17/09/08

Guru Dutt, KAAGAZ KE PHOOL

1959. Sceneggiatura: Abrar Alvi. Testi delle canzoni: Kaifi Azmi. Musica: S. D. Burman. Con Guru Dutt, Naaz, Waheeda Rehman, Veena

Il regista Suresh Sinha (l’attore è il regista Guru Dutt) vive separato dalla moglie Bina (l’attrice Veena), appartenente a una famiglia anglicizzata e aristocratica che a causa della professione di Suresh gli impedisce anche di vedere la figlia Pammi. Suresh, durante la lavorazione del film DEVDAS, si imbatte in una ragazza del popolo, Shanti (interpretata da Waheeda Rehman) e la trasforma in attrice. Shanti si innamora di Suresh, ma per altruismo si allontana dalla sua vita quando Pammi le chiede di farlo affinché suo padre a sua madre si riconcilino, il che non accade. Da quel momento, invaso dalla mancanza dell’amata e perseguitato da un destino avverso, Suresh si dà all’alcool. Sinha, che per questioni legali è costretta a continuare la vita d’attrice, non riesce a recuperarlo. Raccontata restrospettivamente da Suresh, la storia si conclude col suo decesso sulla poltrona da regista quando da anziano rivisita gli studios in cui lavorava all’apice della carriera.

Si tratta di un film sulla labilità della buona sorte e sul cinema, oltre che sulla differenza di classe sociale e le difficoltà del matrimonio, dell’amore, della solitudine.

Se dall’intreccio, come lo si è rapidamente delineato sopra, si nota l’appartenenza di genere al melodramma, non raro nei film indiani, ci si trova però di fronte a un’opera che va molto al di là, sia in termini di realtà nella rappresentazione di un tema che deve essere apparso piuttosto anticonformista nell’India degli anni Cinquanta, ovvero la separazione tra i coniugi, sia in termini di stile della rappresentazione: la tipizzazione melodrammatica c’è assieme a quella comica (affidata ad alcuni buoni caratteristi che come in altre pellicole indiane alleggeriscono la drammaticità forte degli eventi), ma si ha al contempo una ricerca di movimenti corporei corrispondenti alla vita, un dialogo intelligente e funzionale alla storia narrata, inquadrature di impianto diremmo neorealista (la scuola di campagna, per esempio, con bambini che paiono abitare con spontaneità l’ambiente in cui li riprende la telecamera).

L’ossatura narrativa ha un sovrastrato metanarrativo. Come si accennava, infatti, KAAGAZ KE PHOOL è un film sul cinema. Non solo racconta la storia di un regista fittizio, ma lo stesso regista reale di questo film lo interpreta con funzioni di attore protagonista. Il film che sta girando il personaggio all’inizio è DEVDAS, ben noto se se ne erano prodotte diverse versioni nel 1928, 1935, 1936, 1955 (di una del 2002 ci si occuperà nei prossimi giorni su queste pagine). Il protagonista Devdas disperde la propria vita a causa di un amore irrealizzato, oltre ad altro che accade; e il motivo della caduta è forse quello che più si collega a KAAGAZ KE PHOOL assieme alla presenza di due donne nella vita di Suresh come in quella di Devdas. Senza contare, a livello metanarrativo, la presenza del riferimento al genere cinema: al protagonista cineasta manca un’attrice che interpreti Paro (un personaggio di DEVDAS) e la cerca nella vita reale, così dice, assumento però, per questo ruolo di popolana, una della maggiori attrici indiane del tempo, Waheeda Rehman appunto. Le raffinatezze allusive abbondano, per esempio il cinema dentro il film: quando si rappresenta la prima del film di Suresh, non si mostra lo schermo, ma la platea col pubblico, alludendo all’elemento principale, la visione del film, obliquamente tramite chi lvi assiste mentre noi osserviamo quegli spettatori senza poter vedere il film fittizio; si evita in tal modo una ripetizione dello schermo del film di Sinha dentro lo schermo sul quale già presenziamo alla proiezione di KAAGAZ KE PHOOL.

Sul piano esistenziale, oltre all’amore, alla solitudine e al sacrificio, appare in posizione forse dominante il destino, contro il quale Suresh non ha partita; e che favorisce la carriera, ma rattrista la vita, di Shanti. Questo motivo è ripetuto e sottolineato nella canzoni (come lo spezzone tradizionale interrotto dall’addolorato protagonista perché dice: “Il fato ci ha preso in trappola; la vittoria e i fallimenti fanno parte del gioco; perché preoccuparsi?”). Affiancato a questo tema è quello della validità delle scelte individuali rispetto a quelle dettate dall'ambiente, dalla posizione sociale, dal pregiudizio, anche a rischio di pagare di persona prezzi alti.

Tra le canzoni, ci è piaciuta soprattutto WAQT NE KIYA KYA HASEEN SITAM (“Dolce calamità non essere più gli stessi, noi due, cuori senza posa che si uniscono come se non fossero mai stati separati”) (WAQT NE KIYA U-TUBE).

Film della modernità e dell’impero del bianco e nero, sentimentale e socialmente forte, autoriflessivo, di notevole recitazione per merito soprattutto di Dutt e Rehman.

[Renato Persòli]