03/11/09

Marina Pizzi, L’INVADENZA DEL RELITTO, 2009 [1-10]


["The veins of character disintegrate under the water of the waterfall". Foto di Marzia Poerio]


1.

in villa sulla resina sono mortale
più della lumaca nuda.
chiamami intruglio io vorrò le staffe
da principessa.
lo scrivo con il livore di chi è ultimo
mansueto comignolo di cenere.
in ogni diatriba che mi commetta
sogno la brama di vedermi cipria
verso una donna di sospesa beltà.
qui la terra s’intromette darsena
messere e scaturigine chissà
di quale giro di lago.


2.

in una vampa di luce stava quella
malia della lucertola. con la stola
del buio stava quella maligna enfasi
del lutto. tu credi che le donne
siano paghe di nettàre la forza
della ruggine. qui è senza pace
la prontezza dell’alba la balbuzie
del bulbo che non nasce. lauto
ossequio credere sorgente e foce.
le vene del carattere si sgretolano
sotto l’acqua della cascata.


3.

ero una donna sul dado tratto
una faccenda di asilo presso
la casa a dirupo. in fretta imparai
il passo in salvo. ma non mi salvai
per vivere la gioia o il vernacolo
del colpo di riflettere.
in tutta fretta il tunnel della ruggine
fece gigante il fato. la collezione di
profumi non bastò una solitudine.
il calendario del turbinio della fretta
fece di me un apice di ossario.
il vestito della festa non salutò
chi sono. sono mortale in un tango
di cipressi nella gola. tu aiutami
la morte perché sia dorata con la nuca
in risata.


4.

non crollo né vano profitto
dall’atto di contare i giorni.
intacca con me questa pietà
fissa alla tanica del fuoco.
gran pece di marina l’erma fonte
spaccata dalle rondini che gridano
dono su dono una manciata vuota.
apri con me il sogno per entrare in pace
nel governo che fonda le non lapidi
giochi giovinetti e prime cialde.
dal remo che sconfisse le veneri
torna da me in un moto regale
concesso solo al prìncipe dei numeri.
felina giostra dammi per un attimo
nel modo che condona il guaio d’io.


5.

amor sillabico averti accanto
patriota del bilico porto del buio.
impronta verbale starti a guardare
in mano alla stampella dell’occaso
nodo del sale le scorrerie d’averti.
in sacco alla barbarie del tempo ottuso
resta la lena di capire il coma
la ronda scema di guardarti il letto.
la dieta dei morenti è tutta fredda
ma mangiare è offesa al tempo che non resta.


6.

nessuna agenda amerà l’occaso
il caso dotto e la morte certa
nel verso che allontana chi sta bene.
la resina che tarla le lumache
chiama la zattera della luce piena
il finalmente slancio dal trampolino.
nelle ville ci si siede sfiniti
ma gli abitanti passano e non risiedono
nel dono del sasso libertario.
il fato si comincia dalle foglie
dalle volontà di spremere la luna
ad una fattezza umana.
qui di bell’agio morirà la fronte
in un occaso smilzo di salsedine
sedato dalle giostre di chi muore.


7.

murato vivo dalla festa di morire
la calce genuflette gli stracci
delle cime. qui al crollo della rotta
vuota parla la cimasa per inghiottire
le teche delle rondini che ridono.
lungo il lago delle gioie a spasso
piange il pesciolino del bambino.
la cenere blasfema dell’albero
secolare sa scemare ogni bramosia
dall’inguine della vergine.
tu guerrafondaio alludi alla dis-grazia
delle fiamme sugli aquiloni.
al peggio delle resine che tradiscono
le farfalle c’è il rifugio del diavolo
con le scarpette da danza. da adesso
l’ultimo istante è lo straccio del viso
fissato sull’aceto di non rinvenire.


8.

sotto il pane della noia
l’anemia del guado.
nella scansia dell’eclissi ho perduta
l’edilizia di lusso del mio sangue.
la musica che gironzola la notte
ha la pietà del sicario a mani vuote.
il greto del canneto si pronunzia
con i ranocchi.
di te la perla perderà la vista
con la scansione angelica del sì.
le prospettive paniche del sogno
spartiscono le corse con il coma.
di te mi briga festeggiare amore
con l’eco e la conchiglia a far gli sposi.
a me traendo il discolo remoto
gioco la cosa nel gerundio darsena.


9.

l’istinto di vociare per chiamarci
ancora. e invece il mobilio è rimasto
come le strisce pedonali rosse.
così l’eco che comanda e agisce
coltiva la nostalgia della cialda
che eri. la pianta grassa della libertà
punge e non consola. da adesso
ho formato un disappunto forte
di travi per le impiccagioni. calca
l’acido un ventre trepido di dado
tratto. il tonfo incede questo mio
istante. assolto o condannato sto
a permettermi di restare stazioncina
di paese e se piango non si allarga.
qui le cime sono bordelli senza
stanza di piacere. la pena nella cera
del fuoco non ha la gentilezza
delle candele.


10.

ho pianto lacrime di esodo
fissa alla sedia che detiene
e serra la disperazione.
in furto su una sella vorrei andare
rea alla corsa di commettere l’urlo
con lo stratagemma del vincitore.
in palio all’atmosfera del residuo
voglio la conca della ginestra
la strada maestra tutta elemosina.
aver pietà è un indice di fiera
bravura. tu non sai tangere
le bave delle lumache che resistono
bastonate dal tono dell’aria.
così posseggo la voce di suicidio
e mi permetto l’ira della gola
gonfia fagotto di pezzente.
in testa al tormento so le gerle
di chi se la ride piena.