Rivista in rete di scritti sotto le 2.200 parole: recensioni, testi narrativi, poesie, saggi. Invia commenti e contributi a cartallineate@gmail.com. / This on-line journal includes texts below 2,200 words: reviews, narrative texts, poems and essays. Send comments and contributions to cartallineate@gmail.com.
A cura di / Ed. Roberto Bertoni.
Address (place of publication): Italian Dept, Trinity College, Dublin 2, Ireland. Tel. 087 719 8225.
ISSN 2009-7123
28/07/07
Grazia Testa, MARÍA TERESA LEÓN E IL SOLDATO CHE CI HA INSEGNATO A PARLARE
[Ci guarda? Foto di Paola Polito]
CERVANTES, EL SOLDADO QUE NOS ENSEÑÓ A HABLAR (Alcalá de Henares, Universidad de Alcalá, 2004), la biografia letteraria dell’autore di uno dei pilastri portanti della letteratura spagnola e mondiale, è l’ultimo libro scritto da María Teresa León, pubblicato nel 1978 a Madrid dall’editrice Altalena. L’opera è stata ripubblicata dall’Università di Alcalá de Henares nel 2004, in occasione del centenario della nascita dell’autrice, celebrato nel 2003, e in vista dei festeggiamenti per il quarto centenario della pubblicazione della prima parte del DON CHISCIOTTE, celebrati nel 2005.
María Teresa León, scrittrice dalla vita lunga e intensa, segnata da quello che lei stessa definisce come il male incurabile della scrittura, risalta nel panorama intellettuale spagnolo degli anni venti e trenta del Novecento e degli anni del forzato esilio durante la dittatura franchista per il suo notevole bagaglio culturale, per l’interesse e il profondo rispetto nei confronti della tradizione storica e letteraria del suo paese, per la ribellione verso convenzioni sociali e ingiustizie, per l’attività politica al fianco del secondo marito, il poeta Rafael Alberti, e per la difesa nobile e contundente dei diritti delle donne.
Nasce a Logroño nel 1903. Madrid, Barcellona e Burgos sono teatro della sua infanzia e adolescenza, in quanto a causa della professione del padre, membro dell’esercito, la famiglia è costretta a cambiare domicilio con frequenza. La madre, María Oliva Goyri de la Llera, è una donna d’estrazione borghese, autoritaria, indipendente, progressista e anticonvenzionale, che si prende gioco dei codici e delle regole di comportamento che la vita militare impone al marito, ed è cugina di María Goyri, la prima donna laureata in Spagna, moglie dell’intellettuale Ramón Menéndez Pidal. La madre e gli zii, legati alla prestigiosa Institución Libre de Enseñanza, e costantemente circondati da poeti, scrittori e artisti, si rivelano fondamentali nella formazione culturale di María Teresa. Un matrimonio precoce e travagliato, due figli, l’attività giornalistica per il "Diario de Burgos", un viaggio a Buenos Aires, la separazione dal marito e il trasferimento a Madrid, dove vive presso gli zii, lavora, scrive e studia, sono il prologo all’incontro determinante con Rafael Alberti, che sposerà nel 1932 e al fianco del quale trascorrerà tutta la vita. I due condividono inquietudini, lunghi viaggi per conto della Junta de Ampliación de Estudios della Prima Repubblica spagnola, nella prima metà degli anni trenta, in Unione Sovietica, Germania, Norvegia, Italia, Belgio e Olanda, l’impegno morale e politico (entrambi si iscrivono al Partito Comunista e fondano la rivista "Octubre"), la lotta e la speranza, appoggiando con un’energia inesauribile il fronte repubblicano, l’amarezza della sconfitta e l’esilio, che li porta prima in Francia, poi in Argentina e infine in Italia, a Roma.
Durante la guerra civile spagnola María Teresa è segretaria dell’Alleanza degli Intellettuali Antifascisti, si occupa del salvataggio di centinaia di opere d’arte del museo del Prado e dell’Escorial, minacciate dai bombardamenti franchisti, e crea Las Guerrillas del Teatro , una compagnia teatrale con cui percorre città e campagne interpretando a scopo didattico opere di propaganda repubblicana. In esilio lavora instancabile, pubblica vari libri, scrive per il cinema, tiene un programma radiofonico, impartisce conferenze, oltre ad occuparsi della famiglia. Nel 1955 riesce ad finalmente ad ottenere il passaporto che le era stato negato per quindici anni dalle autorità argentine, e può riprendere a viaggiare, nonostante non sia possibile rientrare in Spagna, ancora avvolta dalle tenebre della dittatura, visitando a più riprese Germania, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Unione Sovietica, Cina, Venezuela, Perù e Cuba. Alla fine degli anni sessanta, l’inasprirsi delle persecuzioni e della censura verso gli intellettuali di sinistra da parte di Perón costringe la famiglia Alberti a trasferirsi in Italia, dove María Teresa continua a adoperarsi energicamente in ogni sorta di attività culturale.
Dall’inizio degli anni settanta la scrittrice è vittima di frequenti amnesie: le viene diagnosticato il morbo di Alzheimer, malattia che già aveva devastato la nonna e la madre, e che peggiorerà impietosamente fino a scagliarla in un oblio senza via d’uscita. Quando finalmente potrà realizzare il sogno del ritorno in Spagna, nel 1977, María Teresa appena se ne renderà conto. Morirà in una residenza geriatrica nei pressi di Madrid nel dicembre del 1988.
La sua produzione artistica è ampia e variegata, costituita da racconti, romanzi, articoli e saggi, sceneggiature, opere teatrali, un’autobiografia, MEMRIA DE LA MELANCOLÍA (1970), quattro biografie letterarie, un breve saggio sull’evacuazione delle opere d’arte durante la guerra civile, LA HISTORIA TIENE LA PALABRA (1944), un reportage di viaggio, SONRÍE CHINA (1958), e il peculiare NUESTRO HOGAR DE CADA DÍA (1958), un ameno manuale da consultare per risolvere le questioni domestiche.
Le raccolte di racconti si differenziano per stile e tematiche: le avventure per bambini di CUENTOS PARA SOÑAR (1928), i “racconti castigliani” che strizzano l’occhio al ROMANCERO e alla letteratura regionale de LA BELLA DEL MAL AMOR (1930), dove prevalgono i temi cari all’autrice della “malmaritata” e della condizione femminile, il surrealista ROSA FRÍA, PATINADORA DE LA LUNA (1934), illustrato da Alberti, a cui segue la svolta realista, di stampo sociale e rivoluzionario, di CUENTOS DE LA ESPAÑA ACTUAL (1936), racconti che descrivono l’indigenza del proletariato, e in particolare dei suoi membri più vulnerabili, donne e bambini, e di MORIRÁS LEJOS (1942), dove l’entusiasmo rivoluzionario si scolora sotto lo sguardo amareggiato dai lutti della guerra e dalla fuga all’estero. Nel 1950 viene pubblicato LAS PEREGRINACIONES DE TERESA, un ritorno al passato, ai ricordi, alla tradizione castigliana di storie tramandate oralmente e leggende. L’ultima raccolta, la più ambiziosa e matura, è FÁBULAS DEL TIEMPO AMARGO (1962): cinque favole, ambientate in un tempo indefinito, doloroso, tragico, imbevuto di sangue e di disperazione, il tempo amaro dell’esilio e della sconfitta, dell’attesa inquieta di poter recuperare uno spazio amato e perduto.
I primi due romanzi dell’autrice, CONTRA VIENTO Y MAREA (1941) e JUEGO LIMPIO (1959), si occupano direttamente della guerra civile, traendo ispirazione da accadimenti reali, mentre MENESTEOS, MARINERO DE ABRIL (1965) descrive le peregrinazioni del personaggio mitico di Menesteo, rifacendosi al modello classico del racconto greco, e racchiude tutti i motivi cari alla scrittrice: l’evocazione di ciò che si è perso, il senso di smarrimento, il desiderio del ritorno, la guerra, la solitudine.
Parte significativa dell’opera di María Teresa sono le biografie, che comportano allo stesso tempo un esercizio di memoria e di immaginazione, la capacità di ricordare e di immedesimarsi, appropriandosi di storie altrui per convertirle in racconto, finzione a suo modo viva, pervasa di sentimento e partecipazione. Non dimenticare, riscattare il passato, sono per María Teresa operazioni necessarie e vitali, perché nulla di ciò che si è vissuto sia stato vano. Riappropriarsi del tempo che ci ha preceduto stimola la riflessione lucida sul presente, insegna, arricchisce: tale ruolo della memoria nell’opera dell’autrice è determinato sia dalla sua formazione culturale, profondamente segnata dalla storia e dai paesaggi della vecchia Castiglia, sia dalla coscienza repubblicana, per cui il ricordo è l’unico mezzo per far sì che gli ideali non vengano zittiti e frustrati dalla diaspora dell’esilio. Le quattro figure di cui si occupa María Teresa esprimono profondi valori etici e hanno condotto dignitosamente esistenze marcate dalle difficoltà; le prime due, il Cid Campeador e sua moglie Jimena, (DON RODRIGO DIAZ DE VIVAR, EL CID CAMPEADOR, 1954 e DOÑA JIMENA DIAZ DE VIVAR, GRAN SEÑORA DE TODOS LOS DEBERES, 1960) rievocano la Burgos della giovinezza della scrittrice e la tradizione letteraria del ROMANCERO, e incarnano il dramma intimo dell’esilio, le sfumature con cui uomini e donne vivono le avversità dell’ingiustizia storica, in particolare Doña Jimena, non più solo ombra del marito eroe ma personaggio a tutto tondo, simbolo di ogni donna spagnola che al termine della guerra civile ha dovuto separarsi tragicamente dal proprio uomo. Le altre biografie si occupano invece di due grandi autori, Bécquer e Cervantes. La scrittrice aveva composto un copione cinematografico sulla relazione tra Bécquer e Julia Espín da cui trae ispirazione per la biografia del poeta, EL GRAN AMOR DE GUSTAVO ADOLFO BÉCQUER (1946), il cui eroismo è affrontare - e superare - i limiti della parola poetica, l’incomprensione della società, gli insuccessi amorosi, lo sforzo per mantenere viva la fede nella sua opera.
In EL SOLDADO QUE NOS ENSEÑÓ A HABLAR Cervantes è presentato come un uomo che ha dovuto lottare contro i pregiudizi dell’epoca, l’incertezza di poter sopravvivere, le ferite del destino, l’ingratitudine, il carcere, le accuse ingiuste, l’incomprensione letteraria, la solitudine, le ristrettezze economiche e che, nonostante questo, ha continuato a scrivere, a curarsi con il balsamo dell’immaginazione, regalando all’umanità opere di straordinaria bellezza. Ed è proprio la fragilità delle circostanze in cui queste opere sono nate a renderle tali: l’alta mortalità infantile dell’Alcalá de Henares del 1547 dove nasce Miguel de Cervantes avrebbe potuto annoverarlo tra le sue vittime, così come la battaglia di Lepanto nella quale perde una mano, ma non la vita, o la prigionia forzata ad Algeri, durata sei anni, in balia dei pirati turchi. La sorte, invece, è stata clemente con i lettori, e la dignità, la bravura, la dedizione infrangibile alla letteratura del grande scrittore hanno fatto sì che iniziasse a comporre l’intramontabile VIDA Y AVENTURAS DEL INGENIOSO HIFALGO DON QUIJOTE DE LA MANCHA incarcerato per debiti a Siviglia, che, dopo la morte, gli varrà la gloria. María Teresa mescola eventi concreti, provati da studi, indagini e documenti, con elementi letterari, degli scritti dell’autore, cercando di comprendere, attraverso la fantasia, quali particolari della vita reale abbiano costituito l’ispirazione di storie, luoghi, personaggi. Immagina Cervantes attraversare le aride terre castigliane e incontrare uno, due, cento Sancio, immagina gli amori portoghesi dello scrittore che daranno origine al componimento pastorale LA GALATEA, immagina gli incontri, le amicizie, i rapporti con gli altri autori del suo tempo, Lope de Vega o Mateo Alemán, immagina la vita familiare nella sua umile quotidianità, l’affetto della madre, le lotte del padre perché venga riconosciuto il valore del figlio, immagina il fratello Rodrigo, compagno d’armi e di prigionia, le sorelle, le donne che si contesero il suo cuore disgraziato, dalla veneziana Gina incontrata a Roma, quando era parte del seguito di un giovane e cagionevole cardinale, alla comica Ana Franca, che alimentò e allo stesso tempo frustrò il suo più intenso desiderio di gloria, quella teatrale, e che lo abbandonò con una figlia in fasce, Isabelita, l’aspra Catalina, che sposa per interesse, forse pensando di guarire le inquietudini con il benessere, forse solo per accontentare le preghiere materne, per giungere infine all’incontro con colei che ispirerà Dulcinea, una giovane contadina che salva un maialino finito tra le zampe del suo cavallo e lo stringe al petto come un figlio, commuovendo l’autore, che la eleva al rango di signora dei suoi pensieri.
Grazie a una prosa agile e immediata, apparentemente semplice e di estremo lirismo, con passaggi che paiono scene di teatro, come la lettura del DON CHISCIOTTE ai carcerati sivigliani, il lettore è coinvolto in avventure allo stesso tempo tragiche e comiche, che impercettibilmente fondono insieme lo scrittore e il suo folle eroe, rendendo sempre più labile, e ininfluente, il confine tra vero e sognato, tra vissuto e scritto. Chi legge viene catturato dalla spirale della narrazione e si ritrova a respirare la polvere delle strade assolate di Algeri, gli occhi feriti dalla luce riflessa dai bianchi tetti della casbah, è avvolto dal tumulto delle battaglie, condivide la pena dei reduci macilenti che eserciti e autorità hanno dimenticato in angoli sperduti e allucinati del Mediterraneo, ascolta storie narrate nelle notti picaresche della prigione di Siviglia, prova l’angoscia devastante della vita immobile di Esquivias, il paese di Doña Catalina, condivide l’entusiasmo giovanile di Cervantes davanti allo splendore di Roma, la città eterna, il logorio delle catene, l’orgoglio ferito più e più volte dai rovesci della fortuna, le aspettative e la disillusione nei confronti del potere, che sempre illude e sempre delude, perché a nulla servono la vittoria che lo rende monco, o l’Armata Invincibile per cui raccoglie denaro, e a causa della quale viene imprigionato quando le superbe navi del re si riducono a relitti; chi regna, chi comanda non presta attenzione a un povero soldato, a uno scrittore sconosciuto. Il lettore monta a cavallo al suo fianco, sentendosi sempre più stanco e più vecchio, riparte, Madrid, Toledo, Valladolid, riannoda legami, ricompone speranze, cerca di credere in una parvenza di pace, di tranquillità, che si rivela effimera, brevissima, e termina inesorabilmente in lacrime, le lacrime versate, come immagina María Teresa, sfogliando le pagine della seconda parte apocrifa del DON CHISCIOTTE, la sua creatura più amata rubata e stravolta.
L’autrice riesce ad avvicinarsi con naturalezza alle sofferenze del suo protagonista, l’uomo reale reso letteratura, perché le comprende nel profondo, perché tanto assomigliano a quelle da lei stessa vissute, perché entrambi ritrovano testardamente nello scrivere il senso e la cura, la fiducia e la forza. CERVANTES, EL SOLDADO QUE NOS ENSEÑÓ A HABLAR è un testo di estremo interesse, per un lettore di qualsiasi nazionalità, non solo spagnolo, poiché offre l’opportunità di confrontarsi con la vita e le opere di un autore che tutti dovrebbero poter conoscere e apprezzare e la possibilità di approfondire questa conoscenza attraverso le parole, semplici, sentite, affettuose, di una grande scrittrice che ha partecipato agli eventi chiave della storia e della cultura del suo paese. In “un solo colpo” quattrocento anni di letteratura e umanità.