19/01/09

John Fuller, SOMETHING MORE THAN SHADOW

Nìmes, Phoenix Press, 2004


John Fuller. Un inglese puro sangue. Poeta di lunga data. E un intellettuale (Docente al St. Magdalen College, Oxford). Figlio del poeta di memoria nazionale Roy Fuller.

Fra le sue varie opere, vale ricordare: WAITING FOR THE MUSIC,1983 (poesia); FLYING TO NOWHERE,1983(sorta di FINNEGANS WAKE, in cui si sfrutta la tecnica del correlativo oggettivo); THE CHATTO BOOK OF LOVE POETRY, 1990 (antologia); OXFORD BOOK OF SONNETS, 2000 (antologia); anche THE SONNET, 1972; EPISTLES TO SEVERAL PERSONS, 1973.

John Fuller è un poeta moderno coltivato al gusto classico, e attento alle cose minime. Per natura controllato e preciso cultore della forma. Geometrico, calligrafico, virtuoso della parola in lunghi poemi, “blank verse” perfetto, specialista del sonetto e della rima. (Shakespeare, un esempio per lui sempre presente). Ha sperimentato varie modalità di scrittura, dal tono serio al giocoso, l’inventivo, il brillante, il “civile”, fino a un tipo di linguaggio estremo per struttura e movimento grammaticale in FLYING TO NOWHERE. In poesia le sue strofe fluenti portano le linee del pensiero in un vocabolario semplice e sapiente, parola stringata, concreta, quotidiana, lo stile asciutto. Nella sua chiarezza l’autorità dell’espressione ha un rapporto con la musica e la matematica. Raramente un poeta è allo stesso tempo trasparente e di notevole spessore, come in questo caso. Unisce una sorta di gentilezza d’animo all’energia dell’intelletto. Tale, autentico poeta d’Inghilterra, appare questo poeta, nell’insieme, rispetto all’uso che fa della sua lingua madre nella sua opera complessiva.

La poesia in traduzione che qui si presenta inizia la plaquette SOMETHING MORE THAN SHADOW (i titoli dei suoi libri sono sempre accuratamente scelti), e si espone nella semplicità: “The little body I was in / Starred on the grass”. Battuta senza incertezze nelle linee iniziali del suo pentagramma poetico.

“Waiting”. Nel giardino chiuso, ciò che invita dall’esterno si trova già in nuce dentro l’essere, che cerca il giusto, la meraviglia, della conoscenza. Parole adulte, la visione à rebours. Si dialoga con la terra, con i vermi (cfr. Shakespeare).

L’età bella si mostra primavera della vita, come l’aprile “stirring memory and destre” (nell’espressione di T.S. Eliot), “che muove memoria e desiderio”. L’inizio è il presente progressivo di un adolescente, che, senza saperlo ancora , volge il gesto a ciò che l’attende, il suo futuro. “Nel dirsi agisce, nel nominarsi si concreta”. Tutt’intorno è il suo teatro. Il corpo è l’attore.
In un tempo senza tempo, lo spazio, il privilegio di esserci. L’“attesa” del titolo è l’avvento, “annuncio dell’evento”, la necessità di ciò che deve essere, di ciò che sarà. Un’attesa come ascolto, di un bene, di un male, di una felice crudeltà, qualcosa che non si esprime. Granello nel grembo della terra, ogni essere germoglia alla sua storia, alla disposizione innata dell’a-tendere. Attesa di qualcosa o qualcuno che ci mancherà sempre. Come in un sogno confuso, mai chiarito.

Il senso della vita viene in seguito a complicarsi in mezzo ad altre vite, le più vicine. E c’è sempre un suono che il Tempo lascia nel trascorrere, per richiamarci a ritroso. Più tardi negli anni riflettiamo. Alla fine vediamo una fila di morti che sorridono. Allora, “Pange lingua” (“Parla, lingua”), il Poeta prende la parola. “Di parola fa la carne” (Tommaso d’Aquino, “Verbo carnem efficit”). Resuscita i morti. Allegrezza e concordia operano misericordi dal silenzio finale.

Gran parte della vita è a questo punto svanita. Padri, nonni, gli ante-nati, “qualcosa più che Ombra”, tutto è trascorso, quanto nel ricordo ci resta. Essi, che ci hanno tonificato la mente nell’andare, ci chiamano. Verso di loro, come l’angelo di Klee, volgiamo indietro il viso. Il nostro passato di sapienza e di bellezza non ha portato alla soddisfazione dell’agire nella conoscenza. I nostri palazzi cedono alla rovina, mentre una forza, un vento, ci spinge avanti senza tregua, le ali costrette a piegarsi verso le generazioni sorgenti, che ci escludono, cui il futuro appartiene.
Il cerchio si conclude nel punto dove era cominciato. Questo il senso di tutta la plaquette.
Che termina così: “As my grandson said of my dead father : / ‘Well, when he’s finished being dead, / We’ll go to see him then’” (“Come ha detto di mio padre morto il mio nipotino : / “Beh, quando il nonno avrà finito di essere morto, / allora noi andremo a trovarlo” “).


WAITING

The little body I was in
Starred on the grass. While all around
The grimed yellow brick of London

Projected its iron balustrades
Into the theatres of unpruned garden,
Stalls of laurel, gods of willow,

With flinty paths on which my cats
Stood unconcerned as usherettes
And the clouds passing like scenery.

Gardens are the soliloquies
Of our agon with the authorial earth,
All morning interrogating worms.

All afternoon crucifying a tree
With an air-pistol, the silvery slugs
Studding the bark like slow typing.

I was still waiting for the scene to open,
Waiting for the downy-jawed girl
From the flat downstairs to come and play.

The lonely tangent of childhood locked
Into its slow ascent, the world
Bathed in the weathers of its future.



ATTESA

Una star sull’erba,
il piccolo corpo in cui ero. Mentre tutt’intorno,
fuligginosi mattoni giallofumo, Londra

proiettava balaustre di ferro
su teatri di giardino incolto,
altari d’alloro, dèi di salice,

sentieri sassosi su cui i miei gatti
stavano impassibili come mascherine
e le nubi passavano a scenario.

I giardini sono i soliloqui
di noi in gara con la terra autore,
tutto il giorno a interrogare i vermi.

Tutto il pomeriggio a crocifiggere un albero
con una pistola ad aria, i lumaconi lucenti
inchiodati lungo il tronco, un lento scrivere a macchina.

Ancora attendevo che la scena si aprisse,
attendevo che la ragazza dalla mascella forte
scendesse dall’appartamento giù a giocare.

La tangenziale solitaria della fanciullezza chiusa
nella sua lenta ascesa, il mondo
bagnato nei climi del suo futuro.


(Nota introduttiva e traduzione di Giuliana Lucchini )