14/04/08

MITO E ESPERIENZA LETTERARIA. INDAGINI, PROPOSTE, LETTURE, a cura di Fausto Curi e Niva Lorenzini


[Perplexity of a mythical figure engraved on a wall of Cork. Foto di Marzia Poerio]


Si è ripreso questo libro (Bologna, Pengragon, 1995) dagli scaffali di una libreria e lo si è riletto con piacere in quanto situa il mito nell’ambito del moderno senza esorcizzarlo, né tantomeno incensarne gli aspetti più idealizzati, verbosi e irrazionali.

Nel proprio saggio, significativamente intitolato PER IL MITO, CONTRO IL MITO. PROLEGOMENI A UN’ANTROPOLOGIA DIALETTICA, Curi sostiene:

“La letteratura non può, oggi, non trovare repellente il mito sublime coltivato dalla tradizione e ciò che ad esso si avvicini o assomigli. Ma il mito-senza-aureola [...] inteso come microstoria flagrante e vertiginosa, [...] ‘prassi totalmente ‘pratica’ (Marx) dell’immaginazione, ossia la pratica quotidiana e ‘concreta’ del mito [...] interessano la letteratura e possono vitalmente nutrirla [...] se essa intende riscattarsi seriamente sia dalla banalità del sublime sia dalla trivialità di quelle che Baudelaire chiamava sarcasticamente i ‘beaux sentiments’. [...] È soltanto da una pratica giudiziosa delle microstrutture mitiche che nascerà, se può nascere, una pertinente rappresentazione delle macrostrutture della nostra storia” (p. 51).

Forse è vero. In occasione del centenario della nascita di Vittorini, rileggendo CONVERSAZIONE IN SICILIA, si pensava che proprio questo è quanto accade in quel testo: una formulazione del mito dalla quotidianità e allo stesso tempo un a ricerca di misura, di recupero della realtà demitizzata. Si nota nella maniera in cui viene riferita l’osservazione dei fatti, da cui emerge un’espansione in direzioni filosofiche date come riflessioni comuni, per esempio in un passo del capitolo XXII, in cui il macrocosmo e il microcosmo si fondono l’uno nell’altro e l’assunto psicomitico del desiderio di immortalità del genitore (qui la madra) si manifesta esplicitamente: “Morte o immortalità io le conoscevo; e Sicilia o mondo erano la stessa cosa. [...] Mia madre [...] mi rifiutai di pensarla più immortale di ogni altra o di un malato o di un morto” (Elio Vittorini, LE OPERE NARRATIVE, Milano, Mondadori, 1974, I, p. 663). Piú si cadesse nel sublime, meno efficace sarebbe questo libro straordinario, fondatore del moderno in Italia anche per l’atteggiamento partecipe e distaccato rispetto al mito.

Tuttavia non sarà possibile ignorare le accezioni anche contemporaneee (come quella del mitomodernismo di poeti quali Giuseppe Conte e Angelo Tonelli) in cui il mito viene rilanciato con intenzioni di rivitalizzazione e per fini progressisti, a partire dalle sue connotazioni romantiche, secondo una possibilità della “mentalità mitica” che Curi, parlando di altri autori (Franco Rella nella fattispecie), afferma produrre “un’immagine dell’oggetto in cui questo appare distrutto come esperienza storica e ricostruito come assoluto, o, se si preferisce, come figura di delirio” (p. 3).

Marco Antonio Bazzocchi, da parte sua, in LA LETTERATURA, IL MITO, IL MODERNO, precisa che il mito è “il fondamento originario di ogni attività simbolica” (p. 97), “elemento aurorale, primigenio di ogni sistema culturale” e “segno di un’anteriorità” (p. 98); ovvero, come ribadisce Silvia Pegoraro in FIGURE MATRICI. TEORIA DEL MITO E NARRATIVA CONTEMPORANEA, “il mito appare quale racconto fondatore” (p. 133). Da qui, deduce chi qui scrive, la sua necessaria relazione col romanzo, fondante cioè anche delle storie romanzate, talora con una presenza che pare inevitabile; e si manifesta in questi casi con la stessa energia fondatrice del racconto comunitario delle società antiche e con l’invadenza delle immagini arcaiche che afferrano l’immaginazione psicologica, con figurazioni fantastiche che si propongono come reazioni relative a sentimenti fondamentali: il dolore, la gioia, l’amore, l’inerzia, la vita, la morte. Così appare, per esempio, nell’opera di Giuseppe Bonaviri, la cui ricerca nelle fiabe siciliane, nei miti mediterranei, nelle filosofie indiane e nella magia e nell’alchimia europee e arabe ha lo scopo di salvare dall’inaridimento e di facilitare un avvicinamento tra sfera inconscia e conscia tramite la narrativa.

In GADDA, IL MITO, LA “DEFORMAZIONE”, Niva Lorenzini ricorda proprio che “il romanzo del XX secolo” è “un genere [...] che nelle sue espressioni più convincenti finisce per confrontarsi col mito, ricorrendo all’occorrenza alle stesse strutture mitiche del ripetitivo e del ciclico per esprimere, attraverso un metodo, una maniera, unostile apparentemente improntati al pensiero mitologico, non l’armonia e l’imminenza dell’originario ma la sproporzione tra principi immutabili e flusso dell’empiricità e dunque tra finito e infinito, eterno e temporaneo” (p. 320).

Notevoli questi come gli altri studi del volume: saggi di Carlo Gentili (su demitizzazione e letteratura), Francesco Salvatori (su Tasso), Bruno Capaci (su Prometeo nell’Illuminismo), Giuliana Benvenuti (su Leopardi), Giancarlo Leucadi (su Pascoli), Beatrice Stasi (su Pirandello).

[Roberto Bertoni]