19/04/09

Ronny Yu, FEARLESS


[Red lanterns in Soho. Foto di Marzia Poerio]

Ronny Yu, FEARLESS. 2006. Con Collin Chou, Yong Dong, Jet Li, Nakamura Shido, Betty Sun

Film di genere (arti marziali cinesi)? Senz'altro, ma allo stesso tempo si tratta di una storia ben raccontata, ben interpretata da Jet Li e dagli altri attori, con ottima scenografia e riscostruzione di ambienti oltre che scene di natura. In breve, un film non proprio di genere, bensì ben costruito e con un significato etico (riprendersi dalla sventura e imparare dagli errori) e politico (il protagonista, con la bravura ginnica, vince sulle potenze imperialiste che finiranno perciò coll'avvelenarlo).

Basato sulla storia vera di un campione di un'arte marziale denominata wushu, tra la fine dell'Ottocento e il primo decennio del Novecento, il film epicizza la vita di Huo Yuanjia, ma parte da episodi accaduti realmente: la contesa, da cui comincia la narrazione, tra Huo Yuanjia e gli sfidanti delle potenze occupanti, ebbe effettivamente luogo; e la sua fama di imbattuto era altrettanto vera. Ciò che la pellicola ingigantisce è la drammaticità e lo svolgimento di alcuni eventi, mossi in direzione simbolico-allegorica.

Dopo i primi incontri della sfida fatale (che ebbe luogo nel 1910), un flashback conduce a una narrativa cronologica che riparte dall'infanzia, con un episodio significativo di incontro sul leitai, ovvero una piattaforma in cui si combatteva fino a esserne espulsi e con regole che potevano comprendere anche la lotta mortale. Il padre di Huo Yuanjia perde un combattimento proprio per non avere sferrato il colpo mortale all'avversario. Huo Yuanjia si ripromette di diventare un praticante perfetto dell'arte marziale e di restare imbattuto, nel che riuscirà. Quando, anni dopo, in stato di ubriachezza e per vendicare un allievo, intraprende un combattimento con un maestro nemico anche del padre e lo uccide, si determina una vendetta per mano del figlio dell'avversario che, dopo aver assassinato madre e figlia di Huo Yuanjia, si ucciderà. Di qui parte una presa di coscienza, che porta Huo Yuanjia dapprima alla discesa dentro di sé e alla consapevolezza del dolore e del vuoto, in una serie di peregrinazioni e di abbandono degli scopi vitali, fino all'arrivo presso una comunità agricola in cui risiede vari anni, imparando la modestia, la semplicità dei modi, la quotidianità, la durezza del lavoro dei campi, la linearità degli affetti. Ritorna infine a Shanghai e combatte, nel campo dello sport, con pugili e lottatori occidentali, diventando una personificazione dell'antimperialismo e installando fiducia nei cinesi. Ha smesso di bere, è più forte interiormente, desidera tornare dalla famiglia che lo ha ospitato in campagna. Tuttavia, nel corso di una sfida contro quattro avversari, organizzata dalla Camera di Commercio straniera, giunto al confronto col quarto oppositore, un giapponese, beve una tazza di tè avvelenato e muore, proclamato però vincente, sportivamente, dal giapponese medesimo. (Nella vita reale, il veleno fu successivo alla sfida, che si concluse senza un netto vinto e vincitore).

I movimenti del wushu sono di ottima qualità filmica. Le psicologie dei personaggi sono delineate più realisticamente che melodrammaticamente, anche se i toni sentimentali non mancano, com'è giusto che sia in una storia di questo genere. La Cina tradizionale sconvolta dalla presenza straniera è ben rappresentata. Jet Li dichiarò a suo tempo che questo sarebbe stato il suo ultimo film marzial-patriottico. Se così è, peccato!


[Renato Persòli]