22/02/08

Anchee Min, THE LAST EMPRESS


[The Dragon. Imperial Summer Palace, Beijing. Foto di Marzia Poerio]


Anchee Min, nata nel 1957, fece parte dell’entourage della moglie di Mao e recitò in un film prodotto dagli studios da lei fondati a Shangai. Col passaggio di potere alla nuova classe dirigente, dopo un periodo di distanza dalla vita pubblica, nel 1984 emigrò negli Stati Uniti.

Ha scritto romanzi notevoli per tecnica, linguaggio, costruzione psicologica, rivisitazione storica e memoriale: RED AZALEA (1993; AZALEA ROSSA, Milano, TEA, 1996), KATHERINE (1996; Milano, TEA, 1997), BECOMING MADAME MAO (2001), WILD GINGER (2002), EMPRESS ORCHID (2005; L’IMPERATRICE ORCHIDEA, Milano, Corbaccio, 2004).

In quest’ultimo volume era iniziata la ricostruzione biografica, narrata in prima persona, della vita di Tzu Hsi (1835-1908), assegnata come concubina all’imperatore Hsien Feng, del quale divenne dopo qualche tempo la preferita, dandogli un figlio e assurgendo così al rango di imperatrice assieme alla moglie principale Tzu Han. In questo volume si dispiegava una soggettività femminile a confronto col disagio personale, la clausura della città proibita e i giochi intricati del potere svolti a corte e nel privato tra eunuchi, presenze della cerchia familiare, personaggi della corte. Si assisteva alla visitazione di un mondo personale che costituiva il microcosmo nel quale si intorbidavano e si risolvevano aspetti rilevanti della sfera pubblica, con il Palazzo come centro della vita quotidiana come pure della politica, distante dalla realtà caotica e concreta riscontrabile fuori dalle mura, eppure così determinante nel formarla.

THE LAST EMPRESS (Londra, New York, Berlino, Bloomsbury, 2007) è il seguito di EMPRESS ORCHID: segue le vicende della Cina dalla reggenza di Tzu Hsi alla morte del figlio in giovane età e la seconda reggenza fino alla sua morte (con interessate voce narrativa che parla da dopo il decesso, come se comunicasse una testimonianza ai posteri, presentandosi come personaggio scorporato e storico a un tempo). Si passa attraverso fatti essenziali della storia cinese quali le riforme di fine Ottocento, l’opposizione alle invasioni straniere, la rivolta dei Boxer. Vengono messi in luce l’opera della diplomazia, i complotti dietro le quinte, la necessità di autodifesa, in conseguimento del potere e la difficoltà di detenerlo, la rivalità tra personaggi della cerchia militare, il sottile contrasto tra donne in competizione per avere l’imperatore dalla propria porte e influenzarne le decisioni.

Ne emerge, da un lato, una rappresentazione della decadenza della dinastia Manchù a un passo dalla rivoluzione cinese; e dall’altro un ritratto revisionato di Tzu Hsi, qui raffigurata non come il personaggio crudele della storiografia tradizionale, bensì come un individuo umanizzato, teso a sopravvivere a corte con abili manovre diplomatiche e a portare avanti programmi conservatori e antistranieri. L’adozione della narrazione in prima persona impedisce sovrapposizioni della voce dell’autrice su quella della narratrice, giustificando l’autodifesa unilaterale del soggetto che racconta.

Quanto coincide il punto di vista di Min con quello della Yehonala del romanzo? Forse più nella problematica di donna che racconta di sé che nella politica dell’imperatrice? Non si è in grado di rispondere, pare anzi che la strategia narrativa scelta inviti a restare in dubbio. Si tratta di un libro senz’altro complesso e avvincente.

La storia del paese reale resta sottaciuta se si confronta lo stesso periodo storico su libri che non citano nemmeno il nome dei regnanti e mettono in rilievo l’ebollizione sociale di quel tempo non mediata dai filtri del Palazzo, si veda per esempio M. Bastid, M.-C. Bergère e J. Chesnaux, LA CINA, volume II, Torino, Einaudi, 1974. Tra la storiografia revisionista su Tzu-Hsi, invece, in sintonia con Min, si ricorda S. e P. Seagrave, DRAGON LADY: THE LIFE AND LEGEND OF THE LAST EMPRESS OF CHINA, Londra, Papermac, 1993.


[Roberto Bertoni]