21/05/09

DUE PAROLE SULLA TRADUZIONE DELLA POESIA

Sebbene i testi siano meglio fruibili nella lingua originale, ove ciò sia possibile, è anche vero, a parere di chi qui scrive, che la traduzione è pure possibile. Per partire dal buon senso, pare condivisibile quanto già sosteneva Leonardo Bruni nel 1420: “l’essenza della traduzione consiste tutta nel fatto che quanto si trova scritto in una lingua venga correttamente trasferito in un’altra” [1]; e per farlo è necessario conoscere bene sia la lingua di partenza che quella d’arrivo.

Cosa significhi “correttamente” varia a seconda di chi traduce: Goethe individuava tre tipi di traduzioni: quella “linearmente prosaica” [2]; quella “parodistica” [3], ovvero intesa a trasferire sensi a noi estranei nella nostra lingua; infine quella “identica all’originale” [4], che cioè rappresenta il testo originale pariteticamente.

Tutto ciò implica diversi livelli di traduzione; e nel tradurre poesia, se da un lato la precisione si rende necessaria, al punto da privilegiarla come fa Della Volpe in CRITICA DEL GUSTO, quando sostiene il criterio di una “fedeltà alla lettera poetica” [5], determinato dalla convinzione che la “fedeltà letterale” è anche “fedeltà allo spirito del testo originale” [6], è anche vero che chi traduce poesia si trova di fronte gli elementi del verso, del ritmo, delle assonanze, che implicano o una resa approssimativa, di per sé una scelta anche legittima, o una resa metrico-prosodica che vuol dire trasporto di un sistema in un altro, dunque mutazione parziale anche laddove il lessico resti espresso con precisione.

In tal senso la traduzione è, concordiamo con Gadamer, “interpretazione”; e, come egli scrive, “l’imperativo della fedeltà, che vale per ogni traduzione, non può sopprimere le fondamentali differenze che sussistono tra le diverse lingue”. Non necessariamente si concorda con la conclusione di Gadamer, secondo la quale inevitabilmente la traduzione è una “chiarificazione enfatizzante” e “risulta più chiara e più superficiale dell’originale”, ma interessa qui invece il suo concetto della traduzione come “dialogo”.

La traduzione operata da poeti da testi di altri poeti è un dialogo per eccellenza ed una modalità della poetica e dell’intertestualità, come si nota per esempio nelle traduzioni inglesi da parte di Montale o di Bertolucci, con le ripercussioni significative che ebbero sulla poetica personale di questi autori.

Con questa breve rassegna si volevano solo ricapitolare alcune idee sulla traduzione, anche se non è detto che poi siano di vera utilità pratica quando si traduce e ci si misura con la qualità verbale del testo, con la musicalità e con l’equilibrio da raggiungersi tra rispetto dell’originale e necessità di scorrevolezza nel tradotto.


NOTE

[1] L. Bruni, Tradurre correttamente, in S. Neergard, a cura di, LA TEORIA DELLA TRADUZIONE NELLA STORIA, Milano, Bompiani, 1993, I, p. 75.
[2] Ibidem, p. 121.
[3] Ibidem, p. 122.
[4] Ibidem, pp. 122-23.
[5] 1960. Milano, Feltrinelli, 1971, p. 101.
[6] Ibidem, p. 112.
[7] DALL'ERMENEUTICA ALL'ONTOLOGIA, in S. Neergard, a cura di, LA TEORIA DELLA TRADUZIONE NELLA STORIA, Milano, Bompiani, 1993, II, p. 345.


[Roberto Bertoni]