09/09/08

Angelo Tonelli, CANTI DI APOCALISSE E D’ESTASI


[Detail from the walls of Milan. Foto di Marzia Poerio]


Angelo Tonelli, CANTI DI APOCALISSE E D’ESTASI. Comprende poesie e prosa di Angelo Tonelli; il saggio introduttivo COSMO E CAOS DI ANGELO TONELLI, di Roberto Bertoni; e APPENDICE DI TRADUZIONI a cura di Antonio Staude. Udine, Campanotto, 2008

Si dice che Kahós preceda Kosmos, che la Follia - come la definisce Umberto Galimberti - sia l’universo indifferenziato da cui nasciamo e che incessantemente irrompe con la sua cieca violenza dentro di noi, a patto di tenerla a bada articolando prima di tutto il linguaggio, che mette ordine nelle cose, definisce i limiti, instaura la comunicazione, stabilendo sistemi di sopravvivenza, codici morali e sociali; Il Kosmos, quindi, non è che l’ordine che segue al disordine. Dunque, primala Follia e dopoil nostro tentativo di controllarla, modularla. Ma, quando questo controllo eccede e distrugge chi l’ha creato, ecco che ancora la follia ha il sopravvento.

Per Tonelli, l’origine è Kosmos, l’Ordine armonioso di Orfeo, e chi non segue le sue leggi naturali - come l’uomo moderno che le tradisce, volutamente dimentico di questa saggezza antica - è ineluttabilmente destinato al Grande Disordine, a un Kahós distruttivo e annientante, alla perpetua Follia: è in questa immersione nella Follia che, noi uomini contemporanei, disperatamente ci dibattiamo, perduti nel contingente, nel presente, in quella realtà che noi vogliamo definire come tale.

Ma la Realtà - quella maiuscola che contiene la minuscola - è debitrice del Mito e non ha né passato, né futuro, essendo perpetuo divenire, azzeramento delle categorie temporali.

Questo, per Angelo Tonelli, è dominio della poesia, anzi, della Poesia.

In tutta la sua poesia e in genere nella sua opera, non solo di scrittura, lui non fa che ribadirlo quasi ossessivamente, assumendosi il ruolo di illuminato, iniziato, aedo che ci ricorda la strada - l’unica e giusta - da non abbandonare mai pena lo smarrimento e lo scacco esistenziale. Una strada che dopo millenni e millenni di storia lui sostiene ancora praticabile e salvifica.

La sua poesia insiste su questo principio e le sue modalità si imparentano con quelle della grande poesia greca di cui l’eco riaffiora o torna a far vibrare lo sfondo- la poesia orfica, solare, del Mitoche lui - e non solo lui - intende con tutte le sue energie sottoporre a un principio di restaurazione (lo spirito del Mitomodernismo ce lo indica).

Non si può prescindere dal mito, dall’anima ellenica che impregna di sé l’Occidente (e in parte anche l’Oriente) e chi se ne allontana troppo si smarrisce, perché è nell’origine e nel suo eterno rito e ritorno memoriale, che si annida l’unica possibile salvezza esistenziale. Da lì i sogni, la loro sacralità, quel filo ininterrotto seppure soffocato e a volte lacerato che unisce l’uomo e tutte le creature terrestri al Mistero primordiale. “Dal mistero nel mistero al mistero”, recita la sua epigrafe. (L’uomo che è mistero, che viene dal Mistero e al Mistero si ricongiunge).

Si possono fare obiezioni a questa concezione della saggezza, della conoscenza e della poesia. Si può trattare il mito come un padre che ha tradito noi, i suoi figli e cioè conflittualmente, drammaticamente, non trovando mai una sorta di conciliazione con quell’energia immaginale che comunque ci abita da sempre, ma che può, da presenza illuminante, mutarsi in una sorta di rimorso ingombrante, l’Ombra tragica della nostra delusione, il testimone del disincanto umano.

Ma per Tonelli solo noi con la nostra volontà possiamo far tornare qui in mezzo a noi la luce degli dei.

Allievo di Giorgio Colli, ha proseguito negli studi ellenici (diventando l’eccezionale traduttore dei Tragici che tutti conosciamo), imbevuto delle perpetue verità dei Grandi Greci, seguìto e inseguìto la loro scia numinosa e luminosa e riversato tutto questo nella sua versificazione: alta, melodiosa, misterica, salmodiante, ipnotica.

Pochi come lui - è la mia personale opinione - ci sanno trasportare in un mondo dove estasi e saggezza si compenetrano in una maliosa sintesi, così come quell’alphaomega cosmica che pervade ogni creatura vivente e non.

“Del mistero è preda la parola
che trama labirinti inestricabili
per frangersi nel cuore vuoto,immobile
del mondo,o rispecchiarsi
come le montagne nel crepuscolo
sul lago-occhio socchiuso del pensiero.
Liberaci dal male-conoscenza,
o dea del mare vasto e infinito
e regni sul mistero del mistero
la parola primigenia, la furtiva”.

Quel male-conoscenza,ci ricorda, per opposizione, la nube della non-conoscenza dei grandi mistici: in questo senso, per Tonelli, il male-conoscenza allude ai saperi dialettici e razionali che non conducono certo né alla felicità né alla vera conoscenza ma alla comune nullificazione e, paradossalmente, all’insensatezza esistenziale.

Chi legge i suoi CANTI D’APOCALISSE E D’ESTASI (odierno vincitore del Premio “Città di Atri”, così come il suo primo libro CANTI DEL TEMPO lo fu, diversi anni fa, del “Montale”) se è sensibile al fascino della fluidità sonora - rischia una sorta di trance: si lascia andare insieme a lui, ponendosi sempre in comunicazione con la propria spiritualità, ovvero quello stato coscienziale che è possibile raggiungere attraverso esercizi particolari come concentrazione, meditazione, tecniche yoga ecc. - in modo che l’Estasi possa farsi espressione più alta della fusione tra corpo e spirito, senza mai dimenticare l’Apocalisse che è qui, davanti a noi, e dentro di noi, in tutti i momenti della nostra storia,della cronaca umana. L’inabissarsi dell’anima e con essa dell’umano. La via estatica la si percorre non attraverso le droghe pesanti che conducono all’annientamento totale di sé-corpo e psiche - specialmente nel cattivo uso ed abuso - ma attraverso un lavoro nelle profondità coscienziali.

Ancora adesso musica e canto - e di conseguenza la poesia che da loro è nata - possono condurci in quelle sfere lontane, vicine a uno dei nostri sensi primari: l’udito. Ma la parola scritta necessita di un passaggio ulteriore: la scrittura, se non è quella automatica dei medium (e qui ci sarebbe molto da dire) esige non un abbandono totale ma un abbandono controllato. In essa, Kahóse Kosmos si affrontano sul terreno mentale della mediazione. Se il risultato sulla pagina è quello di una poesia che ci riporta qui la bellezza della poesia mitica, significa che è doppiamente “astuta” e colta. Non è sorgiva per spontaneità autentica (che non esiste) ma per spontaneità conquistata dal poeta che lavora sia sul contenuto che sulla techné.

Pochi poeti come lui sanno condurci, a un rapimento assoluto - nelle sue prove migliori. Perché lui vuole stupirci, cullarci, ipnotizzarci, darci piacere e oblio -. Oblio della parte più razionale di noi stessi (e quindi impoetica e fonte di sofferenza) di una certa zavorra psichica frutto di questa rovinosa società che intralcia i nostri passi, la nostra - seppur piccola - felicità umana.

[Lucetta Frisa]