27/11/08

Cristina Cona, LA TRADUZIONE IMPOSSIBILE: TRANSLATIONS di Brian Friel

Siamo nel 1833 a Ballybeg ("Baile Beag": "villaggio"), nel Donegal, contea dell'Irlanda nordoccidentale. Diversi abitanti sono riuniti nel granaio che funge da "hedge school" per seguire la lezione del giorno: latino, greco, aritmetica (le "hedge schools" erano scuole non ufficiali, assai diffuse nelle campagne irlandesi dal Seicento fino alla metà dell'Ottocento, tenute da maestri che venivano pagati dalle famiglie contadine per istruire i loro figli e sopperire così all'assenza di scuole per la popolazione cattolica; spesso effettivamente esse insegnavano anche le lingue dell'antichità classica). La lezione viene interrotta dall'arrivo di Owen, figlio minore del maestro, che vive a Dublino e che si trova nella contea per fare da accompagnatore ed interprete a due ufficiali dell'esercito britannico impegnati nella preparazione di una mappa con relativa "traduzione" dei toponimi locali.

In quel decennio, infatti, le autorità militari britanniche effettuavano rilievi topografici di questo genere su tutto il territorio irlandese, nel quadro di una politica al contempo di controllo e di più stretta integrazione dell'isola nel Regno Unito (l'Act of Union tra Irlanda e Gran Bretagna è dell'anno 1800). Il lavoro di traduzione consisteva nell'anglicizzare i toponimi gaelici (non solo villaggi e città, ma anche campi, colline, corsi d'acqua), o trascrivendoli in una versione foneticamente (più o meno) simile, o traducendoli nei corrispondenti termini inglesi (ad esempio, "Cnoc Bán" - collina chiara, o bianca - poteva dare, nel primo caso, "Knockbawn", e nel secondo, "Fair Hill").

Il compito affidato ad Owen (che i due inglesi, non comprendendo questo nome gaelico, si ostinano a chiamare "Roland") non si limita alla toponomastica, ma consiste anche nel fare da tramite - linguisticamente e politicamente - tra gli ufficiali e gli abitanti, che non parlano l'inglese. L'esistenza di questa barriera linguistica non impedisce comunque che sbocci un idillio fra Máire, una ragazza del villaggio, e George Yolland, il più giovane dei due ufficiali, idealista e ben intenzionato, sul quale l'Irlanda esercita un profondo richiamo. Quando George scompare (come tutti sanno e nessuno dice, ucciso dai gemelli Donnelly, misteriose figure che, mai presenti fisicamente sulla scena, ricorrono tuttavia sovente nei discorsi dei personaggi e che rappresentano la "physical force tradition" della storia irlandese), l'esercito annuncia rappresaglie terribili e si intuisce lo sgretolarsi imminente del mondo come finora lo conoscevano gli abitanti di Ballybeg, della sua civiltà e della sua cultura. Il villaggio sarà raso al suolo, Máire è decisa a partire per l'America (e il maestro le insegnerà l'inglese), Owen sembra voler abbandonare il suo ruolo di traduttore-traditore. Solo Jimmy Jack, un solitario scapolo sulla sessantina intriso di mitologia greca, continua ad inseguire il miraggio di un matrimonio con Pallade Atena.

Numerosi ed estremamente vari sono i temi di TRANSLATIONS (1981), opera del celebre commediografo irlandese Brian Friel: la conquista coloniale ("an act of geographical violence through which virtually every space in the world is explored, charted and finally brought under control" - E. Said), la perdita di identità culturale e linguistica, i colpi mortali che il 19° secolo assesterà alla civiltà gaelica (prefigurati nel dialogo: la carestia, evocata da quello "sweet smell" che ogni volta si rivela un falso allarme, ma che una dozzina di anni dopo annuncerà effettivamente la malattia delle patate, la fame e la morte; l'emigrazione massiccia dalle campagne di lingua irlandese, che porta Máire a chiedere insistentemente di imparare l'inglese; l'avvento delle National Schools, che usavano unicamente l'inglese e che furono un potente fattore di anglicizzazione anche forzata). Questa crisi linguistica "becomes the focus through which questions of authority and failure, love and treachery, culture and its disintegration are examined" (S. Deane).

Fra gli schemi possibili di lettura, è per noi comunque importante quello costituito dall' intersecarsi di vari livelli di traduzione. In primis, certo, traduzione dall'irlandese all'inglese, processo di acculturazione obbligata e di contenimento di una realtà linguistica "sovversiva" (e viceversa, l'esclamazione di Owen, "George! For God's sake! My name is not Roland!", segna il primo passo verso la rivendicazione di un'identità fino a poco tempo fa negata: "Owen - Roland - what the hell. It's only a name"). Ma anche traduzione dell'inaccettabile in concetti politicamente accettabili (nel primo incontro fra abitanti ed ufficiali Owen fornisce una traduzione volutamente edulcorata, dalla quale non risulta affatto il carattere militare dell'operazione in corso), del burocratese in linguaggio normale (Il capitano Lancey: "His Majesty's government has ordered the first ever comprehensive survey of this entire country - a general triangulation which will embrace detailed hydrographic and topographic information and which will be executed to a scale of six inches to the English mile". Traduzione di Owen: "A new map is being made of the whole country"), della realtà quotidiana nei miti di un'antichità classica scomparsa come è destinata a scomparire la civiltà gaelica tradizionale (il dialogo perenne con déi ed eroi omerici in cui è assorto Jimmy Jack, filtro atemporale che gli consente sia di trascendere che di interpretare il mondo che lo circonda), dei sentimenti personali in gesti e parole che in qualche modo suppliscano all'assenza di una lingua comune (così il dialogo fra Yolland e Máire, reso tutto in inglese nella finzione scenica, obbliga lo spettatore ad uno sforzo di immaginazione per discernere quale sia il vero grado di comunicazione fra i due innamorati), dell'inglese parlato in Irlanda nel "Queen's English" (Hugh, il maestro, vuole offrire da bere a Lancey: "What about a drop, sir?". Lancey: "A what?").

In TRANSLATIONS però la traduzione finisce per capovolgersi nel suo opposto: l'intraducibilità, quella che Seamus Deane ha definito "the failure of language to accommodate experience, the failure of a name to fully indicate a place, the failure of lovers to find the opportunity to express their feeling": intraducibilità connaturata alla natura politica del confronto fra colonizzatore e colonizzato, al partire da presupposti diversi quale che sia la lingua usata, così che anche quando l'Irlanda sarà "normalizzata" e anglicizzata le parole porteranno sempre in sè "the final incoherence that has always characterized the relationship between the two countries". Lo stesso Yolland, che accarezza il progetto di stabilirsi nel villaggio, dimostra di rendersene conto quando dice: "Even if I did speak Irish....the language of the tribe will always elude me, won't it? The private core will always be...hermetic, won't it?" In questo senso, il tema centrale di TRANSLATIONS potrebbe definirsi la traduzione impossibile.


NOTA

Fonti: Brian Friel, SELECTED PLAYS, Londra, Faber, 1984 (introduzione di Seamus Deane); Seamus Deane, A SHORT HISTORY OF IRISH LITERATURE, Londra, Hutchinson, 1986; David Cairns e Shaun Richards, WRITING IRELAND: COLONIALISM, NATIONALISM AND CULTURE, Manchester University Press, 1988.

L’articolo, riprodotto col consenso dell’autrice, è apparso in precedenza sulla rivista ”Inter@lia”.