06/12/07

Luigi Ballerini, CEFALONIA

Milano, Mondadori, 2005


"[...] sulla mia morte non ci sono dubbi. Ne rimangono invece / intorno ai modi [...]".

Ettore B, voce narrante e protagonista del poemetto esordisce con l'uso di una minuscola, riprendendo un ragionare mai interrotto, un andare e riandare ai fatti che eliminarono per lui la dimensione del futuro. Sprizza umore sarcastico. Soldato obbligato dalla leva a combattere, incolpevole e forse in parte o in tutto ignaro, morì di morte violenta e il suo corpo non fu ritrovato. Non avendo lui stesso deciso di passare alla storia come eroe, fu obbligato dagli eventi e dai superiori a morire eroicamente.

Nelle linee generali, l'episodio storico a cui Luigi Ballerini fa riferimento è noto, addirittura abusato, in tempi recenti. Si tratta di Cefalonia, luogo-sinonimo del massacro di soldati italiani da parte di soldati tedeschi, nel settembre '43. Un episodio che ha sedimentato nella mente, allora infantile e prelogica, dell'autore, più che vittima - che a tale non si atteggia - parte lesa e offesa, cui ripugna ogni strumentalizzazione retorica.

Più o meno ogni pagina, alternando al nome di Ettore B quello di Hans D, esordisce con la stessa minuscola e termina senza il punto. Neppure tra il discorso dell'uno e dell'altro c'è un vero stacco, anche se sappiamo che Ettore è un sottoproletario italiano, Hans un borghese tedesco, chi ha subito la guerra e chi l'ha preparata. Il nome - Ettore - completa la premessa tragica. Forse è una scelta obbligata ma corrisponde - sia intenzionale o corrisponda a un dato anagrafico - al mito del duellante destinato alla sconfitta.

Nonostante la struttura formalmente dialogica tutto il poemetto si svolge in realtà sul tono del monologo, stempera nel gioco formale - intrecci di canzonette, proverbi e dialetti a schegge di letteratura alta - l'infelicità di un morto non pianto, di un marito-padre che dalla guerra non è ritornato.

Un ritmo sempre sostenuto - una valanga di detriti della memoria - mescola frammenti della Commedia e assonanze del Dolce Stile a un rabbioso digrignare: "noi siam li tristi sgarbi accalorati, le formicuzze / il forellin dolente, noi siam le tristi penne scalcagnate [...]".

L'oggi e quel lontano '43 sono compresenti nel giudizio. Non solo Ettore ma ognuno dei giovani soldati delle due sanguinose guerre mondiali sembra "elargito a sproposito", oggi che la guerra si è mutata da dovere verso la patria, in lavoro crudele ma ben retribuito. Lì nasce il contrasto tra la visione che esalta quei morti come eroi e il senso di rabbiosa inutilità del martirio: "[...] Ma io vago insepolto, / elargito a sproposito, e mi è chiara la violenza di un pensiero in linea / retta, che si posa sui clivi e sui colli [...]".

Ettore, insepolto, può esserci tematica più epica? Eppure il lessico adottato e il racconto che, come trama visibile, sottostà al monologo impone di dissipare l'equivoco: "Meno che mai martirio per cui si accede, anche non battezzati (che / ne basta il desiderio) alla gloria dei santi [...]".

Del resto strumentalizzazioni, trappole, allucinazioni, sono sempre all'origine di comportamenti che sfidano spavaldamente la morte, nelle guerre guerreggiate come nei racconti poetici. Questo è anche il senso della sconfitta di Ettore omerico, narrata nel libro XXII dell'Iliade: nell'Olimpo, dopo tanto litigare, finalmente la decisione finale è presa, e per l'inganno allucinatorio ordito da Atena l'eroe troiano si offre al duello con colui che è, con ogni evidenza, il più forte.

L'Iliade rimane qui sullo sfondo imitata, sofferta e in qualche modo irrisa. La seconda parte del libro s'intitola "Se il tempo è matto", italianizzando, come spiega in una delle illuminanti note lo stesso autore, una locuzione lombarda ("se 'l temp l'è matt, mi sont minga matt"), che designa un certo comportamento eccentrico, schematico fino all'autolesionismo. Si conferma la chiave sarcastica e, sul piano formale, la mescolanza di registri come cifra stilistica. La citazione classica si meticcia con la canzone appassionata e ironica ("siempre que te pregunto"), offrendo spunto alla considerazione morale, allo sfogo di un fastidio esistenziale. Ossessione per le responsabilità eluse, per le fatalità cospiranti, cantata tra i denti come si canta una canzone che s'è incisa nella mente e ne scarica il lavorio.

Anche in questa parte del libro l'autore si serve, per stemperare il páthos, massimamente della parodia, molto frequentata dalle avanguardie degli anni '60, con le quali lo stile di Ballerini da allora si apparenta, riprendendo con grande maestria e senza maniera un filo mai interrotto della scrittura.


[Piera Mattei]