MOONLOVER: Caro Cesare, molti anni dopo la tua scomparsa gli occhi della morte non ti hanno raggiunto, non hanno ammantato di oblio il tuo ricordo, l'essenza delle tue parole, ciò che hai scritto e testimoniato attraverso il mestiere più duro ed ingrato: quello di uomo, di uomo solo. Per rivolgermi a te avrei voluto adottare uno pseudonimo che parlasse di miti immortali, di civiltà solari e felici. Avrei voluto chiamarmi Orfeo, il dio dal cuore umanissimo, fragile e senza fortuna, a te particolarmente caro. Ma sarebbe risultata una millanteria ed una menzogna. Nella mia epoca la musica ormai esce soltanto dalle bocche di plastica delle casse acustiche made in Korea, e le sole possibili Baccanti sono le linee ADSL per correre più rapidi nell'Ade telematico di Internet, l'ammiccante ed ineffabile Plutone che ci nutre, ci coccola, e ci sbrana la mente il corpo.
Ho optato così per uno pseudonimo più congruo, più adatto a conciliare i sentieri della mia realtà con i cieli del mio sogno. Moonlover, ho scelto, “l'amante della luna, colui che corre dietro alla luna”. E' un nome che spero possa piacerti, in fondo. La lingua inglese è stata per te solido pane quotidiano e ponte ideale verso l'America vera che hai amato. Quella delle strade e delle campagne, quella della gente, distante mille miglia dai grattacieli della retorica. Il riferimento alla luna inoltre fa volare il pensiero ai falò della tua terra, al libro in cui hai ancorato con più forza le radici del tuo affetto al suolo del tuo Piemonte, alla gente autentica che soffre ed ama in silenzio, al riparo dai riflettori del lusso e della Storia.
Mi rendo conto però, Cesare, e me ne scuso, che ho parlato solo io, finora. Degno figlio, in questo, mio malgrado, di un'epoca che ha dimenticato l'arte di ascoltare. Chiedo perdono, e correggo la rotta per farti finalmente una domanda, anzi, quella che per me è la domanda, il dubbio conficcato nei tessuti palpitanti di ogni giorno, di ogni istante: Vale ancora la pena coltivare il “vizio assurdo”, l'amore per la poesia e per la speranza in essa insita di mutare le cose, o almeno di poterle guardare da un altro lato, dalla faccia nascosta della luna? Vale la pena cercare, come hai fatto tu, di “imparare ad essere solo”, se questo è il prezzo per sognare qualcosa di diverso e per sperare di poter vivere quel sogno?
CESARE: Ti sono grato della fiducia che riponi in me, giovane amante della luna. Io però, come tutti i poeti, sono molto più avvezzo a porre le domande che non a trovare le risposte. Se avessi la capacità di risolvere il tuo enigma, se l'avessi avuta durante la mia vita, non avrei avuto bisogno di fuggire, da me, dal mondo e dal dubbio che ruota senza fine attorno ad esso e al destino di ciascuno.
Ho creduto nella poesia, ho creduto in lei fino in fondo e le credo ancora, ora più che mai. Ma una vita non basta, non bastano i versi e le rime, non basta un solo corpo ed una mente sola. C'è bisogno di un'armonia di sangue e pensieri, un contatto feroce e soave, anche sporco, imperfetto, fallace. L'amplesso della morte e dell'amore genera la vita. Quella che è difficile guardare negli occhi, quella da cui non c'è fuga possibile, neppure nelle pieghe più intime ed esili di un gesto estremo. Questa è la realtà, mio giovane amico.
Potrei lasciarti con queste parole, con il macigno di un no. Potrei confermarti che al di là delle parole, anche delle più savie e preziose, c'è il nulla. Ma sarebbe una saggezza più aspra ed assurda della più cruda follia. Non so vedere, neppure adesso, l'insieme del quadro, l'orientamento, la prospettiva, questo mi è impossibile. Però so cogliere qualche frammento, ora. Ed è questo ciò che posso darti. Una pietra di fiume levigata dal tempo da tenere stretta nella mano senza ragionare troppo sulla sua forma, sul suo peso e sulla sua collocazione nell'insieme delle cose. Il mio Orfeo, “l'Inconsolabile”, nella parte finale del suo dialogo con la Baccante le rivela in un soffio intenso e sincero di fiato: "Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho ritrovato me stesso".
Prendi solo questo, se vuoi, mio giovane amico. Il senso globale lascialo perdere. E' fuori portata. O meglio, siamo noi, istante dopo istante, nella portata della traiettoria della sua rivoltella.