15/09/08

Carl Gustav Jung. RICORDI, SOGNI, RIFLESSIONI


[Solid stone and sphere perfection with nearby biological life (from Garbagna). Foto di Marzia Poerio]


Titolo originale: ERINERRUNGEN, TRAUME, GEDANKEN von Carl Gustav Jung (1961). Edizione italiana: Carl Gustav Jung, RICORDI, SOGNI, RIFLESSIONI. Raccolti ed editi da A. Jaffé. Milano, Rizzoli, 1992 (Ristampa 2007).

Jung spiega come a un certo punto della sua vita, anche per superare il lutto per la morte della moglie, abbia scolpito la pietra e creato una scultura nella casa di Bollingen. Tale è anche la sua opera che si forma per strati successivi e risulta da uno scavo e un modellamento dei materiali man mano acquisiti, come sembrerebbe risultare da questo libro, che non è un'autobiografia nel senso tradizionale, bensì principalmente (ma non solo) un racconto della "visione interiore": "la mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio. Tutto ciò che si trova nel profondo dell'inconscio tende a manifestarsi al di fuori, desidera evolversi oltre i suoi fattori inconsci, che lo condizionano"; la vita "sperimenta se stessa come totalità" (p. 27).

Trattandosi di resa della realtà interiore più che di quella esteriore, è affascinante, per chi si interessa di psicologia junghiana, notare quanto essa spesso provenga da sogni del pensatore svizzero: rivelatori di particolari momenti dello sviluppo delle sue ipotesi sull'inconscio, o che ne preannunciarono dei passaggi, come la percezione fin da ragazzo, osservata su di sé, della convivenza di due atteggiamenti diversi della personalità; o lo studio sperimentale, ancora una volta su di sé, delle immagini interiori, da cui rivela di essersi salvato prima di cadere nella psicosi, facendo ricorso non solo alla mediazione del pensiero razionale, ma anche a tecniche yoga.

In RICORDI, SOGNI, RIFLESSIONI, non si forniscono i dati delle esperienze concrete compiute se non quando essi siano particolarmente significativi per capire le concezioni della psicologia analitica. Sono descritti momenti dei viaggi, per esempio, in luoghi primigeni d'Africa, Asia e America, da cui Jung trasse la relatività del pensiero europeo, la vicinanza degli abitanti originari delle Americhe e dell'Africa all'emotività e alle personificazioni della natura, la complessità delle filosofie indiane e in esse in particolare la coesistenza di bene e male e di altri opposti.

Forse curioso è il ricorso a momenti di sincronicità, ovvero avvenimenti inspiegabili che si potrebbero ritenere casuali, ma si rivelano significativi: premonizioni di decessi, intuizioni come lo scricchiolare di un muro nella casa di Freud, che quest'ultimo attribuì a forze deterministiche, mentre Jung ne vedeva l'aspetto magico-premonitorio. Di premonizioni, del resto, era esperta la madre, che forse trasmise questa facoltà a Jung, secondo il quale "il futuro è preparato nell'inconscio già molto tempo prima, e [...] perciò può esssere indovinato dai chiaroveggenti" (p. 283)

La rottura con Freud è un momento spiegato di questo volume e attribuito a divergenze di opinioni, oltre che di carattere. Jung vedeva nella teoria della sessualità di Freud una parzialità interpretativa, mentre per l'analista elvetico la complessità si pone in primo piano: l'inconscio è una forma di energia che si sviluppa in varie direzioni; la sessualità è rilevante sullo stesso piano degli altri istinti positivi e negativi. Una psicologia unica non può spiegare e risolvere i casi clinici, in quanto "la terapia è diversa per ogni caso [...] perché la soluzione del problema è sempre individuale; [...] in un'analisi mi si può sentir usare il linguaggio di Adler, in un'altra quello di Freud" (p. 170). In parallelo e non in contraddizione con questo accento sull'individualità, Jung annetteva alla propria filosofia gli archetipi dell'inconscio collettivo, un aspetto che Freud vedeva con sfavore. Si sentiva mosso più "dalla ricerca della verità" che dall'appartenenza a una scuola o a una corrente (p. 199).

L'infanzia tra religiosi (il padre e altri familiari) deve aver influito sulla riflessione laica di Jung su Dio, come pure sul riferimento alle storie della Bibbia. Lo si constata in molta sua produzione e soprattutto nel LIBRO DI GIOBBE, rapportato alla figura di Cristo. Giobbe si domanda il perché del dolore; Cristo nulla sa se non che deve penare; venendo la sofferenza da Dio, sta a Dio stesso sacrificarsi per mezzo di Giobbe e di Cristo. Cristo rappresenta un'immagine del Sé nell'Occidente, secondo Jung, ovvero della totalità psichica, delle varie forze che compongono la psiche.

Non c'è comunque un'ossessione religiosa, bensì una tendenza a dare all'aspetto mistico il posto integrato che merita in una concezione del mondo scientifica e insieme umanistica: da qui anche l'interesse per le religioni orientali a cui si rapportano concetti junghiani come quello di mandala ("il centro, [...] l'espressione di tutte le vie, [...] la via al centro, l'individuazione", p. 241), della quaternità e dell'enantiodromia.

Negli alchimisti, che studiò da erudito qual era (anche professore universitario per alcuni anni), trovò conferma della forgia inconscia, della tendenza all'individuazione, del rapporto tra i contrari (soprattutto tra il maschile e il femminile) che sfociano nella coniunctio. Scrive: "la psicologia analitica concordava stranamente con l'alchimia. Le esperienze degli alchimisti erano, in un certo senso, le mie esperienze, e il loro mondo era il mio mondo [...]; avevo trovato l'equivalente storico della mia psicologia dell'inconscio" (p. 250).

Poco trattato il tema dell'Ombra; piuttosto affrontate, negli ultimi capitoli, le preoccupazioni per un'umanità che presa nella massificazione e nella vita materialistica e di consumo ha perso di vista la semplicità da cui proviene, almeno in parte, anche l'equilibrio. La felicità è affidata all'interiorità: "se ci si concentra su ciò che vuole e dice la personalità interiore, il dolore passa" (p. 238).

[Roberto Bertoni]