09/02/09

Annalisa Bonomo, UN ARTISTA A CAVALLO TRA CIELO E TERRA: L’ALLEGORIA TOLKENIANA DI LEAF BY NIGGLE

La raccolta conosciuta sotto il nome di TREE AND LEAF, venne pubblicata dalla Allen&Unwin Publishers, nel 1955, in seguito alla volontà di dare alle stampe in un unico volume il saggio ON FAIRY-STORIES ed il racconto allegorico dal titolo Leaf by Niggle, rispettivamente del 1938 e del 1939. Negli anni Sessanta, la stessa casa editrice decise di ripubblicare il volume con due ulteriori aggiunte SMITH OF WOOTTON MAJOR e THE HOMECOMING OF BEORHTNOTH, rispettivamente un altro racconto allegorico ed un piacevole poemetto pubblicati da J.R.R. Tolkien separatamente nel 1967 e nel 1953. Ad oggi pertanto, TREE AND LEAF riunisce definitivamente tutti e quattro i componimenti tolkeniani.

Pubblicato per la prima volta autonomamente sulla “Dublin Review” nel 1945, LEAF BY NIGGLE “was written when THE LORD OF THE RINGS was beginning to unroll itself” [1]. Definito dall’amatissima figlia Priscilla, come il racconto più autobiografico di J. R. R Tolkien, rimane effettivamente tra le più affascinanti creazioni tolkeniane. Nel 1938-39, la guerra imperversava, e con essa le insicurezze dell’uomo e dell’artista che spinsero Tolkien ad interrogarsi sui sempre più complessi rapporti tra uomo e società. Le domande senza risposta, la paura dell’inutilità dei propri miti lo portarono sul punto di rinnegare la propria esistenza di artista avvertita come pietosamente ridicola di fronte alla tragedia dell’umanità.

È con questo stato d’animo che l’autore decide tra l’azione o il ritiro dal proprio compito sociale ed è così che nasce la storia di Niggle il pittore, allegoria della condizione tolkeniana di quel periodo e unico protagonista di uno dei racconti migliori mai scritti da Tolkien, sebbene relativamente poco noto e spesso sottovalutato dalla critica di settore.

Niggle è un pittore di scarso successo, pigro e disordinato, ma ossessionato dalla voglia di “rifinire” (ma avrebbe fatto meglio a dire “terminare”) la sua unica ed importante creazione: un quadro raffigurante un grande albero al centro di un boschetto soleggiato. Aveva iniziato col dipingere solamente una foglia al centro della tela, ma quest’ultima si era via via trasformata in un albero maestoso e poi in un vero e proprio bosco di ampie dimensioni, tanto grande da costringerlo a costruire un apposito capannone nel suo giardino per potervi continuare a lavorare.
Dal desiderio ossessivo di completare l’opera il pittore è però continuamente distratto dagli obblighi di concittadino molto legato alla vita del suo paese. Curare il suo giardino o accorrere in aiuto del proprio vicino, continuano a rappresentare per lui l’impossibilità materiale di poter dipingere.

Particolarmente conflittuale è in tal senso il rapporto con uno dei suoi vicini, Parish lo zoppo, il quale non perde mai tempo per stuzzicarlo specie nei momenti in cui è più assorto a lavorare al quadro. Agli occhi di Parish, infatti, l’impegno di Niggle costituisce nient’altro che un’inutile perdita di tempo su un orribile ammasso di “macchie” scure e senza senso.

Va da sé che dietro il nome del vicino di Niggle, Parish, vi sia un evidente riferimento al significato di “comunità”, oltre che strettamente al corrispettivo italiano di “parrocchia”; quella degli uomini probabilmente, zoppa perché incompleta, incapace di valutare le azioni o l’impegno del singolo se non su limitate basi utilitaristiche.

È il rapporto conflittuale tra Niggle e Parish a costituire però il tema centrale del racconto. È in seguito all’ennesima distrazione procuratagli da Parish che Niggle finisce con l’ammalarsi, ed è durante la sua convalescenza che matura una crescente e lacerante percezione della brevità del tempo e della piccolezza dello spazio rimastigli da vivere.

L’antica consapevolezza della necessità di un viaggio, rimasto sempre a mezz’aria, mai iniziato se non nell’atto di rimandarne gli eterni preparativi prende solo allora il sopravvento sull’impegno artistico prolungato una vita.

Finalmente ripresosi dalla malattia ed al tempo stesso convinto di godere adesso delle forze sufficienti al completamento dell’opera, viene ancora una volta interrotto dall’ennesima visita: questa volta è il Cocchiere Nero a portargli la notizia che il tempo del suo viaggio non può più essere rimandato. Costretto a lasciare la sua unica opera incompiuta e privo degli adeguati preparativi necessari al viaggio, Niggle condivide con l’uomo di ogni tempo la condizione di partenza per l’ultima meta di ciascuna esistenza. Abbandonato il proprio paese, che molto ha in comune con le ridenti campagne inglesi tanto care a Tolkien, si ritrova protagonista di un nuovo scenario, i cui colori e le cui sfumature lo fanno simile ad una sorta di Purgatorio dantesco. Preso in cura in uno strano ospedale del luogo, Niggle impara a lavorare con intensità e costanza, pur non rinunciando mai alle sue benevole meditazioni solitarie. Dimenticati gli sbagli terreni, è ormai sicuro del “dono” artistico che padroneggia con quasi assoluta abilità.

La serenità intimamente connessa all’inserimento nella nuova comunità coincide con la promozione ad uno stadio successivo della cura a cui è sottoposto, così come Niggle stesso ha modo di intendere in seguito ad una conversazione privata avvenuta tra due “voci” misteriose.

Partito dunque per un altro breve viaggio e non ancora del tutto consapevole del luogo in cui riveste i panni di un eterno malato, Niggle si ritrova a contatto con una natura ridente mai vista prima:

“Niggle pushed open the gate, jumped on the bicycle, and went bowling downhill in spring sunshine. Before long he found that the path on which he had started had disappeared , and the bicycle was rolling along over a marvelous turf. It was green and close […]He seemed to remember having seen or dreamed of that sweep of grass somewhere or other” [2].

Ed è allora che si svela il miracolo: il nuovo paesaggio, che gli è in qualche modo familiare, non è nient’altro che il soggetto del suo stesso quadro, ma questa volta vivo e completato meglio di quanto lui stesso l’avesse mai immaginato. A padroneggiare l’intero panorama, Niggle ritrova il suo grande e amatissimo Albero:

“Before him stood the Tree, his Tree, finished. If you could say that of a Tree that was alive, its leaves opening, its branches growing and bending in the wind that Niggle had so often felt or guessed,[…]He gazed at the Tree, and slowly he lifted his arms and opened them wide.
“It’s a gift!” he said. He was referring to his art, and also to the result; but he was using the word quite literally” [3].

Sebbene l’Albero sia ormai perfettamente terminato, Niggle si accorge quasi subito che molte zone circostanti richiedono ancora un suo intervento.

Preso dalla voglia disperata di rifinire una volta per tutta la sua opera, la volontà rimane potenza per via di una strana sensazione dell’assenza di qualcosa. L’acquisita consapevolezza del proprio dono artistico, infatti, non è sufficiente: Niggle si riscopre incapace di operare sull’opera senza la presenza del suo antico nemico Parish.

Anche Parish, infatti, si trova presso lo stesso luogo di cura di Niggle ed è solo insieme che i due amici ritrovatisi dimostrano la forza necessaria al completamento dell’ultima fase della creazione artistica di Niggle.

La Fantasia (Niggle) e il senso pratico (Parish) sono così inevitabilmente legati e destinati a produrre i risultati migliori.

Parish è ormai guarito dalla sua infermità fisica e spirituale; è adesso un uomo nuovo e arricchito, pronto ad essere di vero aiuto all’opera di Niggle.

Terminati gli ultimi lavori, l’artista Niggle è ormai pronto a sognare mete più elevate, può ora desiderare il Paradiso stesso.

“Al livello dell’esperienza profana, la vita vegetale non è che un insieme di “nascite” e “morti”. Solo la visione religiosa della Vita permette di “scoprire” nel ritmo della vegetazione altri significati, prime fra tutte le idee di rigenerazione, di eterna giovinezza, di salvezza e di immortalità.[…]L’immagine dell’albero è stata scelta per significare la vita, l’immortalità e la sapienza” [4].

Niggle è ormai pronto per il suo ultimo viaggio: abbandona l’amicizia riscoperta per Parish, nel paese da loro insieme creato, Niggle’s Parish, destinato a rimanere meta di “ristoro” per chiunque si senta affaticato dal lungo viaggio che è la vita.
Il pittore Niggle sarà presto dimenticato definitivamente anche sulla Terra. Anche l’ultima foglia del suo quadro,infatti, conservatasi miracolosamente dopo la sua morte, andrà perduta dal Museo che l’aveva inizialmente conservata.

Quell’ultima foglia (l’opera) era di certo destinata a perire, ma il suo creatore, Niggle/ Tolkien, era invece pronto ad un legame maturo e costruttivo con il mondo, sulle ali di una fantasia intimamente legata ai colori dell’intuizione e alla forza di una partecipazione pratica alla vita.

NOTE

[1] J.R.R. Tolkien, INTRODUCTORY NOTE, in TREE AND LEAF, London, Unwin Books, 1971.

[2] “Niggle spinse il cancello, saltò in sella e scese pedalando per la collina nel sole primaverile. Ben presto si accorse che il sentiero lungo il quale si era avviato era scomparso e che la bicicletta stava ora correndo su un meraviglioso prato. Era verde e compatto […] Gli pareva di ricordarsi di aver visto o sognato quella distesa chissà dove o quando” (Dalla traduzione italiana ALBERO E FOGLIA).

[3] “Davanti a lui stava l’Albero,il suo Albero, bell’e finito. Se lo si poteva dire di un albero, quello era vivo, con le foglie che si aprivano e si piegavano nel vento che Niggle aveva così spesso sentito o immaginato […]Guardò l’Albero, e lentamente alzò le braccia e le allargò. “E’ un dono!” , esclamò. Intendeva riferirsi alla propria arte, ma insieme anche al risultato, e tuttavia la parola l’aveva usata in senso assolutamente letterale” (TREE AND LEAF, cit., p. 88; traduzione italiana ALBERO E FOGLIA, pp. 127-28).

[4] M. Eliade, IL SACRO E IL PROFANO, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 95