27/06/09

Krishnamurti, SULL'AMORE E LA SOLITUDINE


[Flowers among the thorns. Foto di Marzia Poerio]


La metodologia di Krishnamurti, in SULL'AMORE E LA SOLITUDINE (Roma, Astrolabio e Ubaldini, 1996), è quella di slogamento mentale, di scardinamento delle convinzioni incancrenitesi e basate su pregiudizi creati da rapporti precedenti che si siano abuti avuti con gli altri o coi pensieri; si tratta, sembrerebbe, di ricominciare a pensare alle questioni, alle problematiche, in modo nuovo e originale, senza preconcetti: “dobbiamo morire giorno per giorno a tutte le cose che abbiamo accumulato psicologicamente” (p. 65).

Un altro elemento è il discorso che fa sull’osservatore e l’osservato. Un dolore, poniamo, che si sente dentro di noi. Vederlo come non solo noi che soffriamo, ma noi stessi che siamo quel dolore e la causa di quel dolore.

Domandarsi infine che cosa sia un’afflizione, un’emozione negativa; capire dove e come è dentro di noi; non come l’altro ci ferisce, ma come la ferita è dentro di noi, è noi. Per esempio che cos’è la solitudine? Immediatamente collegato: perché hai paura della solitudine? Bisogna capire cosa provoca il senso di solitudine in noi; e a quel punto esso scompare.

“[…] una persona ha paura della solitudine, paura del dolore della solitudine. Questa paura deriva certamente dal non avere mai guardato davvero la solitudine, non essere mai stati in totale comunione con essa. Se siamo totalmente aperti alla realtà della solitudine, possiamo arrivare a conoscerla” (p. 43).

In concomitanza, c’è il meccanismo secondo il quale “c’è un’osservazione vera, ed è quello in cui l’osservatore è assente, in cui c’è solo osservazione” (p. 67).

Scrive:

“Se non avete risolto definitivamente il senso di solitudine, tutti i vostri rapporti non saranno che fughe e finiranno nella corruzione, nel dolore. Come si può conoscere questa solitudine, questo senso di totale isolamento? Per conoscerlo occorre esaminare la nostra vita. Ogni vostra azione, non è forse rivolta a vantaggio dell’io?” (p. 67).

“La solitudine è l’ultimo stadio del processo di autoisolamento. Più siete centrati sull’io e più siete isolati: l’egoismo è il processo stesso dell’isolamento” (p. 50).

La solitudine può essere sconfitta se non la si fugge o non si cerca di combatterla evadendo, buttandosi in attività sostitutive. Per sconfiggerla va compresa: “e non potremo capirla se non la guardiamo in faccia, se non la osserviamo direttamente” (p. 49).

“Non ci può essere creatività” (e dunque soluzione dei problemi afflittivi) “finché non avremo compreso la manchevolezza interiore che è la causa della paura” (p. 50).


[Roberto Bertoni]