27/01/09

Satyajit Ray, THE APU TRILOGY


[Life as a net of crossing paths. Foto di Marzia Poerio]


THE APU TRILOGY. Titolo italiano LA TRILOGIA DI APU: 1. PATHER PANJALI (IL LAMENTO SUL SENTIERO), 1955; APARAJITO (così anche in italiano, ma THE UNVANQUISHED, il non vinto, in inglese), 1956; 3. APUR SANSAR (IL MONDO DI APU), 1959. Tratto da romanzi di Bibhutibhushan Bandopadhyay. Musica di Ravi Shankar. Con Kanu Banerjee, Karuna Banerjee, Subir Banerjee, Soumitra Chatterji, Smaran Ghosal, Pinaki Sen Gupta, Sharmila Tagore

In PATHER PANJALI, in un villaggio rurale bengalese, un sacerdote induista, Harihar, è avvolto in una difficile esistenza assieme alla famiglia. La sventura si manifesta sotto forma di miseria come pure di destino: il film termina con la morte per malattia della figlia Durga e la decisione di Harihar di trasferirsi a Varanasi con la moglie Sarbajaya e il figlio Apu. In APARAJITO, sempre per malattia, muore Harihar; Sarbajaya e Apu riescono a superare il lutto; con sacrifici Apu frequenta la scuola, al termine della quale vince una borsa di studio per proseguire gli studi in città. La sventura è implacabile: muore la madre. Apu tuttavia non demorde e riesce a diplomarsi. In APUR SANSAR, sempre vivendo in miseria, Apu ormai adulto, con aspirazioni di romanziere, sposa Aparna, la sorella di un amico, per salvarne l'onore in quanto il matrimonio combinato di lei con un folle era stato necessariamente disdetto il giorno stesso previsto per le nozze. Da un incidente di questo tipo nasce una storia d'amore, ma la tragedia si abbatte di nuovo quando nel dare alla luce un figlio Aparna muore. Apu vaga per l'India per anni prima di essere in grado di venire a patti col dolore, riprendersi il figlio che era cresciuto con i nonni materni e guardare verso il futuro.

Si tratta di capolavori, il primo più degli altri apprezzato dalla critica. La qualità nitida e impeccabile del bianco e nero, la descrizione degli ambienti di miseria, l'alternanza delle espressioni di gioia e di dolore non melodrammatiche e vicine alla verità, l'impianto epico della costruzione strutturale, la capacità di introspezione nei personaggi, l’abilità nel cogliere tanto momenti di vita quotidiana negli esterni quanto di vicenda familiare negli interni.

I sentimenti hanno certo importanza e si combinano con un impianto non retorico nonostante il páthos che anima i tre episodi. La pianura è percorsa da un treno che risuona in distanza. Aparna recita con una compostezza non rassegnata. La madre porta i segni della scuola cinematografica russa. Il fato è di scena costantemente. La vita si rappresenta nelle sue variegate espressioni. I primi piani si posano sugli occhi e sui sorrisi. I campi lunghi mostrano il pullulare di attività del lungofiume di Varanasi.

Per un italiano, la somiglianza con l'accanirsi della mala sorte ricorda il verismo verghiano (e il Visconti di LA TERRA TREMA), mentre le somiglianze col neorealismo sono impressionanti.


[Renato Persòli]