25/01/09

Alberto Savinio, LA NOSTRA ANIMA


[Classical reference (The British Museum, London). Foto di Marzia Poerio]


La nostra anima. Prima edizione 1944. Milano, Adelphi, 1981


La nostra anima, un rifacimento della favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio, si distacca dall’originale sotto molti aspetti. Savinio demitizza modernamente i protagonisti, invertendo il motivo della bellezza legata all’amore inteso come prototipo del comportamento umano. Psiche ha becco di pellicano (una dote che il testo, spesso comico, giudica positiva) e Amore non appare con ali d’angelo bensì in qualità di mostro, da cui l’orrore della fanciulla che per giunta non viene assunta in cielo, anzi la si incontra in una cella miseranda di un museo dei manichini di carne a Salonicco.

La demitizzazione è conseguente alla convinzione di Savinio che viviamo in un universo posteriore alla fine delle divinità. Nondimeno, per quanto umanizzata e in parte degradata, Psiche mantiene attributi simbolico-allegorici, che la avvicinano all’essenza della vita in quanto avvicendarsi di sfortune e illusione, abbrutimento oltre che parabola positiva, infine emblema fantastico e omaggio al surreale.

Il protagonista, alter ego utilizzato anche altrove da Savinio, è Nivasio Dolcemare, un essere postmitico, misurato e ironico, osservatore imparziale delle vicende umane, amante in questo caso di una signora sposata di nome Perdita, che a sua volta intreccia legami amorosi con un dottor Sayas, conoscitore e guida del museo.

È Perdita a voler illudersi che l’anima sia immortale e a essere delusa dallo scienziato (Sayas) che le spiega: “l’anima è un composto di ossigeno, azoto e anidride carbonica”, verità espressa sulla scorta, commenta Savinio, di “Volfango Goethe e […] altri pensatori universalmente ammirati e rispettati” (p. 33).

È sempre Perdita che vorrebbe che l’amore trionfasse e tra i Psiche e lo sposo ci fosse una fine tradizionale come quella della leggenda; sviene quando ciò non accade, esclamando tre volte quando rinviene “È la fine di tutto!”. Psiche annuncia che “alla fine di ciò che gli uomini chiamano amore, nascerà il vero amore”, ma è la medesima Perdita a metterla a tacere finché, nel finire della storia Psiche, ovvero “la nostra anima” gradualmente “si spegne” (p. 66).

Raccontata con ironia lieve, ma a volte anche scollacciata, questa storia non manca di risvolti di páthos, riorientati verso il lettore dopo la smitizzazione. Dallo zero della disillusione viene ricostruita una fiducia nel vivere?


[Roberto Bertoni]