Il QUADERNO DI TRADUZIONI è una raccolta di poesie inglesi e americane tradotte da Beppe Fenoglio e pubblicate da Einaudi nel 2000: un'iniziativa che ha permesso al pubblico di scoprire il grande scrittore piemontese sotto un nuovo aspetto, non solo interessante di per sé, ma anche fondamentale nella genesi della sua opera letteraria.
Nato nel 1922 ad Alba e prematuramente scomparso nel 1963, Fenoglio è noto per i suoi romanzi e racconti di vita partigiana (prese parte alla Resistenza nelle Langhe in una formazione badogliana in cui fungeva tra l'altro da ufficiale di coordinamento con le missioni alleate) e per le altre opere narrative ispirate al mondo contadino. A renderlo unico in quanto scrittore è però il rapporto molto particolare, che non ha paralleli nella letteratura italiana, con la lingua inglese e il mondo anglosassone: rapporto che risale ai tempi del liceo, quando il giovane Fenoglio, che come molti fra i suoi coetanei più sensibili avverte un acuto disagio psicologico di fronte alla volgarità e mediocrità dell'Italia fascista, scopre un mondo geograficamente lontano (e del resto da lui mai visitato, neanche nel dopoguerra) ma sentito come fonte alternativa di valori morali, spirituali, estetici (in PRIMAVERA DI BELLEZZA descriverà la propria anglofilia come "espressione del mio desiderio, della mia esigenza di un'Italia diversa, migliore"). Ad affascinarlo sono personaggi come Cromwell (uno dei suoi protagonisti si chiamerà Milton, come l'autore del PARADISO PERDUTO, ed egli sogna di essere un soldato dell'esercito puritano "con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla") e autori come Shakespeare, Donne, Marlowe, Coleridge, T.S. Eliot.
Quest'identificazione con la cultura anglofona porterà Fenoglio ad utilizzare l'inglese in un certo senso come prima lingua letteraria, quella di cui si servirà come canovaccio ("linguaggio mentale", lo definisce Calvino; lingua "mediatrice dell'atto creativo", la Corti) dal quale ricavare successivamente il testo in italiano. La sua prima opera, PRIMAVERA DI BELLEZZA, viene ad esempio scritta inizialmente in inglese; non solo: secondo la testimonianza di Claudio Gorlier, le ampie parti tutte in inglese del suo capolavoro postumo, IIL PARTIGIANO JOHNNY, non avrebbero costituito soltanto una prima stesura da rendere successivamente in italiano, ma una formula definitiva, "una scelta al tempo stesso istintiva e meditata". Il rapporto dello scrittore con l'inglese è del resto per certi versi affine a quello da lui intrattenuto con il piemontese, anch'esso strumento espressivo immediato e spontaneo che, in testi come LA MALORA, sottende il periodare italiano e, "non limit[andosi] all'introduzione di forme lessicali, [....] investe la struttura stessa del periodo, la sua sintassi non solo logica, ma intima, psicologica" (G. Lagorio).
L'importanza del lavoro di traduzione (cui Fenoglio dedicò molte energie nel corso di tutta la sua esistenza) sta proprio nel suo essere ricerca di una lingua italiana anch'essa "diversa, migliore", una lingua aperta all'innovazione, libera dalle pastoie del "bello stile", dalle ampollosità e dalle pesanti incrostazioni retoriche ereditate dal passato, che gli consenta di sperimentare le soluzioni espressive più consone alle sue esigenze di narratore. Tradurre per lui è dunque un atto creativo, una sorta di tirocinio linguistico: "Tradurre quegli elementi linguistici e formali che più avevano colpito Fenoglio nella lingua originale (.....) lo stimolò alla riscoperta degli stessi elementi nella propria lingua e, quando non esistevano, lo spinse ad inventarli" (M. Pietralunga). Tradurre, come narrare, è anche una dura disciplina, una "esaltante fatica", un lavoro sofferto ed esigente: "Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and a deeper faith".
"Ricercatore della parola", "artigiano dello stile", Fenoglio perviene così ad una prosa limpida ed essenziale, rinvigorita da una stupefacente inventività (e, anche, imprevedibilità) lessicale, da una grande libertà (conquistata, come si è visto, a prezzo di un severo apprendimento) nell'esplorazione delle possibilità creative offerte dalla lingua italiana, o in essa importate mediante un paziente lavoro di "estrazione" e affinamento delle risorse cui può attingere l'inglese. È significativo a tale proposito che Fenoglio si senta particolarmente attirato da autori, come Gerard Manley Hopkins e Coleridge, o come i drammaturghi dell'Irish Literary Revival, che non hanno imitato nessuno, hanno dato vita ad uno stile originale e, così facendo, hanno profondamente rinnovato la propria tradizione letteraria. Di Hopkins, ad esempio, Fenoglio ammira lo stile "da splendido isolato, da artista senza maestri e senza allievi", e nella BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO di Coleridge, da lui tradotta nel 1955, egli rileva "l'inventività e l'equilibrio del linguaggio. Dimensione popolare [....] significa qui sblocco di un chiuso linguaggio e liquidazione di una retorica sedimentata".
Da questo lavoro, che lungi dall'essere mera traduzione può essere definito una vera e propria comunione spirituale con gli autori da lui amati, Fenoglio trae dunque "l'idea, tutta sua, di una lingua non grammaticalizzata, duttile, scomponibile e ricomponibile, nei suoi elementi costitutivi, con estrema mobilità" (D. Isella). I risultati personalissimi e geniali da lui ottenuti non devono comunque farci dimenticare che la sua ricerca, con le esigenze di rinnovamento anche morale che la sottendono, si inserisce in un filone di rinascita del linguaggio letterario attraverso la traduzione che ha avuto come esponenti di spicco anche Calvino e Pavese. Scrive a questo proposito il critico Mark Pietralunga: "Dedicandosi con passione all'atto del tradurre, Pavese e Fenoglio cercarono di opporsi alla pigrizia mentale che Calvino notava tra i suoi colleghi romanzieri nel loro uso d'un linguaggio quanto mai prevedibile e insipido" e che spingeva Pavese a consigliare ai giovani esordienti di tradurre il più possibile. Le doti che Calvino attribuiva al buon traduttore ("agilità, sicurezza di scelta lessicale, senso dei vari livelli linguistici, intelligenza insomma di stile") sono il fondamento stesso di ogni vocazione letteraria. "Potremmo dire che il minor impegno degli scrittori giovani verso la parola e le più rare vocazioni di traduttore sono facce dello stesso fenomeno". Fenoglio, lo scrittore italiano che sentiva di esprimersi con più agio in inglese, ha lasciato in questo senso un'eredità che ancora oggi non può certo considerarsi esaurita.
Fonti:
C. Gorlier, FENOGLIO: I MAESTRI INGLESI DEL PARTIGIANO JOHNNY, La Stampa, 28-10-2000
G. Lagorio, BEPPE FENOGLIO, Venezia, Marsilio, 1998
M. Pietralunga, Introduzione a: B. Fenoglio, QUADERNO DI TRADUZIONI, Torino, Einaudi, 2000
M. Pietralunga, DUE SCRITTORI PIEMONTESI E L'ARTE DEL TRADURRE, sul sito: tell.fll.purdue.edu/RLA-Archive/1993/ Italian-pdf/Pietralunga,Mark.pdf
E. Saccone, BEPPE FENOGLIO, Einaudi, Torino 1988
L’articolo, riprodotto col consenso dell’autrice, è apparso in precedenza sulla rivista ”Inter@lia”.