23/07/09

Ana Guillot, LA ORILLA FAMILIAR

Buenos Aires, Botella al Mar, 2008


Questo libro di poesia LA ORILLA FAMILIAR (che nella seconda parte comprende la traduzione dei testi in lingua catalana, di Pere Bessó, LA RIBA FAMILIAR) Ana Guillot dedica ai suoi cari defunti.

Un libro incentrato sul tema “cimiteriale”, intenso e compatto nella sua interezza.

75 testi numerati si susseguono con impeto e trasporto, in spontaneo gesto interiore.

Un sentimento affiora di legame inscindibile, rapporto d”amore, risentimento per l”ingiustizia di ogni fine dell”essere, rifiuto della condizione di perdita irreparabile.

Ana Guillot usa un linguaggio forte, perentorio, parole definitive, spinte come uno schiaffo. Con mezzi asciutti e scabri, tecnica moderna. Musicalità nuova.

Interessante da recitare.

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Poesia d”impatto linguistico alternativo.

In questo modo, accanto alla musica, all”arte figurativa, anche la poesia di oggi intende esprimersi “a nuovo”. Gli interventi poetici agiscono fuori norma: pari alla musica “atonale”, anche la poesia marca il suo passaggio di suono lungo strade diverse da quelle tradizionali.

Fuori di sintassi, avanza di getto il discorso, frutto di assimilazioni di pensiero, di ricerche, insegue scelte di natura eccentrica, accostamenti di voce e significato imprevisti, viaggia a metafora, con riferimenti molteplici di passo, salti di immagine, strappi di senso.

Poesia che funziona, che viene recepita per sensazione immediata, se tenuta alle redini dell” espressione “necessaria”.

Poesia di stile “personale”, molteplice quindi, varia secondo il soggetto, giusta per “addetti ai lavori” che possono apprezzarla.

La logica strutturale al suo interno si rende intricata, contrastante, seguendo la linea di un proprio “correlativo-oggettivo”. I termini insoliti dell”esperienza scrittoria formano le note alternanti di stacco e di privilegio, di allontanamento decisivo dal canto comune privato di mistero. Ne fanno una creazione non imitabile, non ripetibile - e neppure chiaramente definibile per tema, nel suo complesso.

Il lettore-auditore l”interpreta in libertà, ne apprezza il ritmo e lo trattiene, “ad orecchio”: nel suo intimo ne fa ciò che vuole.

I tempi sono maturi per questo treno a velocità di pensiero supersonico.

E così aumentano i poeti seguaci di questo esempio. Ne risulta quasi una setta a raggio globale, di adepti sparsi per tutto il mondo.

Questo tipo di poesia non è di facile accezione, è ovvio. Anzi, giocano proprio su questo “esserci e non esserci” dell”enigma i versi che avviano a una chiusura non soluta.

Certamente è voce che non può essere trasmessa dai “media”, via radio, per esempio. Ha bisogno di maggiore densità d”ascolto, di raccoglimento mentale, di concentrazione di lettura - più di quanto non sia possibile alla normale immediatezza di recezione della parola per via orale.

Poiché tutto si basa su un concentrato di “percezione”, ciò che sta al di là del detto deve essere “captato”.

Il fruitore si addestra a contribuire attivamente alla finalità dell”opera. Se vuole penetrarne i segreti.

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E tuttavia in questo caso di Ana Guillot, la poesia si adegua a chi ascolta: voce “parlata” oltre che scritta, protesa ad un auditorio, può permettersi di spingere una effettiva azione teatrale. Il corpo poetico può essere, per così dire, “cantato”, ogni poesia recitata con effetto. Solamente pronunciando a fiato le parole, così come sono state “lanciate” sulla pagina. Con l”alito che ha dato loro vita.

E si raggiunge l”interlocutore per via misteriosa.

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Come ci sono i patiti della musica “atonale” e della “rumoristica” in attività espressiva, così crescono i fautori delle nuove tecniche di “laboratorio linguistico”. I quali valutano la parola, ne assaggiano la qualità, la pesano, ne fruiscono con gusto e rigore, scommettono sul difficile.

E così nascono i piccoli capolavori: alternativi a quanto di poetico si possa oggi scrivere ancora con successo entro una logica più tradizionale di abilità scrittoria, che dica semplicemente “pane al pane, vino al vino”.


[Giuliana Lucchini]