Nel punto in cui si abbattono
la pioggia senza fine e i radi
devastanti lampi del nulla -
il mondo dietro al mondo
che traspare irato a tratti;
dove piangono due cipressi
e marcisce la stirpe dei frutti
in tutti i tempi senza raccolto,
dove gli occhi di una figlia in attesa
sono fissi al vuoto
contro un orizzonte chiuso
dal muro della pioggia
montagne logore e cieli -
nello stesso punto
ma in un tempo prima dei cipressi,
delle case e degli occhi sbarrati,
nel tempo in cui la roccia maturava
e non c‘erano occhi per vedere,
la stessa pioggia e un lampo uguale
con la stessa ira caddero millenni, e non fu
fecondazione ma caparbio urlo del nulla,
un nome che si urlava senza fine
dal geoide che l’ammanta e lo nasconde.
Su sorrisi e dolori, su corse e gesti
sospesi o bruciati in un lampo,
su ricordi e promesse tranciate
in un attimo di caso o follia
cadde imparziale addestrando
la propria forza a questo istante,
questa combinazione di cielo terra
e la chiazza misteriosa
rossamente umana
che in lontananza avvampa
combattendo la tempesta.
(Non c’era nulla dove guardavamo,
solo la collina aggredita dalla pioggia
e un vestito rosso contro il buio -
e lei stava aspettando sulla soglia
le palme aperte al cielo e al tutto,
un viso chiaro e la speranza accesa
per qualcosa che accadesse,
qualcuno che arrivasse
o che tornasse, non la pioggia).
Come da un probabile aneddoto, detto a corollario e in parentesi, a contrasto con quanto precede; come se il senso fondamentale, giustamente, fosse riposto in un più ampio e universale significato, con un evento che supera i limiti di ciò che accade e assume un ritmo cosmico, biblico, antidannunziano, che scava nell'inconscio; arrivando al nulla annunciato due volte e ripetuto nella parentesi conclusiva; con versi ultimi, però, anche di speranza.
[La breve nota alla poesia di Mauro Ferrari è di Roberto Bertoni]