20/01/08

LA DISMISSIONE di Ermanno Rea e LA STELLA CHE NON C'È di Gianni Amelio

Il protagonista e narratore in prima persona del romanzo di Ermanno Rea LA DISMISSIONE (Milano, Rizzoli, 2002) è Vincenzo Buonocore, ex operaio divenuto tecnico e incaricato dello smantellamento dell'acciaieria Ilva di Napoli, che sarà venduta ai cinesi, costituendo l'eliminazione di uno strumento economico importante per gli abitanti di Bagnoli, il quartiere di Napoli in cui si trova la fabbrica; la camorra prenderà il sopravvento perché ad essa non c'è più una cultura del lavoro di fabbrica che le si oppone: "Le fabbriche a Napoli non hanno indotto nessuna modernizzazione. Dicevamo: l'Ilva entrerà nel vicolo e lo bonificherà. Alla lunga è accaduto l'inverso: il vicolo è entrato nell'Ilva e l'ha inquinata. La fabbrica di Napoli. La sola cosa buona che abbia prodotto è una certa quota di coscienza proletaria dentro la città melmosa" (p. 83).

La dismissione dell'Ilva è metafora anche della fine di una fase della modernità caratterizzata dall'identità data dall'ideologia politica, dalla solidarietà sociale, dalla fedeltà al lavoro: "questa religione del lavoro, questo irragionevole attaccamento, [...] quasi una deformazione professionale" (p. 107), che si manifesta sebbene il protagonista non sia troppo politicizzato, anzi di parte "moderata" (p. 269), non opposto allo smantellamento quanto lo era la componente più radicale del Consiglio di Fabbrica per timore della disoccupazione risultante dalla chiusura.

L'Ilva aveva in effetti costituito per anni una speranza di occupazione e dunque di identità e di vita, formando vere e proprie "dinastie operaie":

"L'uso della parola speranza, almeno in questo caso e per parte mia, è strettamente connesso al concetto di occupazione. A Bagnoli, per decenni e decenni, i giovani o venivano avviati, beati loro, a nobili professioni oppure finivano in fabbrica. Soprattutto se figli di operai. Il figlio dell'operaio era già mezzo operaio lui stesso: disciplina, senso del dovere, etica del lavoro facevano già parte del suo metabolismo naturale, costituivano un valore aggiunto alla forza-lavoro che egli rappresentava in quanto tale. Erano così nate le dinastie operaie, i grandi clan familiari che affondavano nell'alba stessa dello stabilimento" (p. 185).

Rea denuncia l'inefficienza manageriale e statale: dopo una crisi iniziata nel 1969 e arrivata al massimo di perdita economica (127 miliardi) nel 1977, invece di chiudere la fabbrica a causa di tale passivo e della crisi del mercato dell'acciaio, si decise di ristrutturarla, provocando ulteriori problemi(p. 91): decisione dovuta non a ragioni economiche valide o per mantenere in piedi una struttura industriale utile, ma per collusione col mondo politico e per clientelismo, ovvero per la prevalenza di interessi privati su quelli pubblici e collettivi: "[...] la cieca obbedienza dei dirigenti a tutte le richieste scandalose provenienti dal mondo politico, da notabili piccoli e grandi con le tasche sempre gonfie di elenchi di persone da assumere, le ditte appaltatrici da privilegiare, di dipendenti da promuovere. Ma anche, se non soprattutto, l'interesse privato che appariva sin troppo manifesto dietro l'indecente tolleranza verso l'abuso e il degrado" (pp. 90-91).

In breve, dopo la ristrutturazione, invece di svilupparsi nelle direzioni previste, per influenza degli interessi economici, malavitosi e politici e per debolezza dei sindacati, e non solo per crisi economica, venne chiusa proprio quando doveva espandersi (p. 103). Ne conseguirono livelli alti di disoccupazione a Bagnoli (il 42% nel 1991, p. 159) e la sua trasformazione da quartiere operaio "felice" (p. 159) in zona di degrado, in cui per la presenza dei clan criminali "per la prima volta il più tranquillo quartiere di Napoli vide in faccia il delitto e apprese che cosa è una vendetta" (p. 171), con una spirale di violenza sempre più pronunciata tra il 1994 e il 1996: "la morte dell'Ilva non ha contropartite [...], tanto più in presenza di una camorra ormai alla conquista del territorio" (p. 197), perchè una volta che si è permesso di chiudere la fabbrica con la sua cultura del lavoro legale, la camorra si sostituisce e crea lavoro illegale e alti guadagni, inquinando tutto il territorio (p. 199).

Lo sfondo della città di Napoli nel suo complesso è caratterizzato nel romanzo da questi fenomeni e da un'economia sotterranea e di lavoro nero che "produce merci, illegali e contraffatte [...], ma pur sempre merci, alternative a quelle che l'apparato industriale legale, in costante flessione [...], non produce più" (p. 237).

Abbiamo insomma un'anatomia della situazione sociale, descritta con realismo documentario, ma incastonata in modo non pedante nella storia, con dialoghi dei personaggi e monologhi del narratore che portano a conoscere questi dati. La politica, in questo libro, consiste proprio nella riflessione su un'epoca morente, che lascia con la sua crisi spazio a una tarda modernità caotica, violenta, individualista, illegale, degradata. Muoiono con la fabbrica un pezzo di Napoli e l’intero Novecento.

A questo livello della narrazione, l'autore utilizza un linguaggio aderente al tema trattato, non esente dal lessico tecnico e allo stesso tempo proiettato verso terreni metaforici, ad esempio: "gli estrattori non aspiravano il vapore emesso dall'acciaio investito dai getti d'acqua di raffreddamento e questo vapore fuoriusciva dalle paratie che chiudevano tutta la parte superiore della macchina, isolandola come una specie di scatola protettiva" (p. 21). Il linguaggio specifico si frammischia al registro standard-medio delle parti narrate e al parlato colloquiale dei dialoghi. L'appello al lettore è a condurre "un'accurata ricognizione" (p. 123), a riflettere, insomma, invece che correre tra le pagine: un invito alla responsabilità e contro le tendenze esclusive all'intrattenimento letterario.

Il lato sociologico si innesta sulla storia personale di Buonocore: la difficoltà attraversata da un matrimonio, la vicenda platonica tra il protagonista e Marcella, un'operaia ammalata che morirà rappresentando allegoricamente l'assenza di speranza sociale per la gioventù tardomoderna del Meridione. La crisi esistenziale di Buonocore è importante perché umanizza il personaggio, costruisce il senso di una narrativa personale legata non solo alla fabbrica, ma anche ad una soggettività indipendente; la narrazione esistenziale compensa e integra quella realista oggettiva.

Rea utilizza un meccanismo di autenticazione, dicendo all'inizio del libro che ha scritto questa storia insieme a Buonocore ("nome d'arte se non vi dispiace", p. 7); e concludendo con l'indicazione che la letteratura sta tra la verità (la situazione rappresentata) e la menzogna (gli elementi inventati), ma ciò che importa è "l'onestà", in cui ripone la cifra del proprio realismo: "Tra verità e menzogna vi è un solo confine, quello dell'onestà. E noi - possiamo giurarlo - questa storia, per quel che vale, l'abbiamo raccontata in purezza di cuore. Del tutto onestamente" (p. 370).

Dal romanzo di Rea è stato tratto nel 2006 un film di Gianni Amelio, LA STELLA CHE NON C'È, diverso dal romanzo. Si è persa l’indagine conoscitiva sulle classi sociali e sullo specifico campano, insistendo su un versante nevrotico. Il protagonista di Amelio (ridenominato Vincenzo Buonavolontà e interpretato da Sergio Castellitto) cerca di risolvere un problema di pericolosità dell’altoforno, recandosi in Cina per consegnare ai nuovi proprietari un pezzo tecnico che possa ripristinare la sicurezza. La ricerca, coadiuvata dall’interprete Liu Hua (l’attrice Tai Ling) è lunga e complessa, destinata a risolversi in un nulla di fatto.

Se la storia tra Vincenzo Buonavolontà e Liu Hua rispecchia in parte quella tra Buonocuore e Marcella, il resto si distacca: si mette in rilievo il presente più del passato (la globalizzazione e una Cina mostrata nelle sue contraddizioni e alienazioni); si dà più il racconto di un’ossessione che una riflessione sul mondo della produzione industriale. Infine Amelio accentua il motivo del viaggio, un elemento strutturale delle sue storie filmiche.

La pellicola non manca di interesse; i due prodotti, scritto e visivo, tuttavia, hanno una distanza maggiore l’uno dall’altro che in altri casi di interazione: LA STELLA CHE NON C'È è quasi una continuazione in altro registro della DISMISSIONE.


[Renato Persòli]