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A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
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ISSN 2009-7123
18/05/08
Christopher Lasch, L’IO MINIMO. LA MENTALITÀ DELLA SOPRAVVIVENZA IN UN’EPOCA DI TURBAMENTI
[Minimal blue. Foto di Marzia Poerio]
Titolo originale: THE MINIMAL SELF: PSYCHIC SURVIVAL IN TROUBLED TIMES (1984). Edizione italiana 1985. Ristampa: Milano, Feltrinelli, 2004.
Lasch parte dalla constatazione della difficoltà a essere se stessi entro i parametri, ormai crollati, che danno identità sociale e personale. Paradossalmente, proprio mentre pare che l’io si manifesti con grande evidenza nella società contemporanea, con un egocentrismo e un individualismo accentuati, tali atteggiamenti sono in realtà motivati, a parere dello studioso americano, da necessità autodifensive, o meglio dalla sopravvivenza. Ecco come la situazione è delineata nel volume:
“In un’epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza. Gli uomini vivono alla giornata; raramente guardano al passato, perché temono d’essere sopraffatti da una debilitante ‘nostalgia’, e se volgono l’attenzione al futuro è soltanto per cercare di capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono. In queste condizioni l’identità personale è un lusso e, in un’epoca in cui incombe l’austerità, un lusso disdicevole. L’identità implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso d’appartenenza a un luogo. In stato d’assedio l’io si contrae, si riduce a un nucleo difensivo armato contro le avversità. L’equilibrio richiede un io minimo, non l’io sovrano di ieri. […] L’occuparsi di se stessi, tanto tipico ai giorni nostri, assume il significato di una sollecitudine per la propria sopravvivenza psichica” (p. 7).
L’io minimo è narcisista non tanto per la sua invadenza quanto per il fatto che, “incerto dei propri contorni, aspira a riprodurre il mondo e a fondersi con esso in felice comunione” (p. 10), abolendo la distanza e la separazione tra individualità e universo esteriore.
Ciò accade in relazione a quella che Beck ha definito la società del rischio e che Lasch vede come percorsa da pericoli quali la guerra, il terrorismo, la minaccia della stabilità quotidiana, il fatto che si vive circondati da un universo che ha perso solidità e ha prodotto un io “incerto e problematico” (p. 20), per cui conviene un “disimpegno emotivo” (p. 67), un distacco flessibile, una condizione appunto di sopravvivenza.
Sebbene chi scrive queste note abbia difficoltà a concordare con la diminuzione dell’io proposta da Lasch, e gli sembri anzi che si sia verificato un gigantismo dell’io, pare però vera la configurazione delle difficoltà identitarie come sono sopra delineate.
Altrettanto valide, inoltre, sono altre osservazioni dell’autore di questo libro, che già più di venti anni fa anticipava riflessioni attuali.
Si vedano le idee sul consumismo, in particolare l’ipotesi che l’io stesso sia un prodotto fantasmatico del mercato:
“La produzione di beni e il consumismo non alterano solo la percezione di sé, ma anche quella del mondo circostante. Creano un mondo di specchi, immagini inessenziali, illusioni sempre più inscindibili dalla realtà. L’effetto di specchio trasforma il soggetto in oggetto; e, contemporaneamente, trasforma il mondo degli oggetti in un’estensione o in una proiezione dell’io. È fuorviante considerare la cultura del consumo come dominata dalle cose: il consumatore infatti vive circondato non tanto dalle cose, quanto da fantasie. Vive in un mondo privo di un’esistenza oggettiva e indipendente, che sembra esistere soltanto allo scopo di appagare frustrare i suoi desideri” (p. 18).
Si veda la concezione dei valori, la cui discussione pubblica, secondo Lasch, è messa in discussione da un pluralismo accentuato che, accettando ogni possibilità, azzera i parametri sulla base dei quali si emettono i giudizi, per cui “la libertà di scelta si riduce in pratica a un’astensione dalla scelta stessa” e “l’ideologia pluralista rispecchia con esattezza la situazione del mercato, dove prodotti in apparenza concorrenti diventano sempre più indistinguibili” (p. 24).
Questo in un ambito in cui la tolleranza è importante, ma l’esasperazione dell’accettazione totale porta a una crisi della democrazia, come si nota nell’indebolimento del sistema partitico, dell’autogoverno locale e dell’iniziativa popolare (p. 26). La politica cede il passo all’amministrazione, col che si genera un senso di impotenza nei cittadini rispetto alla possibilità di influire partecipando.
La cultura del narcisismo, come lo intende Lasch, investe sfere disparate, tra queste l’arte, la letteratura, la memoria storica (c’è un capitolo anche sull’Olocausto).
L’IO MINIMO va letto in relazione a un precedente saggio di Lasch, THE CULTURE OF NARCISSISM: AMERICAN LIFE IN AN AGE OF DIMINISHING EXPECTATIONS (1979) (edizione italiana LA CULTURA DEL NARCISISMO. L’INDIVIDUO IN FUGA DAL SOCIALE IN UN'ETÀ DI DISILLUSIONI COLLETTIVE, Milano, Bompiani, 1981).
[Roberto Bertoni]