21/01/08

Annamaria Ferramosca, DALLA SILLOGE INEDITA MITOLOGIA DEL 21o


[Da un mosaico di Villa Torlonia. Foto trasmessa da Annamaria Ferramosca]


1

un’aria di foresta mi batte sulle guance
sto volando
a braccia distese esploro un sogno
siamo voci in stormo
come in cammino su un sentiero d’aria
con la conchiglia la veste monacale
la sera irradia pulsazioni di canto

sto scrivendo
dalla mia stanza dell’incertezza
nel bagliore tenue dello schermo
nella riduzione a emoticons
della materia condivisa del corpo
sostituzione avara di carezze-parole sulla pelle
pelle
che almeno scorticasse
della superbia della competizione
della frazione ormai plasmatica del male
oh quanti siamo in astinenza
e la dose d’amore intravista
è sostanza immigrante flusso peligroso
ibrido frutto - era mela divina -
a marcire negli angoli
(sorvolo l’area desertica con le oasi antropiche
della distanza anche l’area temperata antropofaga
a macchie urbane)

sto scrivendo
della mia illusione sulle fondamenta
molle cemento in lenta subsidenza del desiderio
quel sentirmi lambire da lingue-incendio
lingue
sonore che si parlano, poi
solo scintille buio
forse un risveglio limpido per-voce, ancora
voce
canto battesimale, onda piena di madre
scalderà d’accoglienza sangue cellule
cellule
fuse d’amore cresceranno forse
nel timore di spegnersi
nella tragedia che ancora accade
l’odio l’incendio il trasporto dei padri sulle spalle
Enea in cammino fino all’Antartide

sto guardando
la foresta giù che lampeggia
il verde corpo disteso beneaugurante
a vegliare sui flussi naturali sui nuovi nati
di carne e silicio potrebbero sublimando svanire
o forse tornare a correre sulla pianura
salvarsi
di diluvio in diluvio


2

"Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l’alba è nuova, è nuova
"
(Rocco Scotellaro).

Pregheremo per l’acqua e per il sole
muti, senza avvertire
su quali corde in gola
vibra un nuovo silenzio

Forse risponderà l’acqua
con furore diluviale
(vi sarà folla a stringersi sugli argini
o perfino la follia dell’assenza?)

Forse risponderà il sole
con albe nuove, nuove
diradando il tracciato tra barbagli e nebbia?
Non riconosceresti la capretta lucana
le mandrie all’addiaccio - muso al cielo –
mugghiano di domande
Servirà tenere la mano sul cuore, ancora
perché non ce lo rubino?

Da tempo siamo entrati nel grande gioco dove
l’enigma vince per cumuli d’ossa
- la pista è senza attrito, cosparsa di petrolio
e volontaria cenere dispersa -
la voce che materializzava i cerchi muta
il ritmo sprofondato nei pozzi
rimane una pietà di terra che trattiene
per noi un’ultima acqua ultimi semi

Un’alba ferro-livida affila
lame di luce su una terrantartide
Germoglieranno ancora il fango il ghiaccio?



3

TECHNE
(come si scolpisce un santo )

Centrali le mani nel cercare
la chiave d’una porta materica
mentre indietreggia l’aria e accade
il pigreco dell’attesa
sbozzato profilo di padremadre
pietra di accumulato amore eviscerata
forma improvvisa che respira
altro occhio

Energia palpabile di roccia, vibrata
da nodi antichissimi, disfatti
febbrili polso e dita
segnano l’aria di voli di brusii
soffiano dall’incavo nebbiolina marmorea
come mano di madre che deterge
del latte il mento del neonato

Centrale, il santo Kevin
sasso addensato in beatitudine
nella fissità illimite obbediente
parolapietra di venerazione
a braccia tese il santo Kevin
col palmo aperto fuori dalla finestra
a far da nido al merlo che vi si era posato
fino alla schiusa