09/08/07

Ismail Kadaré, L’AQUILA


[Eagle from a church on the Celio hill in Rome. Foto di Marzia Poerio]


Ismail Kadaré, L’AQUILA, Milano, Longanesi, 2007. Traduzione di Francesco Bruno dall’edizione francese del 1996.

Come già nel PALAZZO DEI SOGNI, un precedente romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadaré, ci si trova in una storia fantastica, il cui protagonista è preso in una difficoltà di comprensione degli eventi, ma agisce al loro interno come se la logica insolita, onirica da essi provocata fosse l’unico terreno di azione. O si trattava di follia?

Il narratore in prima persona precipita infatti attraverso un’asse della pavimentazione stradale in un mondo sotterraneo parallelo, ove svolge una vita quotidiana simile a quella soprastante, ma consapevole di essere caduto lì per punizione di una burocrazia intransigente e conscio del fatto che con molta difficoltà si può sfuggire.

Una possibile via d’uscita pare essere, seguendo un’antica leggenda, quella di cavalcare un’aquila che richiederà pezzi della sua carne nello svolgersi del volo verso la libertà. Il narratore, acquistati dei brandelli di carne da un macellaio, si accinge all’impresa; pare che giunga fino all’Albania, di cui l’aquila è simbolo.

Tuttavia, nell’ultimo capitolo, la narrazione opportunamente passata alla terza persona informa che si era trattato di un delirio: un visitatore notturno dello zoo ha lottato con l’aquila e i sono uccisi a vicenda.

Questa ottica del fantastico solo in parte spiegato (perché l’enigma di cosa sia veramente successo resta aperto anche dopo la conclusione della lettura del volume) ha lo scopo, si direbbe, di allegorizzare la condizione umana in regimi totalitari o comunque di controllo sulla popolazione.

Su un piano più universale, la caduta verso il basso potrà forse vedersi come un volo interiorizzante verso l’Ombra, con l’aquila a rappresentare un’Anima fattasi oscura e una lotta tra l’Io e il suo Doppio, senza vincitori dato che le due componenti conscia e inconscia si annullano.

Come in altre storie aventi a motivo una discesa, c’è probabilmente una visitazione di Thánatos, ipotesi accentuata da uno di quei dettagli di specularità che si riscontrano nella narrativa in presenza della tematica della Morte: lo specchio è qui rappresentato dal nome di una ragazza del mondo sottostante, annA, come il narratore la battezza dopo averne visto il nome disegnato in una vetrina per distinguerla da una giovane da lui amata nel mondo soprastante, una più comune Anna.

Essere posseduti dall’inconscio, entrare in una psicosi autodistruttiva…

Essere catturati da una struttura narrativa con una logica ferrea come quella della realtà e una serie di immagini fluttuanti come quelle dei sogni.

Scorrevole e inquietante, kafkiano e originale questo romanzo breve di Kadaré.


[Roberto Bertoni]