19/11/08

Nino Arrigo, LETTERATURA COMPARATA E “LETTERATURA MONDIALE”


[Modernity from Asia (View on skyscrapers in Hong Kong). Foto di Marzia Poerio)

Il 31 Gennaio 1827 Goethe, conversando con Eckermann a proposito di un romanzo cinese [1], spegneva subito l’entusiasmo nei confronti della diversità culturale destato nell’amico (“un romanzo cinese! Esclamai: deve essere ben singolare!”), con una laconica risposta (“Quegli uomini pensano, agiscono e sentono quasi come noi, e ci si accorge assai presto d’esser loro uguali”), che tradirebbe - secondo Franca Sinopoli - “un grande meccanismo di elusione della diversità” [2].

A noi pare piuttosto di riscontrare, nell’atteggiamento di Goethe - d’accordo con Guillén - i prodromi del “comparativismo migliore”, quello che parte da un punto di vista nazionale, locale, per poi aprire ad un contesto più ampio, “rendendo così possibile il dialogo tra il locale e l’universale, l’uno e il diverso, che infonde vita, da allora” [3], alla comparatistica letteraria.

L’operazione condotta da Goethe è senza dubbio di enorme portata culturale, e in anticipo sulla storia. Egli aveva “presenti le peculiarità dei suoi tempi e guardava soprattutto verso il futuro”, ed è appunto con lui che nasce il concetto di Weltliteratur che si potrebbe dunque tradurre - come suggerisce Guillén - con “letteratura del mondo” [4].

L’atteggiamento goethiano sembrerebbe inoltre evocare, dal punto di vista metodologico, i principi del “pensiero sistemico”. Nel pensiero sistemico - lo ricordiamo - “le proprietà delle parti possono essere comprese solo studiando l’organizzazione del tutto. Di conseguenza, il pensiero sistemico non si concentra sui mattoni elementari, ma piuttosto sui principi di organizzazione fondamentali. Il pensiero sistemico è “contestuale”, cioè l’opposto del pensiero analitico. Analisi significa smontare qualcosa per comprenderlo; pensiero sistemico significa porlo nel contesto di un insieme più ampio” [5]. Porre le singole letterature nazionali nel contesto dell’insieme più ampio di una “letteratura mondiale”, non era l’intenzione nascosta dietro il concetto goethiano di Weltliteratur? Piuttosto che “meccanismo di elusione della diversità” - il “dispositivo” goethiano - non sembrerebbe rispondere ai canoni dell’apertura al dialogo interculturale, secondo quel “doppio vincolo” di locale e globale, terra/patria, suggeritoci da Morin e dal “pensiero complesso” [6]?

L’oscillazione tra il locale e il globale, l’uno e il diverso, le parti e il tutto, presente nel concetto di Weltliteratur (ad un livello, quindi, del “tutto”), sembrerebbe corrispondere, in maniera ologrammatica, all’oscillazione tra mito (il tutto) e Logos (le parti) attiva all’interno dei singoli testi letterari (quindi delle “parti”) [7], che compongono come delle tessere il grande mosaico della “letteratura mondiale”.

Quello ereditato da Goethe è senza dubbio, per tutti coloro che si occupano di letteratura, un testamento importante, un testamento però - secondo Milan Kundera - “tradito” [8]:

“Provate infatti ad aprire qualsiasi manuale, qualsiasi antologia: la letteratura universale è sempre presentata come una giustapposizione di letterature nazionali. Come una storia delle letterature! Delle letterature, al plurale!

Eppure Rabelais, sempre sottovalutato dai suoi compatrioti, non è mai stato capito così profondamente come da un russo: Bachtin; Dostoevskij da un francese: Gide; Ibsen da un irlandese: G. B. Shaw; James Joyce da un austriaco: Herman Brock; l’importanza universale della generazione dei grandi nordamericani - Hemingway, Faulkner, Dos Passos - è stata rivelata in primo luogo da alcuni scrittori francesi (‘in Francia sono il padre di un movimento letterario’ scrive Faulkner nel 1946 lamentandosi della sordità che incontra in patria). Questi pochi esempi non sono bizzarre eccezioni alla regola; no, sono la regola: la distanza geografica allontana l’osservatore dal contesto locale e gli permette di abbracciare il grande contesto della Weltliteratur, il solo capace di mostrare il valore estetico di un romanzo, vale a dire gli aspetti sino allora sconosciuti dell’esistenza sui quali il romanzo ha saputo far luce; la novità della forma che ha saputo trovare.

Intendo forse dire che per giudicare un romanzo non occorre conoscere la sua lingua originale? Certo, è esattamente quel che intendo dire! Gide non sapeva il russo, G. B. Shaw non sapeva il norvegese, Sartre non ha letto Dos Passos in originale [...] (E i professori di letterature straniere? La loro missione primaria non dovrebbe essere quella di studiare le opere nel contesto della Weltliteratur? Non c’è speranza. Per dimostrare la loro competenza di esperti, si identificano ostentatamente con il piccolo contesto nazionale delle letterature che insegnano. Ne adottano le opinioni, i gusti, i pregiudizi. Non c’è speranza: è nelle università straniere che un’opera d’arte è più profondamente invischiata nella propria provincia d’origine) […]” [9].

Niente di più suggestivo di un romanziere che parla del romanzo. Quale migliore critica?

La forza polemica di Kundera, scagliata contro il provincialismo di certa critica, è sferzante. Un punto di vista, rigidamente e scleroticamente fissato sulle questioni linguistiche, non farebbe che distogliere lo sguardo dalle ben più importanti componenti estetiche e dalle novità formali del fatto letterario, che, ad assecondare il critico-romanziere, andrebbe meglio gustato e compreso al di là della provincia d’origine e, persino, in traduzione [10].

Glissando le “piccole” questioni che l’opera letteraria incontrerebbe in un contesto provinciale, l’idea di Weltliteratur sembra intendere l’opera, alla maniera dell’ermeneutica, come “apertura di un mondo”, proprio mentre dalla provincia (il locale) apre al mondo (l’universale).

L’esperienza estetica diverrebbe in tal modo un’esperienza “della verità che ‘si apre’ nelle opere” [11], e che rimanda “a un ambito che non si lascia definire se non in riferimento all’esperienza della religione e del mito” [12].

Un’esperienza che, “intesa nel senso di Gadamer, come un processo di trasformazione entro cui il lettore dell’opera è coinvolto (insieme all’opera stessa - non dimentichiamolo - che dalle interpretazioni riceve un reale incremento d’essere)”, non potrebbe dunque che essere un’esperienza dell’interpretazione e poco importa, dunque, se in lingua o in traduzione.


NOTE

[1] Si possono leggere i colloqui tra Goethe e G. P. Eckermann in A. Gnisci, LA LETTERATURA DEL MONDO, Roma, Sovera, 1993, pp. 17-21.

[2] F. Sinopoli, DALLA COMPARAZIONE INTRACULTURALE ALLA COMPARAZIONE INTERCULTURALE, in A. Gnisci-F. Sinopoli, MANUALE STORICO DI LETTERATURA COMPARATA, Roma, Meltemi, 1997, p. 15.

[3] C. Guillén, L’UNO E IL MOLTEPLICE. INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA COMPARATA (1985), Bologna, Il Mulino, 1992, p. 60.

[4] Ibidem.

[5] F. Capra, LA RETE DELLA VITA (1996), Milano, Rizzoli, 2001, pp. 40-41.

[6] Rimandiamo a E. Morin, LA TESTA BEN FATTA. RIFORMA DELL’INSEGNAMENTO E RIFORMA DEL PENSIERO (1999), Milano, Cortina, 2000, sorta di vademecum, versione “tascabile” della sua “monumentale” opera di elaborazione del “Metodo”, ma anche sintesi illuminante delle nuove coordinate del “pensiero complesso”, indirizzate verso una riforma (quanto mai utile ed auspicabile) dei programmi d’insegnamento, tenendo conto della “tensione” generata dalla doppia prospettiva “locale-globale”. Per uno studio esaustivo del pensiero di Morin si veda A. Anselmo, EDGAR MORIN. DALLA SOCIOLOGIA ALL’EPISTEMOLOGIA, Napoli, Guida, 2006.

[7] Rimandiamo qui alla dialettica complementare tra il dionisiaco e l’apollineo nietzschiani cui accostiamo - facendole corrispondere - le categorie di mito e logos. Cfr. F. Nietzsche, LA NASCITA DELLA TRAGEDIA (1872), Milano, Adelphi, 2000.

[8] Cfr. M. Kundera, IL SIPARIO (2004), Milano, Adelphi, 2005, p. 48.

[9] Ibidem, pp. 48-49.

[10 Alla lista degli scrittori meglio compresi in traduzione sfugge a Kundera il caso Poe. Notoriamente bistrattato dalla critica americana, ancora in tempi recenti (vedi l’ostracismo riservatogli da Harold Bloom), l’importanza di Poe nel contesto della Weltliteratur si deve alla mediazione della critica e della letteratura francese.

[11] G. Vattimo, OLTRE L’INTERPRETAZIONE, Bari, Laterza, 1994, p. 83.

[12] Ibidem, p. 82. Piuttosto che di competenze tecniche finalizzate all’analisi semiotica dei testi, avremmo bisogno di affinare il nostro udito per diventare quegli “ascoltatori estetici” di cui parlava Nietzsche. Ecco come Morin liquida in poche, fulminanti, battute la stagione della semiotica francese: “tempo fa, in Francia, andava di moda la semiotica. I professori di letteratura non facevano più leggere i testi, Racine, Voltaire, o che altro, come in passato: prendevano certe pagine e le analizzavano semiologicamente. Risultato: i giovani, che prima amavano leggere, dopo questa “cura”, non volevano leggere più” (Cfr. “La Repubblica”, 4-4-2007, intervista a Morin a cura di Laura Lilli).