23/02/09

Antonio Zollino, I PARADISI AMBIGUI. SAGGI SU MUSICA E TRADIZIONE NELL’OPERA DI MONTALE


[Tradition under disguise. Foto di Marzia Poerio


Antonio Zollino, I PARADISI AMBIGUI. SAGGI SU MUSICA E TRADIZIONE NELL’OPERA DI MONTALE. Piombino, Edizioni Il Foglio, 2008


Col suo approccio intertestuale, e nell’ambito di una critica stilistica aggiornata negli strumenti, Antonio Zollino mira con questa raccolta di saggi (1989-2008) a collocare l’opera di Montale “all'interno di una salda concezione tradizionale della poesia: una concezione che si rivolge alla voce d'altri poeti come ad un termine di dialogo e di riferimento, magari da rovesciare” (p. 65), come già ebbe a esprimersi Romano Luperini, nella sua STORIA DI MONTALE, commentando gli esiti dell’influenza dannunziana sugli OSSI: “Ma Montale nel suo primo libro non si limita ad ‘attraversare’ D’Annunzio: alla fine, lo rovescia […]” [1].

L’opera montaliana acquista qui ulteriori, appassionanti profondità perché sottoposta a un’indagine che, rinvenendo tradizioni, risonanze, reminiscenze, ne spiega anche la rifunzionalizzazione in un ordine proprio, all’interno della diversa e specialissima Weltanshauung del poeta ligure. Operazione che fornisce altresì valido sostegno, quando non un quadro di riferimento, a molte delle interpretazioni (o anche solo intuizioni) della vastissima critica montaliana.

Zollino muove fondamentalmente in due direzioni: mostrare l’ampiezza delle fonti di Montale, soprattutto a livello lessicale e fonosintattico, fornendo un contributo prezioso per arricchirne la mappa; rilanciare, provandola però con maggiore acribia di spogli, la ricognizione - che definiremmo “D’Annunzio-oriented” - inaugurata autorevolmente da Pier Vincenzo Mengaldo sul corpus montaliano [2]. Il titolo I PARADISI AMBIGUI (da un verso di VIOLONCELLI), rinvia ai contributi più pregnanti qui dati da Zollino nelle due direzioni indicate: l’VIII, MONTALE PARADISIACO, sull’”osmosi”, fortemente rivendicata dal critico, “fra gli OSSI [ma non solo] e il Poema paradisiaco” dannunziano (p. 229); il X, omonimo, con la proposta di una “tipologia delle incidenze musicali nell’opera poetica” montaliana (p. 278), la cui lettura raccomandiamo al lettore per piacevolezza e dovizia di riferimenti.

Per la prima direzione (saggi I, IV, V, IX, X), il punto di partenza di Zollino sta nell’accoglimento dell’invito alla cautela espresso da Enrico Falqui molti anni or sono rispetto alla derivazione dannunziana del linguaggio poetico di Montale sostenuta (a suo giudizio troppo estensivamente) da Mengaldo col suo lavoro germinale in materia; Falqui segnalava il “rischio […] di far dipendere da D’Annunzio […] ciò che invece appartiene alla storia del linguaggio poetico italiano” [3] - di cui l’opera dannunziana costituirebbe, semmai, un poderoso agente traduttivo.

In apertura, con “Poliziano nel FALSETTO di Montale” - una “ricognizione sulle coordinate culturali” del componimento montaliano del 1924 - Zollino evidenzia la soggiacente “reminiscenza letteraria” - ai livelli lessicale, stilistico, figurale - delle STANZE, interpretata non tanto come peregrino esercizio neoclassicistico, quanto piuttosto come la rappresentazione dell’“occasione biografica” secondo un “modello di costruzione del personaggio tipico di tanta letteratura primonovecentesca”. Tale operazione di rivisitazione di una tradizione mitologizzante (l’Esterina come la Simonetta-ninfa), già praticata da D’Annunzio, obbedirebbe però in Montale ad un intento “antifrastico”, il mitologismo costituendo non più uno strumento unificante ma invece, modernisticamente, uno strumento ostensivo della “separazione” tra soggetto e altro da sé, secondo un’interpretazione del resto già ampiamente codificatasi nella critica: ancora Luperini sulle differenze già in esordio rispetto al modello dannunziano:

“Il fatto è che, mentre D’Annunzio è tutto impegnato a rimuovere la crisi del soggetto e dell’identità della poesia attraverso l’esaltazione panica e superomistica dell’io e l’elevazione al quadrato della poesia stessa, in Montale la crisi d’identità è lasciata drammaticamente aperta e lo sforzo di ricostruzione è semmai teso […] a un recupero della dimensione razionale ed etica contro ogni tentazione panica” [4].

A Zollino va il merito di fornire una “direzione di ricerca” che conferisce nuovo valore e, diremmo, “mette in sistema” precedenti “agnizioni” critiche, inclusa l’ipotesi di Ettore Bonora sull’allusione del titolo FALSETTO alla “voce del poeta che tenta di adeguarsi alla felicità del suo personaggio, di questa creatura tutta validità, che egli ammira sentendosi da lei troppo diverso” [5]. Il “falsetto” varrebbe come “falso” e, insieme, come “artificioso innalzamento del canto a un’ottava superiore” , nel senso dell’adozione di una voce non propria (il mitologismo, appunto).

Un “rapporto di trafila” fra Montale e il Papini “fantastico” (CONCERTO FANTASTICO) è esplorato e proposto nel IV saggio sulla base di somiglianze d’“ambiti tematici”, “soluzioni testuali”, “coincidenze espressive”: il tema del prigioniero, il simbolismo dello specchio, la situazione di immobilità… Convincente l’accostamento di ARSENIO alla papiniana ELEGIA PER CIÒ CHE NON FU, dove sono rilevate davvero “singolari” omologie.

Nel saggio su IL VENTAGLIO (1942), il V, Zollino ricostruisce con perizia quel che definisce “l’ampio semenzaio” intertestuale con cui Montale entrò in risonanza (specie per i motivi del ventaglio e del cannocchiale capovolto), e in modo molto convincente addita nel racconto VECCHIA STORIA (1941) di Gianna Manzini una possibile fonte. Cercando di sviluppare le implicazioni contenute nell’allusione oraziana di apertura “Ut pictura…”, l’interprete immagina che Montale abbia voluto col suo sonetto “fingere una battaglia” raccogliendo l’invito di Leonardo da Vinci, sostenitore della superiorità della pittura, a che i poeti si cimentino con i pittori nella raffigurazione della guerra (CODEX URBINAS LATINUS, 1279). Il ventaglio di Montale, sorta di pittura con “figurate parole”, fungerebbe da ex-voto imperfetto in quanto ben lungi dal potersi far “garante dell’avvenuta salvazione”; nel suo tessuto, tuttavia (e sta in questo l’interesse del lavoro ‘indiziario’ svolto dal critico), vanno ad intrecciarsi “fittissimi richiami intertestuali, che sembrerebbero raggruppati per confermare i valori di una tradizione minacciata dall’emergenza” (pp. 89-90): il ventaglio, come “condensato culturale”, oppone una fragile ma civile resistenza alla barbarie, stringendo “i valori di arte e poesia, di religione e tradizione a difesa di un’umanità gravemente minacciata nei suoi presupposti” (p. 99).

I saggi II, III e VI seguono invece la direzione della “trafila” dannunziana.

In “Su VECCHI VERSI: un’OCCASIONE fra il tempo degli OSSI e i luoghi di ALCYONE” (II cap.) il critico istruisce un’altra prova del vincolo esistente in Montale tra occorrenze biografiche e coincidenze letterarie, adducendone come esempio la “ricca vita intertestuale” di un “componimento cruciale, incentrato sui temi della memoria e della morte, in stretta connessione e opposizione fra loro, e posto in apertura della prima sezione delle OCCASIONI” (p. 27).

Partendo dalla notazione di Ettore Bonora sulla presenza in VECCHI VERSI di “una toponomastica insolitamente fitta” rispetto alle “scarse indicazioni topografiche e toponomastiche che s’incontrano nella ricca descrizione della Liguria negli Ossi di seppia” [6], il critico spezzino (conoscitore dei luoghi di referenza) lamenta il ricorrere nella critica di sviste quali l’attribuzione dell’isoletta del Tino al comprensorio delle 5 Terre o l’interpretazione del nome “Tritone” come indicazione toponomastica anziché mitologica: incongruenze che, osserva, viziano “l’ermeneutica complessiva delle OCCASIONI”, in quanto “mancano” il significativo riferimento nel testo a un territorio “già cantato [….] da d’Annunzio nell’ALCYONE” e l’altrettanto significativo richiamo mitologico - anch’esso di ascendenza dannunziana -.

Lo studioso prosegue la ricognizione intertestuale sottolineando le convergenze sia d’“ambito geografico-letterario” che lessicale con l’ALCYIONE e con LA “BAMBOCCIATA DELLA CILIEGIA” dannunziani, ma anche coincidenze lessicali e situazionali con testi librettistici (TOSCA, il TROVATORE). Il modello dannunziano sarebbe tanto più certo quanto più Montale si affannò a negarlo, come quando, nel 1970, riferendosi alla Riviera degli anni Venti, sostenne che “la variante ligure del dio Pan appariva nelle vesti di uno gnomo servizievole”: dichiarazione fuorviante rispetto al fatto che nel vecchio testo di “diversi decenni prima, fra i flutti di Portovenere, fuoriusciva il Tritone” (p. 40).

Il saggio “D’Annunzio nei TEMPI DI BELLOSGUARDO” [III cap.] muove dalle dichiarazioni dello stesso Montale sulla funzione paradigmatica svolta dal mare nella sua percezione e modalità di rappresentazione in generale (“il mare era dovunque”) [7], e - fedelmente al proprio assunto, e cioè che il poeta ligure “non possa disgiungere una qualsiasi contingenza personale da una precisa corrispondenza artistica o letteraria” (p. 41) - s’incarica di ricercare se in Montale anche “il tema marino si arricchisca del riferimento a precedenti e analoghe formulazioni espressive”.

Sulla scorta di Mengaldo e Isella, il saggio sviluppa una comparazione (specie negli incipit ed explicit) tra i tre tempi di TEMPI DI BELLOSGUARDO e vari luoghi di LAUS VITAE, ALCYONE e NOTTURNO, rilevando “certe somiglianze nelle orditure metriche, lessicali, sintattiche e retoriche”, tra cui i procedimenti dell’assonanza e della ripetizione, e un generale esito di “sostenutezza retorica”, opportunamente giudicati abbastanza poco usualmente montaliani (p. 59).

Suscita nel recensore aspettative di approfondimento la constatazione che i riscontri dannunziani, specie lessicali, nei TEMPI DI BELLOSGUARDO sono “tolti da componimenti alcioni a contenuto metamorfico e impiegati in un contesto analogo, caratterizzato dal parallelo tra piante ed esseri umani attestato soprattutto nel secondo dei ‘tempi’ montaliani” (p. 64): così come per altri temi/motivi da Montale ripresi e personalizzati fino a capovolgerne la valenza, quale ad es. “il collegamento fra musica e guerra” che nella terza parte delle OCCASIONI richiama il NOTTURNO, “eliminando qualsiasi giustificazione o esaltazione dell’imminente conflitto” (p. 65), sarebbe interessante (magari sulla scorta anche del bel saggio di Balducci) [8] indagare più da vicino le modalità, i procedimenti e le funzioni del metamorfismo in Montale, in comparazione ai modelli dannunziani.

Ma dove più riccamente si esplica il contributo critico di Zollino è nei saggi centrali: il VI, “Riscontri dannunziani nella BUFERA E ALTRO DI MONTALE (pp. 101-81); il VII, IL RIFERIMENTO DANNUNZIANO DA SATURA AD ALTRI VERSI (pp. 183-219); l’VIII, MONTALE PARADISIACO (pp. 221- 54).

Nel VI, il modello mengaldiano è applicato a LA BUFERA E ALTRO, e s’interessa “prevalentemente ai prestiti sintagmatici e alle reminiscenze fono-semantiche” da D’Annunzio (p. 106). L’accurata indagine, cui il ricorso agli spogli informatici assicura esaustività, trova un suo sicuro interesse a livello dell’interpretazione soprattutto là dove (come nella lettura de L’OMBRA DELLA MAGNOLIA) rileva la plusvalenza che certi simboli/motivi ricorrenti nell’opera montaliana (quali ad es. la /poesia-amuleto/, la /magnolia/, il /congedo/) traggono dall’intreccio che in essi si realizza tra “ricordo reale” e riferimento a precedenti letterari:

“L’OMBRA DELLA MAGNOLIA è nella BUFERA E ALTRO ciò che IL NOVILUNIO è all’interno dell’ALCYONE: appunto una lirica d’addio, a una donna e a una stagione insieme […]. Con la partenza della donna si sancisce, oltre che la fine di un’epoca storica per Montale, e di un’irripetibile stagione della vita in d’Annunzio, anche la fine di un modo di far poesia che a quell’epoca-stagione era legato: così in d’Annunzio la “canzone” dell’estate “si tace per sempre” (v. 165), mentre in Montale “la lima che sottile / incide tacerà, la vuota scorza / di chi cantava sarà presto polvere” (vv. 20-23)” (p. 166).

Suggestiva la notazione di Zollino sul “carattere schiettamente tematico” della motivazione che soggiace al “riuso” di passi dannunziani nella BUFERA: “il riferimento scatta di frequente per esprimere un’idea salvifica della poesia come scrigno di valori da eternare, esemplarmente condensabile nel simbolo del “gioiello” (si vedano GLI ORECCHINI in Montale e IL SONETTO D’ORO per d’Annunzio […]); ma anche [….] in presenza del tema dell’ “attesa del miracolo”, motivo che sarà certamente caratteristico di Montale, ma anche altrettanto certamente trova un illustre precedente in d’Annunzio (p. 178).

Nel VII saggio, Zollino mostra come dopo la BUFERA, “consumato l’estremo tentativo di una poesia salvifica ed esoterica, saldamente radicata su basi tradizionali e postsimboliste” (p. 183), pur nell’adozione di una lingua molto più vicina a quella dell’uso e nel ridimensionamento dell’allusività, permanga in Montale un dialogo intertestuale, benché più “diluito”, con la tradizione: Gadda, Tasso, Gonçales Dias e Sinisgalli (spunti evidenziati da Cesare Segre, 1996) e… D’Annunzio, con una manifesta preferenza per il LIBRO SEGRETO, attraverso rinvii difficilmente giudicabili come mere “coincidenze occasionali di temi e di atmosfere” (p. 215).

Nell’VIII saggio il critico sostiene l’idea di una continuità tematica ed espressiva rispetto al POEMA PARADISIACO - non solo negli OSSI ma anche nelle “raccolte successive (e in particolar modo […nel]la stagione “postuma”) di Montale, confermando in questo modo una ricezione né effimera né superficiale” (p. 224). Il recupero di POEMA PARADISIACO nel DIARIO POSTUMO sarebbe conseguente a un cambiamento di poetica, nel senso che

“quella poesia che nelle sillogi precedenti poteva sopravvivere soltanto screditata e senz’ombra d’aura, quasi negando se stessa, torna ora a rivestire una funzione attiva e credibile. Una siffatta rinnovata funzionalità si accompagna, dal punto di vista contenutistico, al ritorno alla purezza e alla semplicità del privato intesi come recupero di uno spazio edenico, immacolato, lontano dal mondo secolare e dai suoi pervertimenti, che combacia sostanzialmente con i motivi ispiratori e alla sostanza del POEMA PARADISIACO” (p. 234).

La lettura di NEL GIARDINO e di altri luoghi del DIARIO POSTUMO, come IL FILOLOGO, mostrano l’assimilazione di “una serie di momenti testuali e di spunti tematici” del POEMA PARADISIACO, con un procedimento che riscatta il registro spesso degradato del dettato poetico attraverso una “sovrapposta allusione letteraria, attiva solo cripticamente” (p. 242), e l’attivazione di campi semantici già dannunziani, quali la “musica dimenticata”, il /bianco/, il /giardino-paràdeisos/, il /tizianesco/ e il /pallore/ muliebri… D’accordo con Giuseppe Savoca, che nell’introduzione alle CONCORDANZE di DIARIO POSTUMO rilevava nel corpus stretti rapporti con Leopardi ed anche autocitazioni [9], Zollino definisce DIARIO POSTUMO come uno spazio poetico “in cui d’Annunzio appare inserito in un coro di voci intertestuali trascelte in un canone ‘alto’” (p. 247), dove la riproposizione, non più “negata e ironizzata”, di “temi e stilemi paradisiaci” avviene “all’interno di uno spazio comunicativo interamente ritagliato nel privato e, nella fattispecie, nel dialogo rivitalizzante con la ‘giovane Saffo’, ovvero l’interlocutrice femminile [Annalisa Cima] che campeggia nel testo e nella stessa destinazione del DIARIO POSTUMO” (p. 254).

Un volume che ben fa risaltare le qualità da segugio testuale di Zollino, montalianamente capace di rilevare la “maglia che non tiene” proprio nel luoghi testuali - poetici e critici (anche di autorità quali Mengaldo o Segre (cfr. saggio IX, sul “sabià” di Montale) - dove meno sembrerebbe annidarsi l’imboccatura d’una pista fruttuosa per una sempre più dettagliata ricostruzione dell’“enciclopedia” montaliana.


NOTE

[1] R. Luperini, STORIA DI MONTALE, Roma-Bari, Laterza, 1986, p. 24.

[2] Pier Vincenzo Mengaldo, DA D’ANNUNZIO A MONTALE, in AA.VV., RICERCHE SULLA LINGUA POETICA CONTEMPORANEA (1966), “Quaderni del Circolo filologico-linguistico padovano”, I, Padova, Esedra, 1972; poi in LA TRADIZIONE DEL NOVECENTO, PRIMA SERIE, Milano, Feltrinelli, 1975; Torino, Bollati Boringhieri, 1996.

[3] E. Falqui, NARRATORI ITALIANI DA D’ANNUNZIO A C.E. GADDA, Firenze, Vallecchi, 1972, p. 77.

[4] R. Luperini, cit., p. 24.

[5] E. Bonora, INTERPRETAZIONE DI MONTALE, Torino, Tirrenia Stampatori, 1977, p. 71.

[6] Ibidem, p. 36.

[7] MONTALE COMMENTA MONTALE, a cura di L. Greco, Parma, Pratiche, 1980, p. 94.

[8] M. A. Balducci, IL SORRISO DI ERMES. STUDIO SUL METAMORFISMO DANNUNZIANO, Firenze, Vallecchi, 1989.

[9] G. Savoca, CONCORDANZA DEL DIARIO POSTUMO DI EUGENIO MONTALE: FACSIMILE DEI MANOSCRITTI, TESTO, CONCORDANZA, Firenze, Olschki, 1997.


[Paola Polito]