21/08/07

Lucetta Frisa, CENDRILLON


[Is the green one a strange, petrified character from a fable? Foto di Marzia Poerio].


Parigi: luglio 1697, notte alta. Nel salotto non filtra una bava d’aria. L’atmosfera è afosa e cupa: due scrittoi, uno ordinato, l’altro invaso dai fogli. Brocche d’acqua. Candelieri accesi. Qualcuno bussa. È il valletto che, mezzo addormentato, annuncia:
Monsieur, il viaggiatore che attendevate è qui”.
Entrez!”.

Monsieur tiene in mano un mouchoir di pizzo chantilly per detergersi le perle di sudore che colano giù dalle tempie strette e sventagliarsi un po’.

Il viaggiatore, avvolto in un mantello nero pece, fa il suo ingresso silenzioso e felpato. Respiro ansante, alito non aristocratico. È senza parrucca, i capelli folti e nerissimi, sono incollati al cranio. Cinque giorni di viaggio da Avignon e neppure una sosta.

No, non bisogna aver pietà per quelle ossa maltrattate dalla corsa su carrozze scomode e arrugginite con cavalli moribondi: nessuna pietà per il sonno arretrato e quel sudoraccio puzzolente. Monsieur ha fretta. Non si alza come imporrebbe il dovere dell’ospite. Dice solo, indicando col lungo mignolo un’ombra smilza, alla sua destra, china sullo scrittoio affollato di carte:

“Questo è mio figlio Pierre Perrault Darmancour, che prenderà qualche appunto. E laggiù - il lungo mignolo devia di pochi millimetri dalla traiettoria - c’è dell’acqua, se volete”.

L’uomo si toglie il mantello. Altra puzza, più intensa e diffusa, stavolta. Fa circolare uno sguardo nerissimo come tutto il resto. Si versa rumorosamente da bere, mentre Pierre Darmancour tossisce, si accomoda meglio sulla seggiola, comincia a intingere la penna d’oca che ha un lieve soprassalto entrando nell’ampolla dell’inchiostro.

Rimangono in attesa, la penna, l’inchiostro, il foglio e Pierre Darmancour, il cui volto è abitualmente pallido ma ora è addirittura cadaverico sotto la luce delle candele.

Lo sconosciuto si abbatte nel fauteuil con uno schianto. Fruga dentro un involto che nasconde sotto il mantello, ne estrae con cura un libro vecchio, di media grandezza, rilegato in pelle da poco prezzo. Lo posa con delicatezza sul palmo della mano sinistra e mentre la luce del candeliere gli serpeggia sul volto che Monsieur giudica intollerabilmente vulgaire per la carnosità delle labbra e lo spessore allargato del naso, lo apre con solennità. Poi solleva la mano destra come a dirigere un ensemble di viole e violoncelli, fa un sospiro in tre tempi e con tono basso ma vibrante, inizia: “LO CUNTO de LI CUNTI ovvero LO TRATTENIMENTO DE PECCERILLI di Gian Alessio Abbatutis, detto GiovanBattista Basile, in Napoli 1634, Jornata Prima”.
“Un momento”, interrompe Monsieur, tirandosi i baffi aguzzi come vibrisse “mi assicurate che l’autore è morto da trentacinque anni?”
“Uì, Messiè”, risponde il napoletano.
“E che, l’opera omnia è postuma?”
“La sorella Adriana la fece pubblicare due anni dopo la sua morte. Ma mezzo sconosciuta è rimasta. Parola mia, Vossia… pardon, Messiè”.
“Mi assicurate che siete l’unico su questa terra a possedere l’unica copia rimasta dell’opera?”
“Uì, Messiè, parola mia. Avete avuto le giuste informazioni”.
Et vous, com’è che sapete il francese?”, chiede infine Monsieur Charles Perrault con malagrazia, al termine dell’interrogatorio, con lo stesso tono indagatorio e diffidente.

Neppure lui si ricorda con precisione il nome e l’aspetto di chi gli ha confidato nella massima segretezza e dietro un sostanzioso compenso, come un certo Giovan Battista Basile, vissuto in Italia presso le piccole corti della Campania, avesse scritto comtes très intéressants. Racconti ascoltati dal popolo e in seguito trascritti, rinventati, arricchiti di particolari, per divertire i suoi signori, ma…hélas! En langue napolitaine.

Aveva messo in atto una serie di strategie, con informatori e spie, che si depistavano l’uno con l’altro, ingarbugliavano le notizie, fino a giungere all’uomo chiave: un ignoto guitto napoletano, figlio illegittimo e rinnegato di un nobile decaduto, ma buon amante delle parole, sia parlate che scritte. Su un carro di Tespi si era allontanato da Napoli, salendo per tutta l’Italia, portandosi dietro altri girovaghi, rimaneggiando vecchie commedie a uso e consumo dei suoi attori e di un pubblico sempre diverso. E girando e rigirando per le piazze italiane era arrivato fino in Provenza dove attori, teatro e girovaghi stanno di casa, vi aveva fatto fortuna e imparato il francese. Un guitto napoletano che possedeva il libro originale di Basile e vi attingeva per tirar giù canovacci alla buona.

Questo gli conferma adesso il napolitain in persona che continua ad asciugarsi fiumi di sudore davanti a lui con un orrendo foulard sbrindellato storpiando la sua bella lingua francese fino a farlo imbestialire. “Provate a leggermi qualche pagina di Monsieur Abbatutis”, ordina Monsieur Perrault e si assesta più comodamente nel suo fauteuil.

Antonio di Marigliano ped essere l’arcifanfarode de catammare cacciato dalla mamma, se mese a li servizie de n’uerco”…
Comment?”, interrompe la voce stridula di Pierre Darmancour Perrault, finora muto come un sepolcro, ma con la penna sempre in aria intinta e rintinta tante volte nel calamaio senza avere scritto una sola parola.
“Traduco subito, Messiè, statevi bbuono…”, dice il napolitain fermando in aria quella sua mano così volatile che accompagna le volute barocche del racconto.
“Antonio di Maragliano, cacciato dalla mamma perché è il capintesta degli scemi, si mise al servizio di un orco”…

Perrault si tira le vibrisse in segno di soddisfazione, mentre quel traduttore-traditore legge infervorato, addentrandosi nei sapori della lingua del Basile e traducendola con una certa maestrìa in un francese accettabile. Di tanto in tanto emette un Ah, bon, sorride e ride malgré soi, perché già si immagina il suo successo, proporzionale al divertimento di Mademoiselle e di tutta la corte riunita a cerchio attorno a lui che di sera, avrebbe letto a voce alta quelle favole.

Anche Pierre ha deposto la penna inutilizzata, se ne sta con le orecchie tese, a braccia conserte, più cadaverico che mai.

Poi Monsieur smette di divertirsi e comincia a pensare. Una domanda gli guasta la festa, gli trapana il cervello. Come essere sicuri che questo incontro segreto rimanga tale? D’accordo, Napoli è lontana e l’unica copia de LO CUNTO de LI CUNTI è lì, nelle mani del presente guitto napolitain che si agita come solo i meridionali italiani sanno fare. Ma… già si è saputo che lui, Charles Perrault, Accademico di Francia, ha attinto qua e là, per le sue fiabe, da LE PIACEVOLI NOTTI de Lo Straparola, in una traduzione francese… Ma adesso, Parbleu, nulla deve trapelare di questa visita notturna, di questo attore-traditore che ha portato qui, fino in casa sua, il libro tanto straordinario di Monsieur Abbatutis, vulgo Basile. Che opinione si farebbe la Francia e il mondo intero, di un accademico di Louis XIV che scopiazza le sue fiabe da un ignoto écrivain napolitain?

Bon”, taglia corto Monsieur, “Voi mi dovete tradurre questo libro. Anzi, mi hanno parlato di ben cinque volumi, se non erro. Donc, il tempo stringe, l’estate è al suo culmine e io ho fretta di pubblicare. Quando tutto il lavoro sarà finito, sceglierò quelle trame e quei particolari che più mi piacciono. Sarete pagato bene per questo servizio. Ma sarete pagato di più per il silenzio. Nessuno, mai, dovrà sapere del nostro incontro di questa notte”.
“D’accordo, Messiè”.
“E voi dovrete togliere dal vostro repertorio le commedie che si ispirano a quelle di Basile. Sarete pagato ancora molto di più per questo. Ma guai a tradirmi. Ho le mie spie”.
“D’accordo, Messiè”.
“Sarete alloggiato a casa mia. Avrete ogni conforto: vitto abbondante, abiti decenti, una sgualdrina per i vostri bassi piaceri. Lei non parlerà, è muta, né potrà scrivere, è analfabeta. Ma, ripeto, nessuno, al di fuori di me e di mio figlio”e di quella sgualdrina “dovrà sapere del vostro soggiorno qui. Detterete a voce la traduzione dal napoletano in francese, direttamente al qui presente Pierre Darmancour, mio figlio, che la trascriverà in bella copia. Avez-vous compris”?
Uì, Messiè ai vostri ordini, Messiè… Però adesso, vi prego di ascoltarmi”. L’attore, con un tono quasi perentorio, e i suoi occhi si accendono di una luce luciferina: “Questa storia dovrebbe piacervi in modo particolare. Si intitola: IL SESTO PASSATEMPO DELLA PRIMA GIORNATA OVVERO LA GATTA CENERENTOLA”.

Già dalle prime battute Monsieur, il mouchoir di pizzo di chantilly si è bloccato a mezz’aria, il respiro pure. Solo le vibrisse tremano.

Una notte di luglio a Parigi, nel 1697, Zezolla comincia lentamente a trasformarsi in Cendrillon che lascia la sua vecchia casa napoletana e corre al ballo di un principe francese. Chi già la sta immaginando in questo modo, fa cenno con il mignolo a un’ombra smilza di avvicinarsi.

L’ombra si avvicina, Perrault padre accosta le labbra all’orecchio dello spettro-figlio e bisbiglia:
“Bisogna bruciare il libro appena tradotto. Mai visto, letto, ascoltato”.
“Oui, Monsieur le père”, risponde lo spettro con un altro bisbiglio.

Poi lo spettro indica col mento aguzzo il lettore-traduttore-traditore napolitain che, leggendo appassionatamente, non si è accorto di quegli spostamenti in platea, né tantomeno dell’espressione complice e perversa di due paia d’occhi che lo fissano, e aggiunge, con un sibilo ancora più impercettibile: “E di lui, che cosa ne faremo?”



NOTA DELL’AUTRICE

Nell’anno 1697 si scoprì un delitto compiuto da Pierre Perrault Darmancour, figlio di Charles Perrault, nella persona di un giovane sconosciuto. Ne seguì un processo. Per ottenere la protezione della corte durante il processo, il padre avrebbe pubblicato, con il nome del figlio Pierre Perrault Darmancour, il volume di racconti intitolato HISTOIRES OU COMTES DU TEMPS PASSÉ AVEC DES MORALITÉS, dedicandolo a Mademoiselle, la nipote di Luigi XIV. Pierre venne graziato. Tre anni dopo, partì per la guerra dove perse la vita. Le favole di Charles, con il titolo LES COMTES DE MA MÈRE L’OYE, sopravvivono fino ai nostri giorni. Il guitto napolitain è vissuto solo nell’immaginazione dell’autrice di questo racconto.