13/02/09

Roberto Roversi, TRE POESIE E ALCUNE PROSE


[A man in a northern town. Foto di Marzia Poerio]


Roberto Roversi, TRE POESIE E ALCUNE PROSE. A cura di Marco Giovenale, Roma, Sassella, 2008

Un uomo e una città: Roberto Roversi e la sua Bologna.

Un uomo e la sua scrittura: dal giovanile progetto di “Eredi”, una rivista con Pasolini, Leonetti e Serra nel lontano 1942, fino ai suoi versi letti in piazza, a Bologna, durante l'estrema agonia di Eluana Englaro.

Forse non c'è, anzi credo che in assoluto non ci sia, un altro scrittore di casa nostra che abbia – dalla prima metà degli anni quaranta a oggi – un curriculum così lineare.

E scrivo l'espressione di "casa nostra" volendo sottolineare che Roversi è uno scrittore che mai ha perso di vista la realtà, la letteratura, la cultura e la politica di questo nostro Paese. Molto presto, anche se quasi per caso, ha trovato nella libreria antiquaria Palmaverde il suo osservatorio insieme centrale e appartato, un radicamento nei libri tra le pietre della sua Bologna.

L'editore Sossella pubblica oggi, per la cura di Marco Giovenale e con una nota dello studioso Fabio Moliterni, un' antologia consistente, che tuttavia non vuole e non potrebbe essere esaustiva, data l'abbondanza dei materiali. Un libro che era necessario fare e che torna a mostrare la serietà dell'impegno del suo editore sul fronte della poesia.

Il libro s'intitola TRE POESIE E ALCUNE PROSE. Scritti che vanno dai primi anni sessanta ai primi anni del duemila. Le poesie sono nella forma di lunghi poemetti, con appassionati trapassi argomentativi, citazioni da giornali e telegiornali; le prose hanno, nella loro capacità di raggiungere con la mente anche i sensi, una forza che è più frequente riconoscere alla poesia.

Il confine tra la prosa e la poesia nel fare (poiein) di Roversi viene spesso cancellato, infranto. Questo nonostante il ritmo musicale dei versi, il ricorso frequente alla rima interna e a fine verso, una cantabilità che ha risvegliato, è noto, l'interesse della canzone d'autore.

Ma torniamo ai luoghi, per i quali in mezzo a dichiarazioni scontrose d'amore, esplode una polivalenza di significati. Bologna è il luogo di LIBRO PARADISO, pubblicato nel difficile 1993, che raccoglie materiali scritti in un altro periodo di grave crisi della storia quasi-recente, la metà degli anni '70: “1. La creta, la selenite e l'arenaria / Di qui nasce il colore di Bologna / Nei tramonti brucia torri e aria […] 22. A che punto è la città? / La città è lì in piedi che ascolta. […] 24. A che punto è la città? / La città si nasconde le mani”.

Bologna: una città di rossi, il rosso come colore che brucia, colore della passione, anche politica. Bologna è muta e in silenzio, resa attonita dalla violenza, spaventata delle sue stesse responsabilità (“si nasconde le mani”). Bologna non è più la città, dove, negli anni cinquanta, arrivavano ancora dalla campagna gli odori stagionali, come Roversi testimonia in una splendida intervista resa a Gianni D'Elia, soffermandosi sullo svariare degli odori, dalla fioritura alla macerazione, della canapa. Bologna, comunque è la civitas per antonomasia, il luogo della contraddizione umana, della "civile convivenza", non più ormai laboratorio all'avanguardia, in un'Italia sempre sull'orlo della barbarie.

L'utopia è sempre l'idea regolativa della politica: Tommaso Campanella (il suo nome nella forma abbreviata dei codici: Th) è il dedicatario di tutti i libri. Utopiche, nel senso propositivo, anche le finalità della letteratura. Sperimentare è quanto si presenta imprescindibile. Sperimentare è mettere costantemente la letteratura alla prova della sua efficacia, non ripetere le fredde prove di un'avanguardia consumata che solo per arroganza può credersi innovativa. Questo è quanto Roversi afferma in serrati saggi degli anni sessanta, con i quali non è mai entrato in contraddizione.

La già citata preziosa intervista di D'Elia parte da un parallelo con l'altro poeta-librario antiquario, Umberto Saba. Le domande sugli incontri con altri grandi nomi, attiva una catena di ricordi che hanno uno dei nodi fondamentali negli anni della collaborazione con Pasolini intorno al gruppo di “Officina”. I rapporti interpersonali, certo si erano presto spezzati. La stessa fulminea affermazione di Pasolini lo aveva collocato in posizione asimmetrica rispetto al gruppo, rendendo di fatto impossibile una collaborazione paritaria. Ma, cambiando i compagni di strada, Roversi ha mantenuto una coerenza virile, un'ansia di giustizia sociale, testimoniata dai suoi scritti e dalle sue parole, una sostanziale fedeltà ai valori di una politica appassionatamente vissuta tramite la letteratura, nella logica di una militanza intellettuale al di fuori dei partiti politici.

[Piera Mattei]