a cura di Daniele Maria Pegorari, Lecce, Manni, 2006. Saggi di Ettore Catalano, Esther Celiberti, Gigliola De Donato, Gualtiero De Santi, Daniele Maria Pegorari, Pietro Sisto e antologia della critica. Autocronologia, intervista e bibliografia dell'autore.
Un arazzo pugliese di Storia e Poesia
Libro corposo e curato egregiamente, con amore e, direi, puntiglio, da Daniele Maria Pegorari, per i sessant'anni di Lino Angiuli, poeta, musicista e letterato.
Per la rete di relazioni culturali che sottintende, mostra un pezzo di storia, che l'autore ha costruito, che ha (lui che ama le etimologie) inventato, scavando o zappando abilmente intorno alle radici, per far crescere di nuovo la vecchia pianta.
Nella scrittura il risultato è quanto Angiuli e il gruppo d'intellettuali intorno alla rivista INCROCI chiamano letteratura postrurale. Un gruppo che ha scritto chiaro il suo nome nella storia della letteratura di una regione (la Puglia) e nazionale.
Perché quanto può giustificare il passaggio del tempo è che di quel tempo abbiamo contribuito, in qualche modo, a intrecciare la trama. Interrogarsi, valutare con uno sguardo d'insieme, è importante. Assolversi e infine premiarsi è essenziale per poter continuare. Paradossalmente, per farlo occorre una certa umiltà e il proposito fermo di non barare, a rischio di frustrare tutto lo sforzo di sintesi e concentrazione. Lino Angiuli aggiunge a queste doti una serena autoironia, e trovo molto dolce e poetico, umanamente risolto, lo sguardo di compiacimento e tenerezza che l'uomo arrivato rivolge a quel giovane Lino che si imbarcò agli inizi "pel grande mare aperto" solo obbedendo a un impulso irrinunciabile.
Tra gli altri esempi, il suo (di quel ragazzo) atteggiamento verso la musica: un avventarsi fisicamente su ogni strumento, per notare poi con gioia e meraviglia che quello gli rispondeva. Allora solo si rivolgeva agli spartiti e a chi sapesse tradurre in segni duraturi il suo impatto, il suo vivace incontro. La musica (ecco lo sguardo ironico e affettuoso) per piacere alle ragazze e nonostante - o forse ancora più - l'udito fosse a metà, o in una direzione, compromesso.
In questo libro molto mi hanno interessato i saggi, ma molto più la prima e l'ultima sezione: l'autocronologia, cioè il riconoscimento degli anni che hanno contato di più, e le risposte dell'autore alle domande di una giovane studiosa.
Infine una riflessione direi estrinseca, ma non secondaria. Oggi, non è più come una volta. Leopardi che viveva in una provincia piuttosto codina, aveva a disposizione, nonostante tutto, la biblioteca paterna eppure si sentiva soffocare, doveva fuggire e lo fece. Ma in tempi in cui la comunicazione non tiene gran conto delle distanze, vivere in una provincia può risultare perfino vantaggioso dal punto di vista degli stimoli culturali. La provincia mantiene un'esperienza - profonda, radicale - un'identità in più. Si può lavorare su livelli diversi in un gioco che può risultare persino più intricato e complesso. Se poi, si finisce per occupare un posto nell'amministrazione locale, come è successo a Lino Angiuli, il discorso delle responsabilità si fa ancora più avvincente, la sfida più affilata. Tutto sta saperla raccogliere. Il nostro autore, restando nella sua cittadina, Monopoli, all'imbocco di una stretta penisola agli estremi dello stivale, hai fatto una scelta che ritorna a vantaggio dell'originalità e della complessità.
Credo che questo libro confermi che durante quarant'anni ha intessuto una pezza di storia, un arazzo pugliese di suoni e parole che s'intrecciano per restare.
[Piera Mattei]