04/12/07

Marcel Camus, ORFEO NEGRO

1959. Sceneggiatura di Marcel Camus basata su un testo teatrale di Vinicio de Morales. Con Marpessa Dawn, Lourdes De Oliveira, Breno Mello. Musica di Luis Bonfà, Vinicius de Moraes, Antonio Carlos Jobim.


Il mito di Orfeo ed Euridice si ripete nella storia culturale e nella vita, continuamente [1].

In ORFEO NEGRO, il cantore è un rappresentante del samba e della bossa nova nel carnevale di Rio de Janeiro; Mira lo ama e vorrebbe sposarlo; lui ha altre intenzioni, in particolare appena si imbatte in Euridice si innamora di lei, forestiera, inseguita da un uomo che la minaccia e si è travestito per il Carnevale con una maschera di morte. Lo scheletro riuscirà a carpirla, la ragazza muore. Orfeo la cerca guidato da un collega tramviere di nome Ermes, la ritrova già deceduta, muore anch'egli con la giovane tra le braccia, colpito da una pietra di Mira gelosa che lo fa precipitare in un burrone.

L'intreccio, così com'è e con i dettagli forniti, salva la credibilità della storia, affidata a un realismo colorato e vivace, con la pulsazione dell'allegria spontanea della gente e le canzoni e i balli del Carnevale, la rappresentazione della povertà, la passionalità espressa nei dialoghi e nei movimenti, la visualizzazione delle favelas, delle strade e dei palazzi della città brasiliana.

Al contempo, c'è fin da subito il mito, insito intanto nei nomi. Il nome influisce sul corso degli eventi: coloro che si chiamano Orfeo ed Euridice sono destinati a incontrarsi; non ci sono amuleti, nemmeno quelli, come nel film, regalati da un bambino, che possano salvare l'erede del nome segnato. Il fato non si sconfigge, è più forte di noi. La parola ci definisce.

In ORFEO NEGRO, dietro l'apparente spensieratezza dei protagonisti, ci sono i contatti profondi tra il mondo dei vivi e quello dei trapassati: la scena che ci colpisce dalla prima volta che abbiamo visto il film è quella del rito di religione popolare rappresentato con estensione temporale generosa; la scena invece che abbiamo riscoperto nella visione di ieri sera (in dvd) è la discesa delle scale a chiocciola dell'archivio, con carte inutili dato che qui contano le anime, i mitologemi.

Euridice è la nostalgia, il futuro negato, la fine innocente, la vitalità stroncata: tutto piuttosto evidente nella versione di Moraes e Camus.

Il film ha un di più: l'alternanza tra la luce e il buio, tema che ci è caro. Orfeo, secondo una credenza dei due bambini presenti nella pellicola, sa far sorgere l'alba con la musica, che si trasmette al suo giovane allievo, protraendosi nel passare a noi spettatori e lasciandoci un desiderio di giorno, di sconfitta delle tenebre.


NOTA

[1] Un precedente articolo su "Carte allineate" (di Bertoni, in data 14-6-2007) accennava a questo fatto esaminando la versione teatrale dell'Orphée di Cocteau.


[Renato Persòli]