Titolo originale: DIE DYNAMIK DES UNBEWUSSTEN (1967). In italiano nell’edizione delle OPERE, vol. 8, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.
È uno dei libri in cui Jung ricapitola e definisce molte delle proprie idee, tra queste in particolare il concetto di “energia psichica” (p. 23), la sua distribuzione tra le varie componenti dell’inconscio, la dinamica di compensazione per cui ciò che si perde in una direzione viene riacquisito in un’altra.
Uno degli aspetti centrali è la “progressione e regressione della libido”, ovvero il “processo psicologico di adattamento” tra le “condizioni poste dall’ambiente” e l’evoluzione interiore tramite atteggiamenti sentimentali, di pensiero (p. 41) in funzione dei quali si presentano le coppie di contrari che tendono a combattersi o a convivere e che necessitano reciproca compensazione per esistere in equilibrio. Anche nella regressione ci sono germi di rinascita e di rinnovamento, per cui la regressione, più che come ritardo è da interpretarsi secondo Jung come un momento dello sviluppo. Se lo sviluppo è paragonabile a un flusso, la stagnazione è uno sbarramento che “costringe l’acqua a imboccare un’altra strada” (p. 47).
La cosa importante è comprendere le necessità e i movimenti interni e indirizzarli appropriatamente. “L’energia di certi fenomeni psichici viene portata […] a trasformarsi in altri dinamismi” (p. 50) per mezzo di un “travaso su un analogo dell’oggetto pulsionale” (p. 51). La volontà non esce interamente dall’ambito dell’inconscio sebbene esso contenga in grande maggioranza processi istintuali. Esiste infatti non solo quanto è conscio e inconscio, ma anche una "coscienza approssimativa” (p. 208). La differenza tra l’atteggiamento equilibrato e quello psicoide è riposta nell’uso della scelta di atteggiamento; ed è nella scelta crescente dell’atteggiamento, una volta acquisita la coscienza di sé, che consiste l’adattamento del processo di individuazione (pp. 203-07).
Jung trae spesso gli esempi di questi meccanismi dall’universo sociale delle tribù americane e di altri luoghi, riscontrando in siti disparati della Terra la credenza in una forza che anima l’individuo. Tale forza si presenta sotto la forma di spirito e anima, e spesso raffigura l’intero universo. Jung cita tra queste forze il “wakanda" dei Dacota, l'"oki" degli irochesi, il “wong” della Costa d’Avorio; l’”arunquiltha” degli aborigeni australiani, il “mana” melanesiano (pp. 72-74), deducendone che “quando noi insistiamo nella nostra psicologia sulla concezione energetica operiamo in sintonia con fatti psichici che da tempi immemorabili sono sepolti nello spirito dell’uomo” (p. 77).
“Il fenomeno degli spiriti è per l’uomo primitivo l’evidenza immediata della realtà dell’elemento spirituale” (p. 324); e uno dei canali di accesso al territorio degli spiriti è il sogno. Le visioni sono “l’irruzione momentanea di un contenuto inconscio nella continuità della coscienza” (p. 328). Jung distingue tra “spirito” (ominoso) e “anima” (elemento personalizzato, forse) (p. 331). Lo spirito è un’“intenzione dell’inconscio” collaterale alla presenza dell’io (p. 360).
Le cerimonie tribali vengono interpretate secondo modalità psicologiche, per esempio l’uso della magia come “formazione analogica all’energia pulsionale” o mezzo di accostamento all’inconscio. Nell’ambito della magia spicca la formazione del simbolo, concepito “come un simbolo reale e non come un segno” (p. 55), ovvero come qualcosa che agisce proprio per la sua natura di simbolo e non potrebbe prendere altre forme perché indica aspetti “non ancora afferrati chiaramente dalla coscienza” (p. 89).
I “motivi” interiori si condensano in “simboli più e meno stereotipi” che emergono anche nell’arte (p. 99).
Un elemento analogico è il mito: “Il mito non è altro che una proiezione proveniente dall’inconscio e non un’invenzione consapevole, allora è comprensibile non solo il fatto che ci imbattiamo dovunque negli stessi motivi mitici, ma anche che il mito rappresenti tipici fenomeni psichici” (p. 47).
La “funzione trascendente psicologica risulta dell’unificazione di contenuti ‘consci’ e contenuti ‘inconsci’” (p. 83): scopo dell’analisi è la loro composizione armonica.
Il processo di individuazione prevede delle fasi. “Il nevrotico è […] colui che non riesce mai nel presente come vorrebbe e che non può neppure rallegrarsi del passato. Prima non riusciva a staccarsi dall’infanzia; ora non può liberarsi dal periodo della gioventù” (p. 425).
Interessanti infine anche le notazioni sparse; per esempio questa: “il fanatismo è sempre presente in coloro che devono soffocare un dubbio interiore” (p. 329).
[Roberto Bertoni]