1.
L’OPZIONE
Il poster
d’un clown bislacco alla parete
era il tuo doppio
fidato e silente con la lacrima
aggrappata al ciglio che rifiutava
di scivolare giù per l’abbrivo della guancia
mal rasata preferendo
la penombra truffaldina degli occhi
all’ingloriosa agonia sulla stoffa
della giacca o tra le fessure
impietose del parquet.
2.
QUELLO
quello? meglio perderlo, quello, che trovarlo
ti assicuro, sì, proprio lui, il gaglioffo
di mano lesta e sigaretta alla bocca
(spenta, la cicca, come il suo cuore),
che passeggia lungo il molo con sussiego e bastone
nemmeno fosse il re d’Inghilterra, cosa
ci puoi vedere di buono in quella faccia
affilata di dandy che ghigno e tracotanza
fanno tosta? Pensaci, pensaci bene prima di
affidargli, alla canaglia, fiducia e rispetto,
ché io ti consiglio, di più: t’esorto
a frugare attento sotto il mantello bislacco
fino alla gobba, e più giù, all’animo d’albagia,
al bilioso ruminare, ai cerini consumati
che serba nel taschino del panciotto
come spiccioli d’umana malvagità.
Riflettici, dunque, finché ancora sei in tempo
protetto dall’incessante parlottio della risacca e
dal trafelato andare di nuvole nel cielo,
altrimenti, ti avverto, subirai inerme l’assedio
del suo passo da ladro, delle sue fandonie da ierofante
incapsulate nell’adipe del tempo
avido nel chiedere, ma d’intese avaro.
3.
GIÀ ULISSE...
Già Ulisse, al finisterre, si rese conto
- la bruna montagna, il turbo (Inf. XXVI), con
l’acqua alla gola, la prora all’ingiù -,
illividito, della finitezza del mondo.
Seguitando seguiranno altri a misurare
il globo, imponendo dominio e saccheggio,
le conseguenze del caso, mentre su vapori arguta
la laica semenza si lancia ai quattro venti.
Forse il mondo ha arcani sotto
- discesa alle Madri, senza più responsi –
ma da sotto, a schiere, emergono automi
(come in Metropolis) della Grande Macchina.
Ferocia dei soprusi – oltranza degli oltraggi
- l’amer savoir nell’amer soleil si doppia,
l’occaso del moderno affrescando la coppia -:
nel prima-dopo il dopo-prima s’incastra.
Identità e bussola mutate alla bisogna,
ritagliano scampoli
di territori le nuove
vie della seta: sulla carta ruggono (da rúggere) leones
coi nomi più consoni al tempo.
Infedeltà dei luoghi: alterità-macerie.
Suggono i pozzi la geometria del profitto.
Passa per corridoi biologici la posta in gioco.
Avvolte da fumo nero le membra
straziate. L’agguato è stato micidiale.
Due autobombe all’unisono hanno fatto scempio.
Lamiere contorte e grida, sangue dappertutto.
Stenta la dama imperiale a imbastire
il suo ordito d’antico dominio.
Nel recto alterato il verso s’infratta,
accoglie il foglio l’inutile pietà.
Le poesie qui sopra sono tratte da DI QUAND’ERO POETA – E NON LO SAPEVO, Novi Ligure, Puntoacapo, 2009.
Testi precedenti di Roberto Bugliani sono apparsi su “Carte allineate” in data 13-2-2007 e 26-3-2007