13/05/09

Cristina Cona, INGLESE? AL CONTRARIO (SU BECKETT)

Irlandese, ma vissuto a Parigi per quasi tutta la sua vita di adulto, Samuel Beckett è uno dei pochi autori che, veramente bilingui, hanno scelto non solo di scrivere sovente nella lingua acquisita, ma anche di tradursi nella propria lingua madre. E' questo il caso della sua opera teatrale più famosa, EN ATTENDANT GODOT, presentata per la prima volta al pubblico in francese nel 1953 e da lui tradotta in inglese (WAITING FOR GODOT) alcuni anni dopo.

Il primo interrogativo che il lettore/spettatore si pone è, indubbiamente, perché a partire dal 1945 Beckett abbia deciso di utilizzare il francese anziché l'inglese (lingua materna oltreché dei suoi primi libri) come mezzo di espressione letteraria. Alle origini di questa scelta fu tra l'altro la sua esperienza di traduttore (di scrittori sia italiani che francesi), iniziata già negli anni Trenta, servita in qualche sorta da apprendistato e che nel 1937 lo aveva portato a tradurre da sé in francese il suo romanzo Murphy (e in Watt, scritto in inglese durante la guerra quando l'autore viveva nel Vaucluse e non aveva contatti con altri anglofoni, si riscontrano numerosi calchi dal francese, clamoroso fra tutti il ripetuto uso di "to support" nel senso di "supporter"). Le ragioni "vere" restano comunque di difficile individuazione: lo stesso Beckett ha fornito varie spiegazioni lapidarie che i critici non hanno trovato molto convincenti, da "I just felt like it", a "en français, c'est plus facile d'écrire sans style", dall'aver temuto di scrivere in inglese perché "you couldn't help writing poetry in [English]", alla dichiarazione più esauriente, rilasciata nel 1962 al critico statunitense Laurence Harvey:

" ... for him, an Irishman, French represented a form of weakness by comparison with his mother tongue. Besides, English because of its very richness holds out the temptation to rhetoric and virtuosity, which are merely words mirroring themselves complacently, Narcissus-like. The relative asceticism of French seemed more appropriate to the expression of being, undeveloped, unsupported somewhere in the depths of the microcosm." Il francese, lingua più scarna e diretta, risultava insomma più adeguato a veicolare l'universo ridotto ai minimi termini che è proprio dell'opera di Beckett. Prova ne sia che nel 1968 dichiarò al suo amico Ludovic Janvier di aver ricominciato a scrivere in francese con il desiderio di "impoverirsi ulteriormente".

Fra la versione francese e quella inglese di GODOT, pur separate da un arco di tempo brevissimo, si rilevano parecchie differenze di linguaggio e di impostazione. E' stato ad esempio osservato che il testo inglese è più stringato ed espunge quattro brani di dialogo assai lunghi, guadagnando così in agilità e scorrevolezza, oltre a contenere più precise indicazioni sceniche. A fianco di queste modifiche, che riflettono con ogni probabilità l'esperienza acquisita nel frattempo da Beckett nel mondo del teatro dopo la rappresenzione di Godot a Parigi, ve ne sono altre in cui l'autore si avvale di evocazioni e richiami letterari specificamente anglofoni (come la scena in cui i due protagonisti guardano la luna ed Estragon, che nella versione francese si limita a dire: "Je fais comme toi, je regarde la blafarde", in quella inglese cita un brano di Shelley), o viceversa sopprime allusioni e giochi di parole che hanno senso soltanto in francese.

A dividere i critici sono però soprattutto problemi di raffronto sistematico e complessivo dei due testi: è l'inglese o il francese ad essere più filosofico, o più pessimista, o più volgare, o più intellettuale? Alcuni vedono significative divergenze, altri ritengono che si tratti sostanzialmente dello stesso testo, e che i cambiamenti siano da considerarsi tutto sommato marginali. E qui avanzerei modestamente l'ipotesi che questo dibattito, per quanto autorevole, sia viziato da una lacuna fondamentale: il non aver prestato sufficiente attenzione al carattere profondamente irlandese della prosa di Beckett. Ignorando quest'aspetto gli studiosi sono incorsi talvolta in veri e propri equivoci, come il considerare meno colloquiali certe battute in inglese per via del ricorso ad espressioni ritenute a torto formali, in realtà semplicemente più vicine allo "Hiberno-English" che al "Queen's English" (come la traduzione di "Tu m'as fait peur" in "You gave me a fright", considerata dallo studioso americano L. Graver come appartenente ad un registro "superiore", mentre in realtà si tratta di un'espressione assai corrente in Irlanda). Chi abbia dimestichezza con l'inglese parlato in Irlanda e legga o ascolti Godot non può non notare quanto siano irlandesi l'andamento della frase, molte delle espressioni colloquiali utilizzate, l'umorismo che sottende la disperazione (o viceversa). Non è del resto un caso che nell'intervista sopra citata Beckett abbia dichiarato di ritenere debole il francese rispetto alla sua lingua madre "as an Irishman".

Per dare un'idea degli "ibernicismi" (se non addiritture dublinismi) che costellano Godot ricordiamo, fra i tanti, l'uso del verbo "to blather" (con il quale Beckett traduce il francese "bavarder") o dell'aggettivo "banjaxed" ("rovinato"); le costruzioni tipicamente irlandesi come "[...] ask myself is there anything I can do", "it wasn't you came yesterday", "'Twas my granpa gave it to me", "you won't be wanting the bones", "I'm tired telling you that", o "nice business it'd be if he fell sick on me" (dove "on me" serve a personalizzare le conseguenze della malattia sul parlante, così che si potrebbe tradurre "bella roba se mi facesse lo scherzo di ammalarsi"); espressioni come "what ails him?" (= "what's wrong with him?"), "come here till I embrace you", "he wants to cod me but he won't", o "your man" (forma molto diffusa, equivalente a "that man"). A questi si aggiungono diverse allusioni a luoghi e cose d'Irlanda, come il camogie (uno sport gaelico) o il negozio dublinese di pipe Kapp and Peterson.

Parlando di umorismo, infine, la maggiore varietà di registri osservabile nel testo inglese, con il frequente andare e venire dal colloquiale al ricercato, provoca un effetto di discontinuità comica che colloca Beckett nella grande tradizione della letteratura satirica irlandese del ventesimo secolo; in particolare i preziosismi di stile cui ricorrono spesso i personaggi (a proposito dei quali un critico amico di Beckett osservò che i due mendicanti Didi e Gogo, principali protagonisti, "sound as if they had got a Ph.D"; risposta dell'autore: "How do you know they hadn't?") ricordano molto da vicino certe parodie o semiparodie letterarie del più grande fra gli esponenti di questo genere: Flann O'Brien. Interessante in questo senso è la reazione di Roger Blin, il regista teatrale che portò in scena la versione francese di Godot e che alcuni anni dopo, assistendo alla prima della commedia a Dublino, si dichiarò pieno di stupore e di ammirazione per gli attori, che avevano fatto del dialogo una serie di "blagues irlandaises". Del resto non ci si poteva aspettare altro da Beckett, autore che, sia pur non essendo nazionalista e pur sentendosi a disagio nell'atmosfera cattolica e conservatrice dello Stato irlandese di recente creazione, non nutriva dubbi sulle proprie origini. Secondo un aneddoto, essendogli stato una volta chiesto se era inglese avrebbe risposto: "au contraire". Se non è vero è ben trovato: l'autore di una battuta come questa non poteva non essere irlandese fine al midollo.



Fonti:

- L. Graver, Samuel Beckett: WAITING FOR GODOT, Cambridge University Press, 1989

- J. Fletcher, ÉCRIVAIN BILINGUE, in: CAHIER DE L'HERNE - SAMUEL BECKETT, Parigi, L'Herne, 1978

- S. Connor, "TRADUTTORE, TRADITORE": SAMUEL BECKETT'S TRANSLATION OF MERCIER ET CAMIER, http://english.fsu.edu/jobs/num1112/027_CONNOR.PDT


L’articolo, riprodotto col consenso dell’autrice, è apparso in precedenza sulla rivista ”Inter@lia”.