19/06/08

Gavin Hood, RENDITION


[Imaginary setting for a thriller. Foto di Marzia Poerio]


Sud Africa 2007. Titolo italiano: DETENZIONE ILLEGALE. Scenografia di Kelley Sane. Con Alan Arkin, Jake Gyllenhaal, Omar Metwally, Yigal Naor, Peter Sarsgaard, Meryl Streep, Reese Witherspoon


Il titolo si riferisce ai casi di traslazione di persone sospette di terrorismo in luoghi segreti, in questo caso in Egitto, affinché subiscano interrogatori che nel film sono accompagnati da confessioni estorte e da torture. In aggiunta, il protagonista Anwar El Ibraimi (l’attore Omar Metwally), un egiziano trasferitosi con regolare permesso di soggiorno negli Stati Uniti, viene trattenuto nel carcere segreto, dopo essere stato privato di ogni diritto a difendersi, ingiustamente, sotto l’accusa di aver collaborato con un gruppo terrorista. Si lascia intendere che, sebbene ci sia una pista legale, la ragione principale della detenzione è la sua identità nazionale.

I funzionari del servizio segreto statunitense non sono compattamente a favore del provvedimento; e le misure di scarcerazione saranno infine prese da un agente della CIA (il cui cognome è non a caso Douglas Freeman, “uomo libero”, impersonato da Jake Gyllenhall).

Ai vertici, la funzionaria (Meryl Streep) che ha ordinato la carcerazione rappresenta un potere machiavellico che giustifica i propri metodi con la gravità della guerra contro il terrorismo. Anche chi si sforza inizialmente, nelle sfere politiche, di aiutare le ricerche di Isabella , la moglie di El Ibraimi (l’attrice Reese Witherspoon), si defila al momento di mettere a repentaglio la carriera.

In questa denuncia delle infrazioni alle procedure democratiche, i personaggi, anche quelli negativi, sono dotati di spessore umano, dal che risulta una pellicola non banale.

La struttura narrativa è ben congegnata. Il filo dell’intreccio si svolge su due assi spaziali e temporali: quello della vicenda di El Ibraimi in ordine cronologico va dal passato al presente; e quello di Khalid (Moa Khouas) e Fatima (Zineb Oukach), terrorista il primo, figlia la seconda del funzionario di polizia che interroga Omar, si dipana in ordine inverso, ricongiungendosi nel finale con la scena iniziale. La costruzione è abile al punto che non ci si rende conto del parallelismo temporale fin quasi all’ultimo.

Combinando un thriller di buona levatura (che pur mostrando momenti di violenza lo fa per motivi funzionali senza cadere nel voyeurismo bieco) con una storia responsabilmente politicizzata e servendosi di spazi interessanti di silenzio e musica nonché di immagini di alta qualità e di un’ottima recitazione, è un film da vedere.


[Renato Persòli]