19/02/09

Henry S. Turner, SHAKESPEARE’S DOUBLE HELIX


[Two beginnings, one thread. Foto di Marzia Poerio]


Henry S. Turner, SHAKESPEARE’S DOUBLE HELIX. Londra e New York, Continuum, 2007

SHAKESPEARE’S DOUBLE HELIX è un libro insolito. E dunque un volume che si trova a suo agio tra i titoli raccolti nella collana “Shakespeare Now” edita da Continuum Books, la quale promuove libri che, stando alla premessa del curatore della serie, puntano al riavvicinamento tra la critica shakespeariana e la comunità di lettori.

Ciò che è maggiormente innovativo nel libro di Turner è senza dubbio la struttura bipartita da cui il titolo deriva. La doppia elica è infatti, da un punto di vista formale e immediato, la giustapposizione di due testi. Il primo (WHEN EVERYTHING SEEMS DOUBLE) è stampato sulle pagine dispari e riguarda i concetti di mimesi e metamorfosi, in particolare a riguardo del testo shakespeariano A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM. Il secondo saggio (TWO INTERTWINING HELICES), che occupa le pagine pari, cerca di stabilire alcune linee per una possibile parentela tra genetica e letteratura. Ed è proprio questo secondo scritto a risultare il più interessante tra i due. La struttura bifronte riguarda pure la bibliografia: le voci sono raggruppate in due veri e propri capitoletti bibliografici a cui l’autore dà per titolo un verso del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE. La prima delle due parti si intitola “THIS IS THE TRUE BEGINNING OF OUR END” (Atto V, scena 1), la seconda “THEN READ THE NAMES OF THE ACTORS; AND SO GROW TO A POINT” (Atto I, scena 2). Sembra interessante notare come la parola “actors”, appartenente al campo semantico delle professioni teatrali, sia associata al secondo saggio, il quale incomincia trattando di genetica. Turner cerca di mettere in evidenza l’esistenza di elementi comuni tra il palcoscenico, i suoi attori e l’idea di mimesis e il mondo dei laboratori e dell’eugenetica. E si spinge quindi oltre, suggerendo due modi per leggere il volume: uno “verticale”, saggio per saggio, e uno “orizzontale”, che permetterebbe al lettore di “digerire” (“to digest”) simultaneamente il due scritti (p. xii).

Il primo contributo non pare essere estremamente innovativo, ma è utile al lettore in quanto utilizzabile come pietra di paragone per il secondo saggio, di certo invece più stimolante.

Il primo dei due scritti si concentra su A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM e sulle alchimie linguistiche di Shakespeare che sono in grado, secondo Turner, proprio come la moderna eugenetica, di produrre continue alterazioni e metamorfosi. Gli esempi testuali citati dal SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE sono molto ben scelti e mettono in rilievo la molteplicità dell’opera shakespeariana, caratterizzata da un continuo divenire e da una lingua poetica fortemente metamorfica. Turner cita inoltre a una vasta gamma di fonti e risulta certamente apprezzabile la menzione di alcune voci bibliografiche spesso dimenticate (su tutte Martin Gardner, THE NEW AMBIDEXTROUS UNIVERSE: SYMMETRY AND ASYMMETRY FROM MIRROR REFLECTIONS TO SUPERSTRINGS [1], citato a proposito della seduzione di Bottom-asino da parte di Titania). Turner considera quindi l’idea di mimesis, l’antico potere di imitazione della natura, e ne delinea un profilo storico a partire dalle teorie di Platone e Aristotele e, attraverso l’analisi delle esperienze di Giovanni Pico Della Mirandola e Marsilio Ficino, conclude sottolineando la capacità del teatro di dare vita alle cose attraverso la forza della significazione. Ciò vale in particolare per i drammi shakespeariani, spesso caratterizzati da una fitta trama di giochi meta-teatrali.

In A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM il potere mimetico della parola può essere sintetizzato dalla famosa esclamazione di Snout: “Bottom thou art translated” (Atto II, scena 2). Una metamorfosi, questa, che crea un asino da un uomo, o meglio innesta una testa d’asino in un corpo di uomo, e avviene per mezzo di una sorta di incantesimo evocato dall’elfo Puck. Il teatro, dunque, può ben essere visto come una continua mutazione, secondo Turner; e la metamorfosi come un incantesimo. Da queste due idee l’autore fa partire il suo studio che ha come fine ultimo la dimostrazione della possibilità di apparentare fra loro arte teatrale e genetica. Parlando di Pico della Mirandola, di Sir Philip Sidney e delle scienze occulte che Shakespeare “sfrutta in pieno nei boschi fuori Atene” (p. 54), Turner fa propria l’idea del poeta come mago, i cui intrugli magici sono le parole: proprio come gli amminoacidi sono i costituenti base dell’elica del DNA e, conseguentemente, della duplicazione genetica. Pertanto Puck è, in un libro che cerca di proporre teatro e scienza, palcoscenici e laboratori, parole e proteine come due facce della stessa medaglia, il personaggio più interessante del SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE. Difatti, secondo Turner, l’elfo riassume in sé sia l’idea di mimesis che quella di metamorfosi, mutando la sua forma con tanta facilità da rendere difficile comprendere quale sia la sua vera natura (p. 78). Per questa ragione, essendo una sorta di stregone che attraverso incantesimi verbali dà forma a se stesso - e agli altri - attraverso “a spectrum of non human beings” (p. 78), Turner afferma che Puck “enters the laboratory”, può essere considerato di fatto alla stregua di un operatore scientifico. È questa la più chiara espressione di quel potere mimetico, reso possibile dalla parola poetica, che rende A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM un dramma rivoluzionario, collocato proprio nel mezzo della “nuova scienza” del sedicesimo secolo.

Consideriamo ora il secondo saggio, il più “scientifico”. Lo scopo che l’autore vi si prefigge è chiaramente affermato sin dalle prime righe: “we should regard genetic engineering and biotechnology not simply as a new application of scientific knowledge but rather as a new model of poetics, and that Shakespeare’s own work provides a model for just such an approach” (p.7). Tutto, second Turner, ruota attorno a un problema che è quello della denominazione: “making a tool that is naturally ‘fitted for each purpose’” (p. 15). In A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM è Teseo che brandisce le parole come un’arma per creare significazioni dal nulla, riaffermando così il ruolo della parola quale molecola fondamentale della vita poetica che dà, di fatto, il nome alle cose. In questo senso, allora, il meta-teatro (nel SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE la recita dei “rude mechanicals”) assume, nella cellula che è l’intera opera, il ruolo del cromosoma malato. Peter Quince è, conseguentemente, “the misfiring regulator gene” (p. 23). Un approccio al meta-teatro shakespeariano condotto da questa prospettiva risulta piuttosto affascinante.

Turner passa poi ad osservare una presunta influenza di Shakespeare persino sulla nominazione scientifica degli oggetti. In particolare la sua attenzione si concentra su un fiore, la rosa per la precisione, sul suo profumo e sulla “Puck’s potion”, la pozione realizzata da Puck, una fragranza nata, stando Turner, dalla “unlikely collaboration between the Royal Society of Chemistry and The Royal Shakespeare Company” (p. 27), il che dovrebbe suggerire come poesia e scienza possano essere, seppure talvolta inconsciamente, apparentate.

Questa considerazione di Turner porta alla luce, tuttavia, un limite del suo volume, peraltro ammesso dall’autore stesso: la mancanza di prove filologiche a sostegno delle tesi sostenute. La sottile linea considerata il trait d’union tra linguaggio e genetica, arte teatrale e laboratori, Shakespeare e la scienza, seppure accattivante, è in fatti gran parte frutto di speculazioni scarsamente (o non del tutto) sostenute da prove testuali cogenti. Occorre dire inoltre che, a dispetto di una certa originalità, Turner si appoggia frequentemente a scritti tra cui spicca WHAT A MAD PURSUIT di Francis Crick [2], che a sua volta svolge uno studio comparato sulle figure del biologo Richard Dawkins e William Shakespeare per illustrare il processo di selezione naturale.

Il maggiore pregio del volume resta comunque quello di presentare lo studio della letteratura non come un corpo morto, ma come un’entità in perpetuo divenire e ricca di quelle molecole che, esattamente allo stesso modo dell’elica del DNA, sono in grado di perpetuare e modificare l’esistente. Sotto il velame di Shakespeare e delle sue “implicazioni scientifiche” il libro di Turner, che si decida di leggerlo in modo orizzontale o verticale, sembra essere un’esortazione a un approccio un po’ più curioso alla letteratura e, in particolare, alla critica shakespeariana, un campo critico spesso a rischio di stagnazione.

Per concludere, Turner sembra volere incitare [3] alla considerazione dei materiali poetici quasi come fossero una sorta di brodo cellulare. I corpuscoli che costituiscono questa materia lavorano insieme per poi riprodursi, potenzialmente all’infinito, con l’aiuto degli amminoacidi giusti e grazie a quella doppia elica, il DNA, che in questo volume può essere vista come una metafora dello spirito comparativo. Se si legge il libro da una tale prospettiva sarà certo più facile sorvolare su alcuni fastidiosi errori di stampa e su alcune ovvietà presenti nei due saggi, soprattutto nel primo. Ciò detto, il volume di Turner può certo essere un potenziale stimolo per nuove discussioni critiche e, nel complesso, una buona aggiunta alla sterminata critica shakespeariana.


NOTE

[1] Londra, Penguin, 1964.
[2] Londra, Wiedenfield and Nicolson, 1988.
[3] Chiaramente sotto l’influenza di Richard Dawkins, THE SELFISH GENE, Oxford University Press, 1988.

[Matteo Brera]