18/04/08

NOTA SU CONVERSAZIONE IN SICILIA DI ELIO VITTORINI


[Travelling was like a light contour. Foto di Marzia Poerio]

In CONVERSAZIONE IN SICILIA di Elio Vittorini (1938) [1], per “astratti furori”, “quiete della non speranza”, convinzioni relative al “mondo offeso”, ovvero per la condizione storica negativa che lo circonda, e a causa di un evento personale, una lettera ricevuta dal padre in cui questi annuncia la propria partenza da casa dopo aver lasciato la moglie invitando il figlio a visitarla, il protagonista Silvestro, narratore in prima persona, viaggia da nord a sud arrivando in Sicilia ove conduce, nel corso di tre giorni e tre notti, conversazioni con vari personaggi su temi che comprendono la politica, la vita familiare, la condizione umana; nell’ultimo capitolo trova il padre, come invecchiato, tornato a casa; Silvestro riparte per il Settentrione.

CONVERSAZIONE IN SICILIA è fondato su un realismo espressivo, un idioletto linguistico della ripetitività e una collocazione storica indiretta ma esistente come allusiva nei confronti della contemporaneità. La Sicilia di CONVERSAZIONE è un repertorio simbolico-allegorico. Si ha una riformulazione del rapporto che esiste tra il protagonista e il luogo di provenienza; una ridefinizione del senso che ha il passato privato familiare e quanto di sociale ed emotivo è stato lasciato alle spalle per emigrare; un tentativo infine di ristrutturare la coscienza interiore e del mondo esterno per procedere nella vita con l’eredità dell’assenza.

Dato che si tirano le somme non solo delle problematiche personali dei protagonisti, ma della memoria collettiva, si riscontra la presenza di archetipi. Si intuiscono, o si possono presumere, costellazioni arcaiche da intendersi come corrispettivi psicoanalitici, a sfondo mitico, degli eventi che sono ad altri livelli narrati tramite la tecnica dell’illusione di realtà. L’archetipo della Discesa alle Madri corrisponde al ritorno geografico di Silvestro alla madre nel sud. La Visitazione degli Inferi si può leggere come sottotesto del capitolo della taverna. Ponte ideale verso il prototipo narrativo occidentale dell’ODISSEA, si ricorda il Dialogo con le Ombre che traspare dall’episodio del fratello morto. Riferibile alle iperboli dell’epica è la trasfigurazione eroica del Gran Lombardo.

Si ha una formulazione del mito a partire dalla quotidianità e allo stesso tempo un recupero della realtà demitizzata con un atteggiamento insieme partecipe e distaccato. Si tratta di uno degli aspetti per cui questo libro straordinario è fondatore del moderno in Italia. Si veda un passo del capitolo XXII che addensa una congerie di riflessioni psicologiche e metafisiche a partire dall'immediato della vita di tutti i giorni: “Morte o immortalità io le conoscevo; e Sicilia o mondo erano la stessa cosa. [...] Mia madre [...] mi rifiutai di pensarla più immortale di ogni altra o di un malato o di un morto” [2].

Uno dei motivi del romanzo è la perdita del padre. Questa storia è infatti un nóstos, motivato, almeno parzialmente, dall’assenza paterna sotto forma di abbandono del tetto coniugale e con ritrovamento. La decisione del padre di assentarsi dalla famiglia porta il protagonista maschile a ricercarne le motivazioni interrogando sua madre e poi ad agire autonomamente. Secondo Lacan, nella vita psicologica di ogni individuo, il padre rappresenta il terreno simbolico da superare per “evitare la psicosi”, in modo da tale che, differenziata da sé la figura del genitore, ci si possa “riconoscere nell’Altro” e “vivere esperienze autenticamente intersoggettive” [3]. Trasponendo tale ipotesi nella storia di Silvestro, si potrebbe tentarne un’applicazione interpretativa. Un’accettazione del ruolo che ha avuto il padre nella storia personale di Silvestro è quanto si trova alla fine dell’indagine conoscitiva sul suo passato, attuata tramite il nóstos. L'archetipo, qui, è quello dell’eroe in formazione che per prendere il posto del padre torna alla terra natale e crea una legislazione personale del mondo. Andato in Sicilia per chiarire, tra l’altro, la propria posizione nella vicenda familiare, il narratore potrà di lì uscire di nuovo nel mondo. Dopo aver respinto l’idea della madre di salutare il padre con la formula di distacco “Lascialo stare”, le ultime parole di Silvestro, prima della nota finale, sono proprio “E uscii dalla casa, in punta di piedi” [4]. Il passaggio del protagonista all’esterno è con una coscienza di sé rinnovata; e socializzata tramite una consapevolezza politica che gli danno altre esperienze svolte nel corso della narrazione, soprattutto il dialogo col Gran Lombardo e coll’arrotino, la percezione del mondo che soffre, delle “offese”, del dovere di riparare come possibile.

Al protagonista è rimasta la madre, che assume un ruolo attivo. Si tratta di un modello alternativo di comportamento coraggioso e si assomma al simile atteggiamento di un antenato della linea materna, il nonno di Silvestro. Il testo si apre all’universo materno e più ampiamente femminile, inserendolo nel panorama interiore del protagonista. Così si ha l’acquisizione di un’eredità relativa all’universo materno amplificato simbolicamente come salvifico (le visite ai malati).

Siamo di fronte a un chiarimento dei ruoli maschile e femminile e alla loro integrazione nell’inconscio come figure simboliche, il che permette un avanzamento nel processo di crescita e maturazione del personaggio, che in questo suo agire allegorizza una fase del processo junghiano di identificazione proprio di tutti gli esseri umani.

Il testo di Vittorini, proprio perché è un nóstos, include anche un aspetto di nostalgia che si può esaminare sulla base di quanto segue, scritto dallo psicanalista hillmaniano Francesco Donfrancesco:

“Il sentimento che rivela uno stato di esilio si dichiara nella parola ‘nostalgia’, una parola che evoca dolore e insieme speranza. Dolore, perché affiora da un luogo e un tempo da cui mi sento esiliato; speranza, perché il luogo che evoca, e verso cui mi spinge, è quello dove il desiderio più intenso ha trovato, in un tempo trascorso, il suo appagamento, e forse potrà ancora trovarlo, in un tempo a venire” [5].

Silvestro ritrova il tempo e lo spazio appena citati: il passato e il luogo da cui si sono esiliati vengono recuperati dall’atto della scrittura; e dall’esperienza letteraria si proiettano verso un futuro. Seguendo ancora Donfrancesco, in arte e in letteratura si verifica "la necessità di tenere i frammenti, nei quali il tempo si manifesta, saldamente connessi all’eterno, che dà loro forma e senso; in un’epoca che, al contrario, costruisce il suo presente sulle macerie della memoria” [6].

Il nóstos di CONVERSAZIONE IN SICILIA è anche proprio il mondo dei sentimenti e della percezione emotiva del mondo; ed è inteso a riprenderla unificata dallo spargimento dei suoi frammenti, unendo i pezzi che si erano dispersi in un presente negativo all’inizio della narrazione prima di ricatturare l’immagine che assomma le parti nel tutto ed è la narrazione degli eventi, la ricerca nel passato, la domanda sull’identità in relazione a esilio, famiglia, compiti da svolgere nel mondo esterno oltre che quell’ingresso nella realtà storica dopo la visitazione geografica e archetipica dell’universo originario.


NOTE

[1] Si utilizza la seguente edizione: Elio Vittorini, CONVERSAZIONE IN SICILIA, in LE OPERE NARRATIVE, a cura di Maria Corti, Milano, Mondadori, 1974, vol. I, pp. 571-710.
[2] Elio Vittorini, CONVERSAZIONE IN SICILIA, cit., p. 663.
[3] Carla Maria Fabiani, recensione a DALLA PSICOSI ALL’AMORE. FILOSOFIA E PSICOPATOLOGIA IN DIALOGO, a cura di Nicolò Terminio, Caltanissetta, Centro Studi Cammarata, 2004.
[4] Corsivo nostro.
[5] Relazione letta al XV Congresso Internazionale di Psicologia Analitica, tenuto a Cambridge nell’agosto 2001. Pubblicata in “Anima 2003. Figure della devozione”. (http://www.anima.fi.it/?p=29).
[6] Ibidem.


[Roberto Bertoni]