10/12/07

Marco Ercolani, MATITA PER ALLUCINATI


[That term, "word", was crossed out. Foto di Marzia Poerio]


Taccuini di Gastone Novelli (1968)

Cancello per sempre la parola. La nascondo. La scrivo tra i segni. Non divento folle, perché provo molte follie. La pazzia è l’avventura prodigiosa che riorganizza le forme dell’esistente e dell’inesistente. Non ci si sottrae a questa resurrezione, costasse la vita.

Diventare l’universo. Impiccare l’universo. La scelta.

Nascondersi non vale la pena. Resta la pena.

Ogni sogno è privato, senza nessun segno che resti. Fortune del sonno!

E allora, se tutto non è tutto, se niente non è niente, scriverò sui fogli dei muri, sulla pelle della carta, non farò altro, la parola si cancella quando la scrivi molte volte, quando ritorna troppe volte.

Responsabili della biacca bianca che spalmiamo sopra il quadro orribilmente riuscito come una buona sepoltura.

Dipingere il cotone di nero, poi scriverci parole col gesso bianco.

Un diario elastico, con l’ultima pagina che tocca la prima.

Non posso fermarmi, la lingua cambia, la frase si sfalda, il colore trabocca, dipende da quanto le braccia possano contenere d’infinito, e possono molto, in effetti, moltissimo, ma quasi niente.

Nascondersi. Custodirsi fino all’ultimo giorno. Quelli sopra con le vanghe, che dopo se ne vanno. Grande aria libera.

Si ha tanto timore di finire polverizzati dal tempo da scegliere, come ultima dimora, un museo di ceneri invisibili, ben tappate sotto terra, con l’illusione che le nostre ceneri siano proprio ferme sotto la nostra lapide.

Miles. Thelonius. Jazz picture. Jazz book.

Sogno immaginato. Descrivo i capolavori della pittura a un bambino, poi lo autorizzo a fare degli scarabocchi che assomiglino alla mia descrizione. A scarabocchio finito, andiamo a buttar via i capolavori dei musei.

Orrenda illusione, il saputo.

Per un uomo totalmente nuovo, ecco le carte del cielo.

Ventisei pezzi di muro raccolgono ventisei parole.

Scacchiere. Grandi scacchiere.

Come ti rifaccio il cane di Goya. Il muso. L’orizzonte. Tutto bianco. E l’aquilone, un punto al centro.

Dipingo più di quanto possa leggere.

A me spaventano i vivi. Il colloquio con i morti è la mia sola certezza.

Che cosa continuo a volere, qui, nella parete che dipingo, se non le serrature della mia porta, i limiti della mia morte?

Se ogni lato è chiuso a ogni possibile, allora si deve ricominciare a lavorare proprio dove tutto è chiuso.

Una parte di totem. Una parte di eros.

Non ne vedo la fine. Figure che ho sempre visto. Bianco della Grecia.

Il bianco è il colore per eccellenza. Lo fai sordo, viscido, oppure morbido, assorbente. Come fai a disegnare il bianco del mare, sotto la luna che trema, e distinguerlo dal chiaro di gesso dello scheletro?

Eccoci ancora, col bianco che sale. Umore di magia e di catastrofe.

Voltate i quadri. È sui quadri voltati che dovete guardare come stano veramente le cose dipinte.

Continuerò a scrivere delle parole, a graffiarle con le unghie, fin quando le unghie si romperanno del tutto e rifiuteranno di crescere.

Mani bambine. Importune. Invisibili.

Reggere un libro dalle molte voci. Farne un unico filo.

Si scrive per diventare chi scrive quelle parole. Prima, non se ne sapeva nulla.

I secoli si affannano anche dopo.

L’artista: punto focale e lente ustoria. Migliaia di artisti si riflettono e si scorticano, contemporaneamente.

Il deserto attorno a te. Superficie di graffiti.

Scritto ancora sul muro.

Il sollievo di amici presenti, che parlino di opere assenti.

Consiglio per la rivoluzione: scrivere con un alfabeto da inventare.

La gioia della vita, mentre dipingi, la trovi due volte. Ascolti MONK DREAM, disegni delle torri deformi, ci scrivi sopra MONK DREAM.

Sognata durante le stupende notti domenicali quando mi entravi tutta nei pori della pelle, tutta, essendo assente, fatta di luce…

Le tue parole inciampano nelle mie estasi.

Mi libero della mia libertà con esercizi di memoria.

Appare, ed è sommerso. Lo chiamano il grande linguaggio. È fatto di briciole.

Gli uccelli ruotano nella stanza, come accadeva da principio, prima che venissero gli uccelli. Il soffitto è rosso, le finestre gialle. C’è un uomo alto, addormentato, a piedi nudi, che ha smesso di camminare.

Scrivere un quaderno con tutte le immagini dell’aria racchiuse in una sola riga, nel corso dei giorni e dei secoli, tutte le immagini e le conoscenze dipinte e sognate, farebbe di me il pittore più straordinario di ogni tempo.

Muro tragicomico.
Alzabestemmia.
Segretissimi.

Le grandi e le piccole cose, senza equivoci.

Certi cieli stellati, senza la luna. Sentirmi il coltello che guarda.

Grande aria, oggi. Da spiriti liberi. Domenica. Ci sono certe domeniche che si è immensi.

Aerei spiritosi, matti. Punte di carta.

Come alberi al vento. Il vento passa, ci sorvola, e noi, affannati, chiediamo un’ora di più per finire qualcosa di poco importante.

Sempre questo nulla, da dire di nuovo.

Ho in mente Ulisse - una vela d’acciaio di Melotti. Forse Melotti è vissuto prima di Omero.

Per trovare dei colori che si spostino nelle frasi, dei disegni che entrino nelle lettere, mi muovo a passo doppio.

Chi va a piedi non deve essere fermato.

Bello nascere ogni volta con colori mai visti.

Emilio Villa, in Brasile, vestiva solo di bianco e cantava.

MATITA PER ALLUCINATI. Il titolo giusto.

Come vorrei morire? Pieno di salute.


NOTA DELL'AUTORE

Dopo aver visto la recente mostra milanese di Gastone Novelli (Fondazione Arnaldo Pomodoro, 9 marzo-10 maggio 2006), ho fantasticato, partendo da alcune sue reali dichiarazioni di poetica, degli  ipotetici taccuini di lavoro del pittore. Nell’opera di Gastone Novelli (1925-1968), nella sua spazialità informale, graffiti, geroglifici, iscrizioni, scarabocchi, si incrociano e si cancellano costruendo un anarchico messaggio di libertà.