Bernard Noël, L’OMBRE DU DOUBLE, Parigi, P.O.L., 1993. Edizione italiana : L’OMBRA DEL DUBBIO, traduzione dal francese di Lucetta Frisa, postfazione di Marco Ercolani, Novi Ligure (AL), Joker, I libri dell’Arca, 2007
SÉQUENCE 3
qu’est-ce qui nous fait vivant
la main se lève noire
la bouche est pleine de tu
chacun rêve d’une moitié
un toi mis à nu
tout le savoir est une tombe
la langue là-bas y remue
puis c’est une couture d’ombre
au fond des yeux crus
*
le tu est en toi une âme
d’ombre tout ce qui fut dit
personne n’a d’autre corps
cette buée là-bas
sur la langue un nom
parmi les dents de la nuit
le silence est terre d’air
un lieu pour poser de l’autre
au milieu de soi
*
il et vous et qui poussière
du corps étoffe de moi
sur personne un peu de noir
quelqu’un est sorti du souffle
il a mangé mon visage
il est où je suis
quand je ne suis rien
un sac de ténèbres
sens dessus dessous
*
qu’est-ce que la mort
l’oubli de la vitre et tu
entres dans la matière
la transition est inhabitable
ton œil tout en vide voit
sa propre chair d’ombre
la substance du passage s’unit
au geste qui fait passer
le je vers le tu
*
c’est de la forme et non du moi
visage sans aucun trait
l’épaisseur peut-être du silence
nul ne va jusqu’au bout du tu
un couteau de mirage crève l’œil
tout ce qui est au-dehors vit mieux
plus de je plus d’exclusion mais qui
est dans cet être là
bourré de ma propre nuit
*
chair de rien toute empaillée
de langue pas de salive pas
même une poignée d’air
un qui découpé en quoi
les yeux voudraient l’avaler
la bouche lutte avec une matière
de vent un goût de fêlure
le corps soudain manque de corps
il continue si loin de lui-même
*
qu’est-ce que l’objectivité
la terre est courbe et le sens
un dé lancé dans l’œil
l’espace mange tous les lieux
nuit blanche la bouche voit
son tu quelque chose une fosse
en l’air une main qui s’envole
en découpant la forme du monde
devant chacun l’autre se lève
*
le pli d’un geste une lèvre
dans la fumée quelqu’un marche
à travers soi-même il
n’en sort pas le temps
touche mes os une ombre
cherche ma présence
dans la lumière qui tue
toute la vie coule dehors
la mémoire ne respire plus
*
un tu taillé dans le regard
il creuse en face le même trou
central que dans l’œil
le seul voit la solitude
au bout de tout un visage noir
des ciseaux d’illusion
découpe un je d’ange
son aile dans la bouche
est la langue du tu
SEQUENZA 3
che cosa ci rende vivi
la mano si alza nera
la bocca è piena di tu
ciascuno sogna una metà
un te messo a nudo
tutto il sapere è una tomba
là dove si agita la lingua
poi è una cucitura dell’ombra
in fondo agli occhi spogli
*
il tu dentro di te è un’anima
d’ombra tutto ciò che fu detto
nessuno ha un altro corpo
quel fumo là in fondo
un nome sopra la lingua
tra i denti della notte
il silenzio è terra d’aria
luogo per mettere dell’altro
al centro di sé
*
lui e voi e chi polvere
del corpo stoffa di me
un po’ di nero su nessuno
qualcuno è uscito dal fiato
ha mangiato il mio viso
è dove io sono
quando non sono nulla
un sacco di tenebre
sensi sottosopra
*
che cos’è la morte
dimenticanza del vetro e tu
entri nella materia
è inabitabile la transizione
il tuo occhio tutto vuoto vede
la sua carne d’ombra
la sostanza del passaggio si unisce
al gesto che fa passare
l’io verso il tu
*
è forma ma non di me
viso senza tratti
spessore forse del silenzio
nulla va fino in fondo al tu
la lama del miraggio cava l’occhio
tutto ciò che è fuori vive meglio
non più io non più esclusione ma chi
è dentro quell’essere là
colmo della mia stessa notte
*
carne di nulla tutta impagliata
di lingua senza saliva
neppure una manciata d’aria
un chi diviso in cosa
gli occhi vorrebbero inghiottirlo
la bocca lotta con una materia
di vento un sapore di ferita
il corpo d’un tratto manca di corpo
continua tanto lontano da sé
*
che cos’è l’oggettività
la terra è curva e il senso
un dado buttato nell’occhio
lo spazio divora tutti i luoghi
bianca notte la bocca vede
il suo tu qualcosa una fossa
nell’aria una mano va via
ritagliando la forma del mondo
davanti ad ognuno si alza l’altro
*
la piega di un gesto un labbro
nel fumo qualcuno cammina
attraverso di sé e
non se ne va via il tempo
tocca le mie ossa un’ombra
cerca la mia presenza
nella luce che uccide
tutta la vita scorre fuori
la memoria più non respira
*
un tu inciso nello sguardo
scava di fronte lo stesso buco
centrale come nell’occhio
solo vede la solitudine
alla fine di tutto un viso nero
forbici d’illusione
ritagliano un io d’angelo
la sua ala nella mia bocca
è la lingua del tu
Marco Ercolani, L’ERESIA DELLO SGUARDO
In L'OMBRE DI DOUBLE, di Bernard Noël, domina la raffigurazione del volto umano come buco di tenebre, superficie scandagliata nelle sue parti - lingua, occhio, denti, capelli -, luogo di metamorfosi non sacre ma tese a rappresentare il destino tragico dell’io, soggetto alla pervasione violenta dell’altro.
“Il tuo viso lo vedi
che scivola sotto la morte
Tutto il sangue dello sguardo
qui e là nel buco”
Se è vero che il volto, connotato come sede della razionalità e dell’equilibrio, simboleggia l’unità psicologica del corpo, Noël sovverte definitivamente questo concetto, raffigurando una faccia umana trafitta da dissolvimenti, cancellamenti, fratture, non dissimile da certe perturbanti visioni di Munch o di Bacon. Questa deformazione porta con sé un presentimento di tragedia. In quanto maschera, il volto si oppone allo sguardo tranquillizzante che vorrebbe fissarlo come unità armoniosa o spirituale: è lui, ora, a guardare, a diventare soggetto non più obbligato a garantire la totalità del corpo, e riscopre così la sua natura frammentaria e rovinosa.
“[…]
forbici d’illusione
ritagliano un io d’angelo”.
Se “forbici d’illusione” ritagliano “un io d’angelo”, questo apparente io angelico, estratto dalle forbici acuminate, è munito di una sua ombra infernale, “l’ombra del doppio”. E, se il doppio è già un’ombra, il libro ne esplora il vortice di rispecchiamenti e di rifrazioni non con le armi della riflessione intellettuale ma con i ritmi della materia poetica.
“[...]
il mio presente è una pietra
me la getti negli occhi”
Il processo conoscitivo e poetico avviene attraverso la perdita dell’identità corporea. Il volto diventa un'immagine rifranta, minacciosa, che indica migliaia di apparenze non limitate da cornici consolanti, come accade quando ci riflette uno specchio. L’io sembra immergersi dentro una sporgente increspata; il riflesso si scompone, si fa flusso che trascina e disperde, porta l'immagine verso l'evanescenza; oppure ritorna acqua opaca, che nasconde l'abisso e sigilla i mutamenti, ipnotica e buia. Deluso dall'immagine ferma, evocata dallo specchio, il poeta sceglie la dissonanza dell'immagine mobile, frantumata dalle rifrazioni, cede alle vibrazioni del tema, al loro ground fondamentale, scompone la melodia in diverse isole timbriche ma senza nasconderne i suoni, rendendoli sempre riconoscibili, come un volto si riconosce anche attraverso le sue parti. La forma dell'io, alla radice, diventa visione del non-io, dell’io verso il tu.
“Nel tu
mangiando
l’io
i denti
girati contro la lingua
piaga aperta
piaga negli occhi”
Gli smembramenti del volto e del corpo, dell’io e del tu, non sono evocati con soluzioni drammatiche o espressionistiche: al contrario, il linguaggio poetico ne descrive con sobrietà la tragica scomposizione. Il tema fondamentale del volto scorre parallelo a quello della vista, rappresentata come potere di creazione/distruzione degli occhi, della bocca, della lingua, dei sensi umani, vissuti come prospettive in stato di pericolo, di dissolvimento.
“La tua lingua tocca l’occhio
brucia nella luce
tendi la tua mano di polvere”
La percezione dell’instabile identità dell’io è evocata con secca e minimale violenza dal poeta. Il linguaggio si snoda come un universo di microesplosioni. La scommessa formale che innerva L’ombra del doppio è raffigurare i sensi spezzati, il viso violato, l’io separato dal tu, con cadenze brevi e quasi gnomiche, sequenze e avvicinamenti di una partitura atonale, di una liturgia laica, ai limiti del silenzio. Attraverso una parola astratta, percorsa da “estratti” di corpo e tensioni metafisiche, Noël giunge alla percezione della carne straziata e vivente della parola, fatta con la materia stessa delle immagini. Ne scaturisce una poesia che la logica della ragione definirebbe “filosofica” ma che la realtà delle parole mostra come “esistenziale”, fenomenologica. I “colpi di sonda” delle parole dissolvono l’unità del volto in un lampeggiare di schegge. Non esiste più un io dominante ma un io relativo e dolente, traversato da voci, invaso dal soffio poetico: “chi ha cominciato / in me / senza di me”. La metafisica di Noël è un “simulacro del cielo / sotto le unghie” - non cielo totale ma spettro di cielo, di cui resta sotto le unghie del testimone un segno, un cenno.
“Lanci la sentenza di morte
la mano di polvere
Una lama di miraggio
cava l’occhio”
La parola miraggio, testimoniando la persistenza di un’illusione, dovrebbe rassicurarci, ma la parola coltello smentisce questa illusione. Lo smembramento del volto rappresenta la ferita della conoscenza umana, soggetta a violenze e fratture continue, che la rendono scorticata ma vivente.
“La mano si alza nera
la bocca è piena di tu
poi è una cucitura dell’ombra
in fondo agli occhi spogli”
“Una faccia umana
che non ha nome
volto senza testa
anche sfigurata
la faccia umana
mangia al nostro viso
il suo silenzio
è la bocca nera
dove il tu si getta nell’io”
La violenza surrealista della materia poetica è un flusso bloccato in immagini-schegge, atonali, neutre. Opponendosi alla dolcezza cantilenante della sua stessa lingua, Noël lavora su azioni brevi, su parole isolate. Costruisce una piccola insurrezione antiretorica, non permettendo alla poesia di svilupparsi in discorso ma rendendola isola frammentaria, esplosa, scheggiata. Il clima che ne deriva, acuito dalla semplicità dei mezzi, è un “campo di sterminio” fisico e metafisico, dove ogni frammento di corpo, di volto, di pensiero, è atto di eresia contro i soprusi del reale. Le simbologie che appaiono nelle diverse sequenze poetiche – dal doppio all’ombra al fantasma allo specchio – sono sottoposte a una decisiva immersione dentro lo strazio del corpo, cesellato dalle alchimie di una lingua volutamente scarna.
“Il sacrificio dell’io
al tu
lo sgozzarsi verbale
dell’illusione con l’illusione”
Come scrive di Zao Wou-Ki in LES YEUX DANS LA COULEUR, il lavoro dell’artista è “lavoro lucido / lavoro di grande silenzio / lavoro di forze slanci porosità / di materie / non di immagini”. All’interno di una materia che non è ancora immagine, l’opera di Noël è un diagramma spezzato che ricorda le riflessioni di Gilles Deleuze sulla parola poetica che continua a sfuggire e a balbettare, straniera nella sua stessa lingua, traversata da metamorfosi, porosità, continui dissolvimenti e ricuciture. Gli occhi di molti tu sono la “sostanza stessa del mondo”, come scriveva già il giovane Noël in LES LIEUX DES SIGNES (1950):
“Una sera, gli oggetti si misero a vivere e subito credetti di sognare. Il mondo si scomponeva. Le cellule si ribellavano. Una vita atomica mi avvolgeva. Cominciò con lo schienale di una sedia, poi, sempre di più, il movimento raggiunse tutte le cose che popolavano la mia stanza. Dappertutto, occhi spingevano e mi guardavano; dappertutto, folle di occhi animati da movimenti ondulatori. Credetti di sognare; ebbi paura; infine pensai di essere penetrato di colpo bella sostanza del mondo, e non so ciò che accadde di me durante lunghe ore, per giorni interi”.
Il poeta insegue quello stato di trance che, alla fine, si mostra con parole isolate, sospese, ellittiche, alla soglia del silenzio. Attraverso quelle parole Noël si avvicina all’intuizione centrale della sua poetica: usare l’irrealtà della visione e del sogno come materia, come strumento attraverso cui deformare e trasformare, reinventandolo, il reale stesso.
“[…]
la lingua tasta
un filo d’aria
immette parola su parola
sopra un po’ di pelle.
Può forse l’irreale
sognare il reale
ricondurlo dopo
alla realtà
Il tu divora l’io
poi lo ricopre della sua ombra
ma l’altro laggiù nel fumo
indossa il corpo che fu mio”.
Lingua, pelle, io, fumo, polvere, occhi. Come scrive Henri Michaux: “L’io non esiste. IO è una posizione di equilibrio”. Intorno ai paradossi di questo equilibrio, in un incessante cortocircuito generativo tra altro e io, tra io e ombra, Noël non rinuncia a seminare e a smarrire la sua lingua, sospesa tra afasia ed eccesso. “A ciascuno la sua razione d’ombra / per addobbarsi di immagini”.