17/07/09

Bernard Grandjean, LA REINE NÉPALAISE


[Statue of Buddha in Bangkok. Foto di Marzia Poerio]


Bernard Grandjean, LA REINE NÉPALAISE, Parigi e Pondicherry, 2009

Bernard Grandjean è autore di romanzi ambientati nell’Himalaia e soprattutto in Tibet [1]. In LA REINE NÉPALAISE, il sostrato storico è il periodo dell’imperatore Songtsen Gampo (VII secolo), uno degli unificatori del Tibet e diffusore del buddismo che finì col prevalere sulla religione Bön preesistente, coadiuvato in questo anche dalla consorte cinese Wencheng, mentre di un’altra delle mogli, la nepalese Bhrikuti, non c’è conferma storica assoluta, sebbene entrambe entrino nel campo della spiritualità in quanto bodhisattva e rappresentanti di Tara.

Da un lato, dunque, si ha un romanzo storico, sostanziato da riferimenti puntuali alle abitudini e alle conquiste del tempo. Dall’altro, si instaura il fantastico, orientato da un riuso, in sede di riscrittura, della demone Brag-Srin mo, qui intesa come garante dell’integrità della corona e della territorialità del Tibet in rapporto col Bön. Il microcosmo e il macrocosmo si integrano in questa figura demoniaca e terribile in quanto la sua presenza all’interno del corpo dell’imperatore, secondo un patto rinnovato di padre in figlio, nella storia di Grandjean, corrisponde, nei vari punti, alla sua presenza su tutto il territorio tibetano. Per sconfiggerla, Bhrikuti costruirà templi buddhisti nelle zone geografiche corrispondenti agli organi vitali della demone, con la conseguenza che si indebolirà la vita di Songtsen Gampo; e alla sua morte, per volontà dello stesso imperatore, la demone verrà accolta dal corpo di Bhrikuti, che avrà il compito di controllarne il potere magico.

Si ha qui la traccia della trasformazione degli spiriti malefici dello sciamaesimo in entità benefiche del Buddhismo, o, come in questo caso, del loro essere tenuti in guardia, ma tali da scatenarsi di nuovo in periodi di abbassamento della vigilanza e della religiosità, come accade appunto nel romanzo, in cui Srin mo riopera nella modernità, ove il male viene identificato dall’autore con la perdita dell’indipendenza e della coerenza culturale del Tibet.

In aggiunta a questi aspetti antropologici e folclorici, si ha la costruzione di un romanzo fantastico di stampo, si direbbe, vittoriano, ovvero, come in Stoker, caratterizzato da tentativi di venire a capo di una forza malefica attraverso un’azione corale.

Sul piano dei procedimenti narrativi, è un romanzo in prima persona e corre secondo la categoria di genere che Todorov definirebbe “meraviglioso spiegato”.

Come nella favolistica e non di rado nel fantastico ottocentesco, ci sono una cornice e un intreccio centrale. La storia di cornice è quella di un archeologo che negli anni Trenta scopre un manoscritto in una grotta tibetana, lo traduce e noi leggiamo la traduzione, anch’essa narrata in prima persona, in tredici giornate, da Bhrikuti. In questa narrazione-diario si determinano tra l’altro non solo gli episodi salienti dell’intreccio fantastico, ma anche la descrizione della differenza tra la prosperità di allora del regno nepalese e la barbarie di quello tibetano, gli intrighi, le guerre, gli amori e le amicizie, una vita di corte orientale dettagliata e concisa. Alla fine del manoscritto, il narratore-archeologo risulta essere una reincarnazione di un personaggio chiave della narrazione interna, Anou, che dopo la morte di Songtsen spinge Bhrikuti, esiliata in solitudine da un primo ministro invidioso, a scrivere la propria vita senza mentire: sarà proprio questa verità totale a purificare Bhrikuti e a neutralizzare così Srin mo, mentre l’ex imperatrice del Tibet confessa a se stessa l’amore per Anou. L’archeologo opera in modo tale da arrivare ai giorni nostri in cui la lotta contro il male che nasce da Srin mo continua.

Gli aspetti metaletterari sono affidati al diario di Bhrikuti, che come il Calvino della TRILOGIA, si interroga sul senso della scrittura. All’inizio di ogni giornata di cronaca della propria vita, questo personaggio afferma qualcosa di vitale sull’atto di scrivere, sia esso la difficoltà di recuperare la memoria, il rapporto tra letteratura e moralità, il senso della verità in termini sia di autenticazione narrativa che di etica budddhista.

Spiace all’estensore di questa nota essersi accorto di questo scrittore, nato nel 1946, con tanto ritardo.

[1] Un elenco delle opere è a Grandjean, Volumi pubblicati.

[Roberto Bertoni]