola cosa umana che avessero era questa agonia in cui, per la loro stessa viltà, si dibattevano; per la paura di morire ogni giorno affrontavano la morte; e infine la morte scoccava, finalmente la morte, ultima, definitiva, unica morte, non più il doppio giuoco, la doppia morte di ogni ora” [p. 406].
La morte, componente essenziale del romanzo poliziesco di ampia diffusione, è problema esistenziale di enorme serietà per Sciascia. Citiamo di nuovo un brano citato in precedenza: nella morte “si raccoglie tutto il senso, tragico, quanto si vuole, della vita” [OPERE 1956-1971, p. X].
[Roberto Bertoni]