Saggi pubblicati tra il 1963 e il 1965 e raccolti nel 1968 in REFLECTIONS ON MEN AND IDEAS. Traduzioni di A. Passi e R. Mastromattei. Milano, Adelphi, 1985.
Piaceva a Italo Calvino l’impianto culturale di Santillana. Strano che un pensatore della divagazione e commentatore di Anassimandro e Parmenide abbia potuto suscitare l’attenzione del narratore ligure? Forse no, se si pensa all’andamento del discorso intellettuale per punti e riprese, variazioni e “fili intrecciati” delle LEZIONI AMERICANE, simile a FATO; e a una delle problematiche principali di Santillana, compatibile con Calvino, nei saggi contenuti in FATO ANTICO E MODERNO, consistente nella coesione intravista tra mito e scienza nel mondo arcaico, un mondo in cui la misurazione numerica, la definizione matematica e l’osservazione astrologica sono fonti dei racconti mitici, li fondano e costituiscono un elemento ricorrente:
“[…] non troviamo ovunque, come ci aspetteremmo, una cruda rappresentazione antropomorfa e teriomorfa della divinità. Ci potrebbe invece capitare di incontrare dei numeri o una tessitura di unità di tempo proiettate nello spazio, che manifesta un’origine astronomica” (p. 152).
Secondo Santillana, nella società arcaica “l’uomo non è perché non ha decisioni da prendere. È passivo, è in un certo modo un riflesso. Partecipa dell’essere, in quanto celebra i miti ed esegue i riti” (p. 16).
Similmente, riguardo gli dèi, sulla volontà prevalgono l’esistenza e l’inevitabilità: “la loro natura stessa, impassibile e inesorabile, portatrice di ogni bene e di ogni male” (p. 15).
Sul piano dell’unità del cosmo si impone l’inevitabile: “Se l’universo è uno, non si possono scegliere unità arbitrarie come facciamo noi: tutte le unità di misura sono strettamente interconnesse fra loro e col tutto. Non c’è libertà, non c’è gioco ad alcun livello, tutto è come deve essere, se è” (p. 28).
Un addentellato essenziale di questa posizione, come già per Eliade (nonostante la distanza dalle posizioni di quest’ultimo per altri aspetti) è il tempo ciclico, che torna su se stesso; per esempio nel caso della riflessione antica sulla catastrofe: “ogni visione apocalittica è un modo di ricongiungere la fine al principio, onde il tempo riacquisti un senso” (p. 20).
Rispetto al concetto di fato, il discrimine tra il mondo antico e quello moderno pare essere la decisionalità, in quanto quel che “fa aggricciare gli uomini di fronte al Fato è l’arbitrio, l’estraneità” (p. 39). Il salto verso concezioni moderne del Fato, in Occidente, sarebbe la tragedia greca, perché in essa “risiedono non solo la volontà degli dèi ma gli errori e le colpe degli uomini” (p. 34).
Prezzo della “libertà”, osserva, Santillana, “è la nevrosi” (p. 56). Difficile dargli torto…
[Roberto Bertoni]