05/11/09

Marco Ercolani, CAOS INESISTENTE [SECONDA PARTE]


["My books are dots, equations, mathematical formulas". Foto di Marzia Poerio]

Io sono molto più normale di voi. Io colleziono la mia pace interiore. Ho sempre usato con voi - per tenervi lontani, per tenervi a bada - un linguaggio manierato, cortese, elegante. Conosco alla perfezione il tedesco, l'inglese, il russo, l'ucraino, il cinese, il giapponese, ma non li parlo. Con i libri è lo stesso: ci sono, ti tengono a bada, ti riducono al silenzio. Che bisogno c'è di una cucina, per nutrire questa carcassa che domani non esisterà più? Vi rendete conto, voi che parlate, di quanto tutto questo sia grottesco? Nutrirci? Al diavolo! Meglio acquistare un libro, collocarlo al posto giusto, tenerlo ben stretto nella mente. Lavorare alla biblioteca. Ma no! I miei libri non sono la biblioteca di Babele, non imitano metafisici labirinti, non presuppongono saperi tecnici o filosofici. Sono cifre, punti, equazioni, formule matematiche. Alla fine mi ritrovo sempre con 1 x 0. E 1 x 0 è nulla. Ricordate quel libro di Florenskj sulla prospettiva? Non ne ricordo una parola: ma so dove è collocato, in che punto di Torino, in quale caveau sotterraneo. Se lo penso laggiù, la mia vita è più chiara. Qui Èmile Cioran, SOMMARIO DI DECOMPOSIZIONE; là Xavier de Montepin, IL MEDICO DEI PAZZI. Un libro è incancellabile. Puoi sempre, in qualche punto di te, in qualche luogo della tua anima, gustarlo, toccarlo, ritrovarlo.

Tutta la città, come volevo, comincia a essere la mia anima. A essere piena di me, come volevo. Nessuno mi conosce ma i miei libri occupano i punti strategici che conosco io solo, come in una città invisibile di cui sono io l’unico padrone. E io possiedo le chiavi di tutti i magazzini. Ho una sensazione inebriante e precisa: che la mia mente si sia espansa bene nei suoi luoghi, che tutti i miei pensieri siano contenuti in numeri e spazi privi di caos. Non posso perdere neppure una pagina; perderei un minuto di vita. Ho collocato i miei pensieri dentro certi volumi, come se le frasi non fossero parole ma cose reali: emozioni, ricordi, parti del cervello e del cuore. Spesso ho pensato: se al posto dei libri ci fossero piume di uccelli dai colori cangianti, oppure orme di piedi, maschili e femminili, o impronte digitali, o fotografie? Non sarebbe lo stesso, non sarei abbastanza soddisfatto. A conti fatti, un libro è sempre la cosa migliore. Un libro non è mai quello che è veramente: ha una forma rettangolare, anonima. È una cosa sigillata, uno scrigno chiuso, una piccola bara: però, quando lo vuoi, lo apri, e ti si spalanca il mondo che vi si annidava. Tutti i pensieri, i sogni, gli inganni, le avventure, sono lì: possono volare via, polverizzarsi, o risuonarti dentro. Ma sono lì. Quelli sono i miei punti, le mie coordinate. Tutti insieme rappresentano l’anatomia del mio sistema arterioso e venoso, il sangue che mi affluisce alla faccia, alle mani, alle gambe, alle ossa. Perché, se mi guardo dentro, se cerco di ricordare chi sono senza di loro, ho un senso di confusione assurda, di orribile stordimento, come di ubriachezza; e mi si affollano in testa speranze, pulsioni, passioni. Orrore! Preferisco riportare tutto alla composta e regolare superficie delle copertine, a quelle piccole colline rettangolari e colorate, bene al riparo dentro stanze sempre chiuse, dove non possono entrare né raffiche di pioggia, né folate di freddo, né bufere di neve. Volume 7, fila 2, magazzino 3, una bimba scivolata dalle scale, una ringhiera arrugginita, la pioggia che crepita sull’intonaco della scuola, la copertina gialla col titolo scuro. Volume 8, fila 16, magazzino 9, il primo libro che ho letto, ricordo le illustrazioni, la carta, i caratteri, a quindici anni, disteso nel letto, è luglio, il sole filtra fra le foglie, la finestra è socchiusa, lo leggo e sogno. Volume 9, fila 15, magazzino 12, un grande volume pieno di versi, di immagini infernali, che acquisto quando ancora non so quasi leggere, lo sfoglio estasiato, osservo paludi scure, corpi contorti, fuochi, lapilli... Andate via di qui, via!! 7 – 9 – 14 – 26!!

Ieri notte, in sogno, mi trovavo nello scompartimento di un treno e provavo il desiderio irrefrenabile di occuparlo tutto. Volevo farlo con le persone che passavano nel corridoio, volevo costringerle a sedersi vicino a me, tutte vicino a me, tutte sedute insieme, in tutti i posti, senza lasciare nessuno spazio libero. Avrei parlato con ognuno di loro, e ognuno di loro mi avrebbe risposto. Nessun vuoto. Nessuna inquietudine. Esseri vivi, numerabili, classificabili, visibili, con i loro colori, espressioni, ossa, vestiti. Temevo solo la prossima stazione, quando qualcuno si sarebbe alzato, e inevitabilmente avrebbe lasciato il suo posto…

Che catastrofe! Io l’ho evitata per sempre. I libri sono fermi. Dormono. Nessun movimento, nessun disastro. Mi aspettano. Sono là. Sono la mia mente, il mio sonno, la mia pace. Non parlatemi più, non esasperatemi. Io una soluzione l’ho trovata. Tornare da loro. Andate via! 9 – 6 – 9 – 4! Mi aspettano! Via di qui! Lasciatemi tornare da loro!