Rivista in rete di scritti sotto le 2.200 parole: recensioni, testi narrativi, poesie, saggi. Invia commenti e contributi a cartallineate@gmail.com. / This on-line journal includes texts below 2,200 words: reviews, narrative texts, poems and essays. Send comments and contributions to cartallineate@gmail.com.
A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
Address (place of publication): Italian Dept, Trinity College, Dublin 2, Ireland. Tel. 087 719 8225.
ISSN 2009-7123
15/10/09
Paul Hunter, BULLETPROOF MONK
[The shrine (Foto di Marzia Poerio)]
USA 2003. Titolo italiano IL MONACO. Con Jaime King, Karel Roden, Seann William Scott, Victoria Smurfit, Chow Yun-Fat
Si tratta di un film commerciale d'azione e di fantasia, ascrivibile al genere "arti marziali", protagonista Chow Yun-Fat di cui si ricordano, tra le numerose interpretazioni, quella in LA TIGRE IL DRAGONE, e che vedremo prossimamente in una pellicola sulla vita di Confucio.
C'è sempre qualcosa di esteticamente, adornianamente, degradato, si potrebbe dire, nella produzione massificata. In questo caso certe scene nei sotterranei della metropolitana ricordano vagamente MATRIX, ma forse l'archetipo della lotta contro i membri di una banda rivale è WEST SIDE STORY. L'insistenza è sull'effetto telefilm, sul combattimento di per sé, per la fruizione di consumo che esso provoca, coniugato al contempo a ironie postmoderne. Il male è rappresentato nella sua pervicacia bondiana o alla Indiana Jones, tramite un personaggio nazista negli anni Quaranta e scienziato maligno in un laboratorio aggiornato e tuttora sadicamente disposto verso la tortura e la cattiveria.
Bene. Detto questo, a noi pare sia vero anche il contrario, che è precisamente quanto ci attrae verso questo film. Il degrado parziale estetico accompagna, oltre la recitazione pregevole di Chow Yun-Fat, un riscatto parziale dei contenuti, degli assunti narrativi che delineano una fiaba con buone disposizioni, interessante perché rivolta quasi come una parabola verso la vittoria delle positività, come deve essere in questo tipo di narrazione.
La storia: un monaco tibetano è guardiano di un potere riposto in un manoscritto (nella parola), tale da garantire il controllo sul mondo, protetto pertanto dalla congregazione buddhista e preda invece delle mire di potere del perfido Strucker. Per sessant'anni il monaco sfugge alle ricerche di Strucker finché incontra in modo in apparenza casuale (in realtà, si direbbe, per destino), rispondenti alle profezie e ignari del loro ruolo, i suoi successori, i giovani occidentali Kar e Giada, cui conferirà, invecchiando, la possibilità di mantenere intatta l'età per i successivi sessant'anni assieme al segreto magico e misterico che trasmette loro dopo che i malvagi sono stati sconfitti.
Cosa di più simile alle fiabe del folclore? Già questo ci consola: il riciclaggio della tradizione nel presente. Se le battute del monaco possono sembrare trite, o semplificate, puntano però in direzione della modestia, della conoscenza di sé, dell'uso del potere a favore della positività. La mortificazione positiva dell'io arriva al punto che ha dovuto anche rinunciare al nome il monaco al momento di intraprendere le funzioni di guardiano del potere misterioso, ovvero del controllo delle negatività anche peggiori.
Insomma, a noi è piaciuto, sebbene esitiamo a consigliarne la visione a un pubblico veramente intellettuale...
[Renato Persòli]