19/01/08

Eva Illouz, INTIMITÀ FREDDE. LE EMOZIONI NELLA SOCIETÀ DEI CONSUMI


[Cold intimacy from a light-bulb lit against a night-blue sky. Foto di Marzia Poerio]


Titolo originale: GEFÜHLE IN ZEITEN DES KAPITALISMUS (2004). Traduzione dall’edizione inglese di Ester Dornetti, Milano, Feltrinelli, 2007. Prefazione di Gabriella Turnaturi

Tradizionalmente si fa coincidere l’origine della modernità con la nascita del capitalismo, nota Illouz, puntando sui concetti di “plusvalore, sfruttamento, razionalizzazione, perdita delle illusioni, divisione del lavoro”, ma è raro che si metta in luce il “vissuto emotivo” (p. 27), come fa invece questo libro, in cui si intende l’emozione come “il lato energetico dell’azione”, un'entità psicologica, ma anche culturale e sociale (p. 29).

Illouz osserva con originalità che con il capitalismo (e negli Stati Uniti segnando come punto di avvio simbolico delle modificazioni dell’emotività modernamente intesa il 1909, l’anno della visita di Freud), si adotta nell’organizzazione del lavoro uno “stile emotivo” (p. 33) di cooperazione di tipo più femminile tramite la promozione di rapporti di collaborazione ed empatia tra addetti alle varie mansioni, mentre prevale uno stile di tipo maschile nell’immissione delle donne sul mercato del lavoro e nei percorsi della carriera professionale in quanto “soggetti autonomi e autocontrollati” (p. 61).

Normalmente si ritiene che il capitalismo abbia provocato una distinzione netta tra il pubblico e il privato, mentre invece, soprattutto nella tarda modernità, le emozioni appaiono balzate dalla sfera dell’interiorità a quella pubblica: “si sono trasformate in oggetti da esternare, soppesare, contrattare” all’interno del “modello della comunicazione” sociale (p. 70); e si è prodotta una contraddizione, o meglio una coesistenza tra due attegggiamenti diversi, una “frattura tra un’intensa vita soggettiva da un lato, e una sempre maggiore oggettivazione dei modi di esprimere e scambiare emozioni dall’altro” (p. 71).

Un aspetto messo bene in rielievo da Illouz, con riferimento particolare agli Stati Uniti, è l’intreccio tra il metodo freudiano che porta in luce l’interiorità inconscia, gli atti non volontari di autoesplorazione e di guarigione, da una parte; e dall’altra il cosiddetto self help rivolto versso il conseguimento dell’autorealizzazione, accentuata al punto in cui, delle narrazioni autobiografiche che la testimoniano, si fanno oggi carico le istituzioni e vari siti sociali: “gruppi di sostegno, talk show, counselling, programmi di riabilitazione, seminari di avviamento al profitto, sessioni psicoterapeutiche, la rete”, che “sono tutti luoghi per la rappresentazione e riabilitazione dell’io” (p. 85). È difficile dar torto a Illouz in questa diagnosi della trasformazione del privato in pubblico, soprattutto quando l’autrice nota che tale esperienza ha risvolti commerciali evidenti: “le narrazioni psicologiche creano nicchie di mercato, spettatori che vengono simultaneamente definiti pazienti e consumatori” (p. 89), come avviene soprattutto in televisione, con una ristrutturazione dell’identità attuata nel momento in cui si narra la propria storia di sofferenza e alienazione. Secondo Illouz, “le autobiografie contemporanee […] raccontano l’estrema sofferenza della psiche, anche all’apice della ricchezza e della fama” (p. 90), installandosi “tra il mercato e il linguaggio dei diritti che ha progressivamente impregnato la società civile” (p. 94). L’aspirazione alla sofferenza, sostiene Illouz, e ci pare una delle sue tesi più interessanti, è una “forma di istituzionalizzazione” dell’io, che si è sviluppata con evidenza nella fase sociale recente (p. 95).

L’ultimo capitolo, più pragmatico, propone un’analisi del film C’È POSTA PER TE e dei siti di incontro romantico su Internet, da cui si evince l’importanza dell’iniziale depotenziamento del corpo nei momenti di primo contatto via e-mail, sostituiti dall’incontro ravvicinato solo dopo la conoscenza psicologica per iscritto. A differenza del film, nelle testimonianze raccolte da Illouz, il conoscersi nella realtà si risolve spesso in una delusione fondata sul contrasto tra l’esperienza concreta non soddisfacente, da un lato, e dall’altro l’immaginazione elevata promossa dal linguaggio virtuale della rete. Internet “scatena la fantasia, ma inibisce i sentimenti romantici” (p. 150). Le tecniche di selezione di partner potenziali nei siti sentimentali esaminati, avverte Illouz, sono simili a quelle del mercato, dato che la promozione dell’immagine e le tecniche di comunicazione tendono a “migliorare l’efficienza e valutare i costi e i vantaggi” (p. 128), mentre si instaurano meccanismi di concorrenza con i/le rivali e di interscambiabilità delle persone con cui promuovere abbinamenti. C’è coscienza di ciò da parte dei partecipanti: “è di un certo interesse il fatto che la maggior parte degli utenti non ignori come il sistema di abbinamento via Internet trasformi lo scambio personale in una transazione economica” (p. 131). Si assiste così a comportamenti di nuovo tipo, in cui paiono in crisi le idee romantiche di attrazione dapprima fisica, incontro iniziale nella realtà concreta e unicità degli individui amati. La conseguenza è che “siamo sempre più scissi tra un’iperrazionalità che ha mercificato e razionalizzato l’io, e un mondo privato, sempre più dominato da fantasie autogenerate” (pp. 161-62).


[Roberto Bertoni]