Nonostante oltreoceano, in anni recenti, alcuni critici abbiano contribuito a dare vigore ad uno studio tematico della letteratura, si è addirittura proposto un “ritorno alla critica tematica” [1], qui dall’Italia si procede, sospettosi, all’insegna delle cautele.
Alcuni critici, fra i quali Lavagetto, ci mettono in guardia dagli eccessi della critica tematica, i cui rimedi non sarebbero - ad avviso di quest’ultimo - sufficienti a salvare la critica italiana da una “dolce morte”:
“così venne riscoperta la vecchia critica tematica e niente (nessun oggetto: dalle nuvole ai viaggi, dalla nascita alla morte) apparve tanto insignificante da non poter assurgere a valore di tema e a trasformarsi con qualche piccola e abile sollecitazione, nell’esile filo che veniva fatto passare velocemente attraverso i testi più diversi, con disinvoltura manipolati e 'ridotti' in funzione delle necessità dimostrative” [2].
Tuttavia c’è chi, come Remo Ceserani, ha creduto a tal punto in un siffatto approccio critico alla letteratura, da costruire un monumentale DIZIONARIO DEI TEMI LETTERARI [3]. Ma ci sono anche critici della nuova generazione, del calibro di Massimo Fusillo, che usano a tal punto con agilità, versatilità e intelligenza lo strumento della critica tematica, da ottenere, spesso, ottimi risultati. È il caso del bel libro di Fusillo su Dioniso [4].
La posizione di Ceserani prende però le distanze dall’importante stagione francese della mythe-critique [5], che ha sostituito il concetto di tema con quello di mito, rendendoli pressochè sinonimi. Questa tendenza critica, dietro l’influenza di modelli psicanalitici, trova nell’opera di Bachelard uno dei suoi possibili incunaboli [6].
Dal canto nostro, non possiamo che considerare un arricchimento un simile apporto critico. Non è affatto un caso, infatti, se Bachelard, oltre ad essere un pioniere della fenomenologia dell’immaginazione poetica sia anche il pioniere di un nuovo spirito scientifico. E se apprezziamo l’approccio pragmatico alla critica tematica di Ceserani - che, dal canto suo, non ha mai fatto mistero della sua distanza dai modelli junghiani, procedendo all’insegna di un freudismo eclettico -, tuttavia ne segnaliamo alcuni possibili limiti.
Riteniamo infatti che, per avere cogenza critica, un tema debba affondare le proprie radici nelle strutture profonde dell’immaginazione. Ora, procedere all’insegna di una concezione dell’inconscio rigidamente identificata con il “rimosso”, qual è quella freudiana (ancora peggio se nella vulgata di Orlando [7], dove viene sostituto con il termine “represso”), non farebbe - a nostro avviso - che ridurre le possibilità dell’immaginazione.
All’idea di un inconscio, ridotto alle “insane patologie” del rimosso, del “familiarismo” edipico e di una scrittura come “terapia” [8], riteniamo di gran lunga più utile, dal punto di vista delle potenzialità simbolico letterarie in essa contenute, l’idea - proposta, non a caso con pungente provocazione nei riguardi del freudismo, da Deleuze e Guattari - di un inconscio come “macchina desiderante” [9].
Ma un altro problema, a nostro avviso, fa da sfondo alla critica tematica: quello della storia.
È la storia letteraria, infatti, a rappresentare la cornice del tema, a registrarne variazioni e permanenze, costanti e varianti: “elementi che permangono da cultura a cultura, ed elementi che si trasformano; per deformazione professionale il comparatista si interessa inevitabilmente più ai primi (ma non nega certo i secondi)” [10].
Ma quale storia? Una storia con una linea dritta verso un télos, rigidamente simmetrica ed evolutiva, portatrice di una logica, alla maniera di Francesco Orlando? O una storia fatta di discontinuità, di variazioni e permanenze a un tempo, la cui logica non potrebbe allora che essere quella, paradossale, del mito nietzschiano dell’eterno ritorno (“tutte le cose dritte mentono (...) Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo” [11], suggeriva il nano a Zarathustra)? Noi incliniamo verso la seconda.
Ma persino da Franco Moretti (certamente immune da compromissioni con il cosiddetto “irrazionalismo”) - in un capitolo dedicato agli “alberi” e alle storie letterarie, del suo recente LA LETTERATURA VISTA DA LONTANO - giunge un attacco, tanto garbato quanto reciso, nei riguardi di Francesco Orlando, dei suoi alberi e della sua visione della storia dove vigono, ancora, la “simmetria” e la logica binaria:
“Che la storia abbia una logica, si sa, è un’idea affascinante. Ma è anche estremamente improbabile. Qui la teoria darwiniana - così come è riassunta e visualizzata negli alberi evolutivi - dà al processo storico una forma completamente diversa: comprensibile, naturalmente, ma anche sempre asimmetrica. Negli alberi evolutivi a differenza degli OGGETTI DESUETI (...) le biforcazioni morfologiche non sono mai binarie, ed escludono quindi in partenza il principio di simmetria adottato da Orlando (...) la storia ha una forma, sì; ma non così bella” [12].
NOTE
[1] Cfr. W. Sollors, (a cura di), THE RETURN OF THEMATIC CRITICISM, Cambridge (Mass.)-London, Harvard U. Press, 1993. Di Sollors si veda anche: LA CRITICA TEMATICA OGGI, in “L’asino d’oro”, V. 9, 1994, pp. 156-81.
[2] M. Lavagetto, EUTANASIA DELLA CRITICA, Torino, Einaudi, 2005, pp. 56-57.
[3] R. Ceserani-M. Domenichelli-P. Fasano, (a cura di) DIZIONARIO DEI TEMI LETTERARI, Torino, UTET, 2007.
[4] M. Fusillo, IL DIO IBRIDO, Bologna, Il Mulino, 2006. In questo stesso filone val la pena segnalare: P. Boitani, L’OMBRA DI ULISSE. FIGURE DI UN MITO, Bologna, Il Mulino, 1992; G. Paduano, LUNGA STORIA DI EDIPO RE. FREUD, SOFOCLE E IL TEATRO OCCIDENTALE, Torino, Einaudi, 1994; R. Ceserani, LO STRANIERO, Roma-Bari, Laterza, 1998; M. Fusillo, L’ALTRO E LO STESSO. TEORIA E STORIA DEL DOPPIO, Firenze, La Nuova Italia, 1998; si veda anche, per uno studio di carattere teorico e generale, D. Giglioli, TEMA, Firenze, La Nuova Italia, 2001.
[5] Cfr. P. Brunel, MYTHOCRITIQUE. THEORIE ET PARCOURS, Parigi, Puf, 1992. Pregevole espressione di questa temperie critica è il già citato DIZIONARIO DEI MITI LETTERARI, a cura di Brunel. Si veda inoltre RÉÉCRITURE DES MYTHES: L’UTOPIE “AU FAMININ”, a cura di J. Cauville e M. Zupancic, Amsterdam-Atlanta, Rodopi, 1997.
[6] Sulla linea inaugurata da Bachelard, ma con più precise finalità letterarie, si possono collocare gli studi di Jean-Pierre Richard: POÉSIE ET PROFONDEUR, Parigi, Seuil, 1966; PROUST E IL MONDO SENSIBILE (1974), tr. it., Milano, Garzanti, 1976; e di Jean Strarobinski, di cui si veda in particolare: RITRATTO DELL’ARTISTA DA SALTINBANCO (1983), tr. it., Torino, Boringhieri, 1984; ma anche: L’OCCHIO VIVENTE. STUDI SU CORNEILLE, RACINE, ROUSSEAU, STENDHAL, FREUD (1961), tr. it., Torino, Einaudi, 1975.
[7] La nozione di inconscio adottata da Orlando è “largamente influenzata dalla sua scelta ideologica di tipo storicistico e razionalistico. Egli infatti tende a far coincidere l’inconscio con il rimosso, che significativamente arriva a sostituire col termine ‘represso’ (e negli ultimi tempi con quello alternativo di ‘superato’). Se l’inconscio è il represso, e addirittura il ‘represso sociale', allora viene meno (...) l’importanza del Trieb, cioè delle pulsioni primarie con la loro alterità pre-simbolica. Così l’inconscio diventa luogo eminentemente linguistico, il giacimento di ciò che, espulso dalla coscienza, è pur sempre passato attraverso i filtri della coscienza, cacciato nel buio della repressione indotta dai codici culturali di un certo ambiente e di una certa epoca. Nella comunicazione letteraria si ha, dunque, un 'ritorno del represso', che non rinvia dunque a nessun Altro ma semplicemente a contenuti censurati, e già quindi linguisticamente strutturati, che riemergono nei testi con le debite schermature e mascherature” (E. Gioanola, PSICANALISI E INTERPRETAZIONE LETTERARIA, Milano, Jaca Book, 2005, pp. 42-43).
[8] Tuttavia Freud, che non era poi così freudiano, si abbandona spesso al “fascino mitico di ciò che la nevrosi comporta, vale a dire il bisogno di ricordare, di ritornare e di ripetere”, contraddicendo “la perorazione razionale dell’emancipazione dalla nevrosi” (L. Coupe, IL MITO. TEORIA E STORIA, Roma, Donzelli, 1999, p. 97).
[9] Cfr. G. Deleuze-F. Guattari, L’ANTI-EDIPO. CAPITALISMO E SCHIZOFRENIA (1972), tr. it., Torino, Einaudi, 1975. Non è un caso se Deleuze e Guattari valutano positivamente il punto di partenza da cui Jung muove la sua rottura da Freud: “Jung notava che lo psicanalista nel transfert appariva spesso come un diavolo, un dio, uno stregone, e che i suoi ruoli andavano singolarmente al di là delle immagini parentali. Tutto è peggiorato in seguito, ma il punto di partenza era buono” (ibidem, p. 49).
[10] M. Fusillo, IL DIO IBRIDO, cit., p. 11.
[11] F. Nietzsche, COSÌ PARLÒ ZARATHUSTRA. UN LIBRO PER TUTTI E PER NESSUNO, tr. it., Milano, Adelphi, 2001, p. 184.
[12] F. Moretti, LA LETTERATURA VISTA DA LONTANO, Torino, Einaudi 2005, pp. 104-05.