07/09/09

Corrado Prestianni, QUATTRO PEZZI FACILI

1.

(“[...] scheggia di luce che ritorna nella notte”). L.F. Cèline

Si vien qui su dal buio
già con l'amo in gola
si crede un vasto mare
di libertà e mistero
da navigare insieme

poi un brusco strappo
a caso della lenza
e sei a boccheggiare
sul bordo di una vasca
ancora verso il niente


2.

DIONISO INVIDIOSO

siamo stati amati
dalla divina voglia
di sbranare il mondo
poi d'improvviso folle
suicida sugli scogli
di piccoli dettagli


3.

RADICE DI DUE

Siamo quozienti impuri
mai a resto zero
ci sta sempre accanto
un decimale d'ombra
un rimasuglio oscuro
di vizio originale


4.

LIGHT SIDE

Giorni che se ne vanno
con il fruscìo sottile
di pagine girate
da un libro molto amato

(Sebastopoli, notte)


[Poesie tratte da NOTTURNO IN NO MAGGIORE e pubblicate in precedenza su DALLA PARTE DEL TORTO]



DUE DOMANDE ALL’AUTORE

1.

Che rapporto vede tra metafora e descrizione?

La metafora è un trasportarsi semantico oltre il reale ma che di questo offre una più ampia e significativa visione, ancor più pregnante e immediata, a volte scioccante. Più i termini sono lontani (ma non estranei al circuito, pur molto ampio, del senso, altrimenti la metafora è arbitraria e incomprensibile, quindi priva di effetto cognitivo ed evocativo) e più è efficace e spiazzante.

A mio modesto avviso, non esiste poesia (e non solo) senza metafora. L'immagine che ne scaturisce è una sintesi poetica mirabile. E credo che la sintesi sia una caratteristica indispensabile della poesia.

Non amo assolutamente la descrizione sia in poesia che in prosa. Oggi cinema,video,tv sono miglior sostitutivi di qualsiasi descrizione (con rare eccezioni). Da una parte, la ritengo un retaggio di quando nessuno aveva mai visto la jungla, la Cina, l'Alaska, il deserto, tipologie umane, oggetti ed usanze esotici, macchinari nuovi... Diventava quindi indispensabile descrivere al lettore il contesto e le cose in cui la storia, il romanzo si svolgeva. Oggi tutti hanno visto tutto, de visu o attraverso i media, quindi la ritengo inutile. Ripenso, ad esempio, a certe pagine descrittive dostojevskiane che appesantiscono i suoi pur mirabili romanzi,ma a quei tempi necessarie per far conoscere luoghi,usi,costumi... sconosciuti al maggior parte dei lettori. Dall'altra, il tipo di vita, di società, di cultura del nostro tempo, credo abbisogni di una tecnica di scrittura lontana da stilemi descrittivi. Con la poesia poi, sempre a mio vedere, ritengo non ci sia nessun rapporto dato che la poesia più che descrivere deve lasciar intuire.

Anche il metro che mi è naturale è spesso il settenario libero, verso non certo atto ad una descrizione. Si può dire che penso in tale metro sintetico, peraltro poco usato. Non leggerei mai una poesia descrittiva, come vedo che oggi molti fanno. Ma ripeto, è un'opinione molto personale.


2.

Lingua semplice e concetto aperto nella sua poesia?

Lei ha visto giusto. Io cerco di adoperare programmaticamente una lingua il più possibile semplice, la più scarna possibile, con espressioni anche gergali, ma sintetiche (non ermetiche), della lingua viva.

Penso che i termini, le espressioni della lingua più comune e quotidiana, assemblati in un certo modo fuori del contesto abituale, possano esprimere, suscitare una visione poetica altrettanto evocativa di una lingua terminologicamente sofisticata.

Un esempio: in una mia poesia, questa frase: "mi piace essere nato uno da spariglio".

Ovviamente questa operazione, rivalutare poeticamente la lingua ed il lessico "più triti" ed usurati, non sempre riesce.


[Intervista a cura di Roberto Bertoni]